Presentata la nuova stagione di prosa del Teatro Morlacchi di Perugia

29 spettacoli: 21 di teatro, tra cui 5 audiodescritti, e 8 di danza; 1 Prima assoluta; 20 esclusive regionali; 4 produzioni TSU; 1 rassegna dedicata alla nuova danza; 5 spettacoli allestiti nel Ridotto del Teatro. Sono i numeri della nuova stagione del Teatro Morlacchi di Perugia, presentata mercoledì sera presso l’azienda Brunello Cucinelli di Solomeo di Corciano. Molte, come sempre, le autorità presenti tra cui l’assessore regionale alla cultura Paola Agabiti, il presidente del Teatro Stabile dell’Umbria Brunello Cucinelli, i sindaci di Perugia e Corciano, Andrea Romizi e Lorenzo Pierotti, Romizi, l’assessore alla cultura Leonardo Varasano, il rettore Maurizio Oliviero ed il direttore del teatro stabile dell’Umbria Nino Marino.
Le parole del Direttore del TSU Nino Marino: “Lo scorso anno le città erano al centro del racconto delle stagioni teatrali, quest’anno siamo partiti dagli alberi monumentali dell’Umbria per parlare di crescita, di vita, di memoria ma anche di libri e palcoscenici, di emozioni e nutrimento culturale in un gioco di specchi con il teatro. Una Stagione, la prossima, che parte proprio dagli alberi, un patrimonio universale quanto il valore inestimabile di grandi autori come Shakespeare, Čechov e Goldoni che sono al centro del progetto produttivo della Stagione 23/24 del Teatro Stabile dell’Umbria”.

La Stagione si apre con la Prima assoluta di Re Lear di William Shakespeare, un nuovo grandioso allestimento prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria insieme al Teatro dell’Elfo di Milano; in scena due grandi classici del teatro moderno firmati TSU: La locandiera di Carlo Goldoni per la regia di Antonio Latella che sceglie Sonia Bergamasco per il ruolo di Mirandolina, e Zio Vanja, seconda tappa della trilogia dedicata ai capolavori di Anton Čechov diretta da Leonardo Lidi, che debutterà al prossimo Festival dei Due Mondi di Spoleto.

Tra i tanti protagonisti, ci saranno l’estroso autore e narratore Stefano Massini con uno spettacolo liberamente ispirato da Freud, l’istrionico Claudio Bisio ripartirà dal Teatro Morlacchi con la nuova tournée de La mia vita raccontata male ed Edoardo Leo in veste di autore, regista e attore con il suo coinvolgente reading-spettacolo tra musica e parole. Torna a Perugia l’irresistibile Stefano Fresi insieme a Emanuela Fresi e Toni Fornari in Cetra…una volta, un frizzante concerto-spettacolo per un omaggio al Quartetto Cetra che segnerà anche l’atteso ritorno del Capodanno al Morlacchi.

E ancora, non mancheranno opere tratte dalla grande letteratura contemporanea: Silvio Orlando porta in scena La vita davanti a sé dal meraviglioso romanzo di Romain Gary (l’unico scrittore a vincere due volte il prestigioso Premio Goncourt); il regista Roberto Andò si avvale della bravura di Isabella Ragonese e rilegge per il teatro il mito della tragica regina Clitennestra dal libro La casa dei nomi di Colm Tóibín; Lella Costa ed Elia Schilton sono i protagonisti de Le nostre anime di notte dallo struggente e dolcissimo testo omonimo di Kent Haruf; Jacopo Gassmann, attento conoscitore della nuova drammaturgia internazionale, porta in scena la commedia The City di Martin Crimp.

Grande ritorno anche per Monica Guerritore che adatta e dirige per il teatro il film capolavoro di Federico Fellini Ginger e Fred; ci sarà Lunetta Savino, tra i volti più amati dal grande pubblico, con un’appassionata interpretazione de La Madre di Florian Zeller; il duo artistico Antonio Rezza e Flavia Mastrella –Leone d’oro alla Biennale di Venezia– portano sul palco perugino il loro teatro surreale e travolgente; per la prima volta, il Teatro Morlacchi ospita il collettivo di ricerca Industria Indipendente con uno spettacolo elettrico, magnetico, forte e attuale, co-prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria. A chiudere il Cartellone sarà L’arte della commedia, la geniale opera metateatrale di Eduardo De Filippo, nell’originale adattamento di Fausto Russo Alesi.

