Assisi, Serafico: “Disponibili a prendere in carico il bambino autistico rifiutato dalla famiglia”

ASSISI – «La notizia del bambino autistico di 11 anni rifiutato dalla famiglia mi addolora profondamente e ci tengo a ribadire che il Serafico c’è ed è disponibile a prendere immediatamente in carico il bambino e a dare tutto il supporto necessario anche alla sua famiglia. Abbiamo già preso contatti con Casa “Sebastiano”, il Centro per l’autismo di Coredo che ha segnalato l’accaduto e non ci resta che attendere i provvedimenti che verranno presi dal Tribunale dei Minori, a cui è stato affidato il bimbo.

Qualsiasi sia la motivazione che ha spinto questi genitori ad agire così, è doveroso ricordare che abbiamo davanti agli occhi una storia tragica, che non spetta a nessuno di noi giudicare. Di situazioni di disperazione e solitudine ne conosciamo purtroppo tante, al Serafico arrivano famiglie distrutte, i cui sguardi lasciano trapelare sconforto e rassegnazione, che tradiscono non solo le ferite dell’anima, ma anche quelle del corpo, specie quando i loro figli soffrono di gravi disturbi del comportamento. Ogni storia è completamente diversa, a cominciare dalle cause della presa in carico. Fra i nostri piccoli ospiti ci sono bambini in affido al Tribunale dei Minori, oppure ragazzi che sono diventati maggiorenni senza aver mai avuto l’occasione di trovare una famiglia disponibile all’affido o all’adozione. Ci sono poi bambini che hanno perso i propri genitori in situazioni tragiche, ma non mancano i figli di genitori straordinari, che ci insegnano tutti i giorni a non arrenderci mai.

Sono certa nell’affermare che il Serafico non avrebbe percorso 148 anni di storia senza aver sperimentato il coraggio e l’amore di tante madri e tanti padri, genitori che sono autentiche fortezze a difesa della vita. Li vediamo giorno dopo giorno combattere per i loro figli con forza e fermezza. Tuttavia, è doveroso segnalare che i genitori che incontriamo quotidianamente sono molto spesso soli, abbandonati dalle Istituzioni. Molti di loro arrivano al Serafico dopo aver girato vari Centri sparsi per l’Italia, costretti a lasciare il proprio lavoro o a trasferirsi ad Assisi pur di stare accanto ai loro piccoli. Affrontano sacrifici enormi, sia in termini di stanchezza fisica ed emotiva, che in termini economici.

Questo tragico episodio deve esortare tutti ad impegnarsi in modo concreto ed immediato, perché essere genitori di bambini con disabilità significa essere l’unico tramite tra loro e il mondo esterno, farsi portavoce presso le Istituzioni e l’opinione pubblica di ferme richieste di attenzione a bisogni unici, di esigibilità di diritti spesso negati. È dunque necessario che lo Stato intervenga, assumendosi le proprie responsabilità.

Le famiglie di questi ragazzi con disabilità vengono percepite come un costo, come una voce a carico delle risorse pubbliche. Ma si tratta di una prospettiva totalmente sbagliata. La famiglia, e ancora di più la famiglia colpita dalla malattia, dalla disabilità, o da altre problematiche è una risorsa strategica per lo sviluppo, perché la famiglia è capace di intraprendere, di patrimonializzare, di risparmiare, ma anche di curare, di assistere e di sostenere. La burocrazia, i limiti di spesa, i continui tagli nella sfera della salute e della cura e un welfare ormai obsoleto che continua ad erogare prestazioni standard verso risorse standard, ci stanno facendo perdere di vista la grandezza della vita. Dobbiamo uscire dalla visione assistenzialistica. Prendersi cura della vita più fragile è quanto di più generativo e prezioso che una società possa fare, perché la fragilità e il limite fanno parte dell’uomo e una società che li esclude è disumana, irragionevole e condannata all’infelicità.

Ogni giorno, al Serafico, ci prendiamo cura di quasi 150 persone tra bambini e ragazzi. Tra di loro ci sono anche i bambini che accogliamo con il progetto i “I letti di Francesco”, posti letto totalmente sostenuti dalla carità, che accolgono situazioni di povertà sanitaria o bambini che sfuggono alla presa in carico del SSN per svariate ragioni. In tanti hanno supportato questo progetto, dalle imprese, ai privati cittadini, alle associazioni ed è l’esempio tangibile di quella parte di Italia che non si arrende alle difficoltà e che, insieme alle Istituzioni pubbliche, è ancora capace di sperimentare una sussidiarietà circolare in grado di abbracciare la vita.

Le persone che vivono una fragilità hanno bisogno di compagni di viaggio, soprattutto quando la sofferenza umana morde crudelmente e le giornate diventano lunghe e difficili. Trovare delle persone “umane” che sappiano sentire il sentire dell’altro a volte è più importante di qualsiasi “terapia” ed è la strada maestra per ricucire una società ferita».