Da non perdere gli appuntamenti con la danza: coreografi, danzatori e compagnie di rilievo internazionale come Virgilio Sieni, Silvia Gribaudi insieme alla MM Contemporary Dance Company e la compagnia spagnola Kor’sia.

Dopo il successo della passata edizione, torna anche quest’anno il RIDOTTO DEL TEATRO che accoglierà il pubblico direttamente sul palcoscenico per ben cinque spettacoli, da gennaio a maggio 2024. Ci saranno: il giovane regista emergente Leonardo Manzan con il suo nuovo lavoro; Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani con uno spettacolo ispirato ai Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello; Viola Marietti con il suo feroce e ironico monologo autobiografico; Antonio Latella guiderà i giovani dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico nella messa in scena de Il male sacro, l’opera dell’autore e regista teatrale umbro Massimo Binazzi, a 40 anni dalla scomparsa; a concludere la “mini rassegna” del Ridotto sarà Fabio Condemi con una biografia onirica e poetica di Pier Paolo Pasolini. 5 spettacoli in scena anche per Perché non ballate?, la rassegna dedicata ai nuovi linguaggi del movimento e della danza che accompagna gli spettatori in un percorso fatto di scoperte e nuove possibilità artistiche.

 

I progetti dedicati al pubblico | Audiodescrizione per 5 spettacoli in collaborazione con il progetto Cultura no limits realizzato dal Centro Diego Fabbri di Forlì; Mentre i grandi sono a teatro: 7 laboratori creativi per bambini e bambine, a cura di DENSA, come offerta aggiuntiva rivolta ai genitori interessati a seguire la Stagione; Il filo di Arianna. Mappe e coordinate per la Stagione: il percorso a cura della dramaturg Linda Dalisi che accompagna lo spettatore in un inedito approfondimento dell’opera; Incontri con le compagnie: una serie di appuntamenti per entrare nel vivo della Stagione e conoscere attori e registi fuori dalla scena.

 

GLI SPETTACOLI

 

18 – 22 ottobre

Re Lear

di WILLIAM SHAKESPEARE

NUOVO ALLESTIMENTO  (co-produzione TSU)

NOTE DI REGIA Giacomo Stuart, pochi anni prima che Shakespeare scrivesse Re Lear, disse al suo figlio maggiore che aveva due motivi per amare Dio: “Il primo perché ti ha fatto nascere uomo, il secondo perché ha fatto di te un piccolo Dio che siede sul Trono e comanda gli altri uomini”. Il sovrano sognava di comandare come Dio, non solo esigendo dai suoi sudditi un’obbedienza assoluta, ma anche un amore incondizionato. In Re Lear, Shakespeare esplora le catastrofiche conseguenze di questo sogno non solo nello stato, ma anche nella famiglia. Lear è insieme padre, re e una specie di dio mortale: è l’immagine dell’autorità maschile, “forse la rappresentazione suprema del maschio europeo bianco” (Harold Bloom), dell’arroganza che lo rende cieco e del lungo cammino rovinoso che lo conduce dal trono fino alla landa desolata e tempestosa dove riconosce nel corpo nudo e piagato di un mendicante pazzo “la cosa in sé”, l’essenza dell’uomo: “L’uomo privo di tutto non è altro che un animale, povero, nudo, un bipede forcuto come te.” In Re Lear questo viaggio angoscioso “nel cuore di tenebra” di un’umanità che vaga per le contrade aride di un mondo “fuori sesto”, si intreccia con un’angoscia tutta fisica; le terribili forze scatenate dalla follia del Re colpiscono la sua anima e il suo corpo con una violenza simile a quella della tempesta che lo sovrasta e che diventa rappresentazione simbolica della sua catastrofe interiore. Al termine di questo doloroso processo di conoscenza, iniziato con la rinuncia al potere e che conduce il Re alla pazzia attraverso una serie di umiliazioni, Lear ha compreso qualcosa su se stesso, sugli esseri umani, sul carattere autodistruttivo e patologico del potere e della sovranità. Lear e il Conte di Gloucester, un altro vecchio il cui destino è tragicamente parallelo a quello di Lear, nel corso della loro ordalia invocano spesso l’aiuto degli dèi, ma gli dèi tacciono. “Per gli dèi noi siamo come le mosche per i monelli, ci uccidono per gioco.” dice Gloucester. Tocca all’uomo redimersi dal suo orgoglio insensato e dalla sua cecità fisica e morale, attraverso un percorso di sofferenza e di spogliazione. Sotto questo cielo scuro e silenzioso, su questa terra dura dove il male dilaga, l’amore compare in brevi bagliori strazianti: nell’incontro di Edgar con il padre accecato, nella dedizione di Kent per il suo Re, nella pietà di Lear per il suo Matto e infine nell’insostenibile lamento di Lear sul corpo di Cordelia morta. “Perché un cane, un cavallo, un topo devono vivere e tu non hai più fiato? Tu non ritornerai, mai più, mai più, mai più, mai più, mai più.” La tragedia di Shakespeare ci chiede di non distogliere lo sguardo dal male, dalla follia, dall’insopportabile dolore degli esseri umani, ma di guardarli in faccia, dritti negli occhi, per rafforzare la nostra capacità di sopportare e di amare. FERDINANDO BRUNI, FRANCESCO FRONGIA

CREDITI

traduzione di FERDINANDO BRUNI

uno spettacolo di FERDINANDO BRUNI e FRANCESCO FRONGIA

con ELIO DE CAPITANI, MAURO BERNARDI, ELENA GHIAUROV, MAURO LAMANTIA, GIUSEPPE LANINO, VIOLA MARIETTI, GIANCARLO PREVIATI, ALESSANDRO QUATTRO, ELENA RUSSO ARMAN, NICOLA STRAVALACI, UMBERTO TERRUSO, SIMONE TUDDA

produzione TEATRO STABILE DELL’UMBRIA e TEATRO DELL’ELFO

SPETTACOLO AUDIODESCRITTO (domenica 22 ottobre)

 

1 – 5 novembre

La locandiera

di CARLO GOLDONI

NUOVO ALLESTIMENTO (Produzione TSU)

NOTE DI REGIA Penso a Café Müller di Pina Bausch. Penso ad una donna nata e cresciuta nella Locanda. Un luogo-mondo che accoglie infiniti mondi.  Nel testo goldoniano il tema dell’eredità è il punto cardine di tutto. Mirandolina seduta sul letto di morte del padre riceve in eredità la Locanda, ma anche l’ordine di sposarsi con Fabrizio, il primo servitore della Locanda. In questo credo che ci sia una inconsapevole identificazione del padre con il servo, come erede virtuale in quanto maschio. Più che un uomo per la figlia, il padre sceglie un uomo per la Locanda, un uomo pronto a tutto pur di proteggere la Locanda.

Credo che Goldoni con questo testo abbia fatto un gesto artistico potente ed estremo, un gesto di sconvolgente contemporaneità: innanzitutto siamo davanti al primo testo italiano con protagonista una donna, ma Goldoni va oltre, scardina ogni tipo di meccanismo, eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia. Di fatto Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti, facendo diventare la Locanda il luogo da dove tutta la storia teatrale del nostro paese si riscriverà, la storia che in qualche modo ci riguarda tutti. Goldoni fa anche un lavoro sulla lingua, accentuando un italiano toscano. Per essere Mirandolina bisogna essere capaci di mettersi al servizio dell’opera, ma anche non fare del proprio essere femminile una figura scontata e terribilmente civettuola, cosa che spesso abbiamo visto sui nostri palcoscenici. Spesso noi registi abbiamo sminuito il lavoro artistico culturale che il grande Goldoni ha fatto con questa opera, la abbiamo ridimensionata, cadendo nell’ovvio e riportando il femminile a ciò che gli uomini vogliono vedere: il gioco della seduzione. Goldoni, invece, ha fatto con questo suo testamento, una grande operazione civile e culturale. Siamo davanti ad un manifesto teatrale che dà iniziò al teatro contemporaneo, mentre per una assurda cecità noi teatranti lo abbiamo banalizzato e reso innocente. La nostra mediocrità non è mai stata all’altezza dell’opera di Goldoni e, molto probabilmente, non lo sarò nemmeno io. Spero, però, di rendere omaggio a un maestro che proprio con Goldoni ha saputo riscrivere parte della storia teatrale italiana: parlo di Massimo Castri.

ANTONIO LATELLA

CREDITI

regia ANTONIO LATELLA

con SONIA BERGAMASCO, MARTA CORTELLAZZO WIEL, LUDOVICO FEDEDEGNI, GIOVANNI FRANZONI, FRANCESCO MANETTI, ANNIBALE PAVONE, GABRIELE PESTILLI, MARTA PIZZIGALLO dramaturg LINDA DALISI

scene ANNELISA ZACCHERIA

costumi GRAZIELLA PEPE

musiche e suono FRANCO VISIOLI

luci SIMONE DE ANGELIS

produzione TEATRO STABILE DELL’UMBRIA

SPETTACOLO AUDIODESCRITTO (domenica 5 novembre)

 

15 – 16 novembre

Ti racconto una storia

(letture semiserie e tragicomiche)

scritto e diretto da EDOARDO LEO

Edoardo Leo, uno degli attori italiani più interessanti e versatili della sua generazione, porta in scena, in veste di autore, regista e attore, un reading-spettacolo che racconta suggestioni, ricordi, letture e pensieri raccolti dall’inizio della sua carriera ad oggi. Vent’anni di appunti, ritagli e risate trasformati in un coinvolgente show che cambia forma e contenuto ogni volta in base allo spazio e all’occasione. È uno spettacolo che fa sorridere e riflettere portando sul palco spaccati di vita umana unendo parole e musica. Una riflessione su comicità e poesia per spiegare che, in fondo, non sono così lontane. In scena non solo racconti e monologhi di scrittori celebri (Benni, Calvino, Marquez, Eco) ma anche articoli di giornale, aneddoti e testi di giovani autori contemporanei e dello stesso Edoardo Leo.

CREDITI

con EDOARDO LEO

musiche di JONIS BASCIR

prodotto da STEFANO FRANCIONI PRODUZIONI

 

22 novembre

Cecità

liberamente ispirato al romanzo Cecità di JOSÉ SARAMAGO

ideazione, coreografia, spazio VIRGILIO SIENI

NUOVO ALLESTIMENTO

Torna al Morlacchi Virgilio Sieni, danzatore e coreografo attivo in ambito internazionale per le massime istituzioni teatrali, musicali, fondazioni d’arte e musei; tre volte premio UBU, nominato nel 2013 Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal Ministro della cultura francese e direttore della Biennale Danza dal 2013 al 2016. A Perugia porta in scena il suo nuovo lavoro Cecità, ispirato all’omonimo romanzo dello scrittore, drammaturgo e poeta José Saramago –Premio Nobel per la letteratura nel 1998–, attraverso cui esplora quello stato di mancanza che risveglia la vita delle cose facendole sbalzare fuori dalla quotidianità, ricercando un’essenza che ricorda che, prima di tutto, siamo natura. Incombe sulla terra un virus sconosciuto che agisce togliendo la vista alle persone. Tutto è improvvisamente immerso in un biancore luminoso che assorbe colori, cose, esseri, rendendoli invisibili. In questo stato di eccezione un piccolo gruppo si allea per condividere le vie di fuga e il nuovo mondo. Tra di loro una donna non ha perso la vista, ma dovrà rimodulare ogni dettaglio del suo comportamento per coesistere con la vista, per domandarsi a cosa serve vedere. Sul palco i danzatori agiscono ricreando una nuova mappa percettiva dell’ambiente, scoprendo le potenze antiche -forse perse- che oggi richiamano alla cura del suolo e del territorio secondo una visione che è anima, atmosfera, natura, genio del luogo. Aprire gli occhi tutte le volte per vedere di nuovo.

CREDITI

interpreti COMPAGNIA VIRGILIO SIENI luci VIRGILIO SIENI e MARCO CASSINI

produzione CENTRO NAZIONALE DI PRODUZIONE DELLA DANZA VIRGILIO SIENI, FONDAZIONE TEATRO PIEMONTE EUROPA, FONDAZIONE TEATRO METASTASIO DI PRATO

 

24 – 26 novembre

L’interpretazione dei sogni

di e con STEFANO MASSINI

Cinque anni dopo la versione teatrale realizzata a Milano al Teatro Strehler, Stefano Massini – primo autore italiano ad aver ricevuto il Tony Awards, l’Oscar del teatro americano – riprende in mano il suo decennale lavoro su L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, a cui ha dedicato anche l’omonimo romanzo di successo, già tradotto in più lingue. Da lì Massini riparte, stavolta in prima persona, mettendo il suo estro di narratore al servizio di uno spettacolo liberamente ispirato dagli scritti di Freud. Sulla scena prende forma un variopinto mosaico di personaggi che, narrando i propri sogni, compongono una sinfonia di immagini e di possibili interpretazioni, in cui il pubblico si riconosce e ritrova. Perché sogniamo? La ricerca sui sogni di Freud, pietra miliare del ‘900, tenta una risposta attraverso l’analisi di numerosi casi clinici – drammatici, buffi, occasionali – ognuno capace di rivelarci qualcosa sulle leggi misteriose e splendide che sovrintendono alle nostre messinscene notturne. Sì, messinscene. Perché il sogno nella lettura dello psicoanalista austriaco ha un impianto profondamente teatrale, evidente fino da quel titolo originario del volume che alludeva a una “drammaturgia onirica”. E dunque: con quali regole si procede, nel fantasmagorico teatro del Sogno?

CREDITI
liberamente ispirato e tratto dagli scritti di SIGMUND FREUD scene MARCO ROSSI luci ALFREDO PIRAS

musiche ENRICO FINK

eseguite da trombone e tastiere SAVERIO ZACCHEI

chitarre DAMIANO TERZONI

violino RACHELE INNOCENTI

produzione TEATRO STABILE DI BOLZANO, TEATRO NAZIONALE DELLA TOSCANA e TEATRO DI ROMA

 

29 novembre – 3 dicembre

Zio Vanja

Progetto Čechov — Seconda tappa

NUOVO ALLESTIMENTO (Produzione TSU)

NOTE DI REGIA C’eravamo tanto amati. C’è stato un tempo dove questa strana famiglia non era poi così strana. I ruoli erano ben distribuiti, con credibilità e senza eccessi, e ogni personaggio poteva considerarsi utile allo spettacolo del quotidiano. Ognuno al proprio posto, con ordine e naturalezza. Chi indossava il costume dell’intellettuale, ad esempio, era da considerarsi metafora di speranza futura ed era opportuno riservare ad esso amore e gratitudine come ad un eroico e fascinoso cavaliere. Era lecito che una bella e gentile ragazza si invaghisse del proprio professore ed era altrettanto plausibile che la famiglia della giovine tutelasse il sapiente uomo come un animale in via d’estinzione. E così Vera si sposa con Aleksandr, lo porta a Casa e la storia comincia. Gli abitanti del pianeta Čechov si animano, trovano una dimensione adeguata alla propria formazione, tutti remano nella medesima direzione e la possibilità di una Russia efficace e vincente smette di essere un miraggio e si tramuta in un concreto e reale domani. In una dimensione dove l’uomo è artefice del proprio destino la felicità potrebbe trovare il giusto spazio. Ma Vera muore e tutto cambia. La speranza si spegne e chi prova a ricominciare suona ridicolo nel suo tentare. Il cuore si tinge di nero e questa possibile colorata commedia diventa una dissacrante e continuata risata isterica ad un funerale. L’idea di un paese guidato dai suoi pensatori è sepolta e noi non possiamo che fare i conti partendo da questo inesorabile dato di fatto. Questa casa è culturalmente morta, amici miei. È governata da ignoranti e da sterili ideologie. Ce lo ricorda lo Zio, quel buffone vestito male che palpa con gli occhi le nostre fidanzatine e aspetta le riunioni di famiglia per alzare il gomito e sbatterci in faccia la nostra condizione perennemente umiliante. Inutile lavorare, inutile impegnarsi, inutile studiare. Dice, lo zio. Meglio aspettare un reddito senza sudare, meglio lamentarsi di chi ha distrutto il talento.

La seconda tappa del Progetto Čechov abbandona il gioco e si imbruttisce col tempo. Spazza via i contadini che citano Dante a memoria per consentire un abuso edilizio ambizioso e muscolare. C’era un grande prato verde dove nascono speranze e noi ci abbiamo costruito una casa asfissiante con troppe inutili stanze ad occupare ogni spazio vitale. Avevamo sfumature e ora c’è un chirurgico bianco e nero che strizza l’occhio allo spettatore intelligente. Avevamo donne e uomini che cercavano la vita attraverso l’amore ma abbiamo preferito prenderne le distanze. Quando? Quando è diventato “troppo poco” parlare d’amore? Come se poi ci fosse qualcos’altro di interessante. Se nel Gabbiano sprecavamo carta e tempo nel ragionare sulla forma più corretta con il quale passare emozioni al pubblico, divisi tra realismo e simbolismo, tra poesia e prosa, tra registi, scrittori e attrici, e ci bastava una panchina per tormentarci dei dolori del cuore (Quanto amore, lago incantatore!) in Zio Vanja l’arte è relegata a concetto museale, roba da opuscoli aristocratici, uno sterile intellettualismo che non pensa più al suo popolo, che annoia la passione e permette agli incapaci di vivere di teatro.

E allora che questa strana famiglia cantata da Čechov abbia la faccia di Gaber. La sua maschera irriverente. O meglio ancora di Freak Antoni. Che sia stonata e sgrammaticata. Sconfitta dai propri fantasmi. Ripugnante e fastidiosa. Con l’alito cattivo. Più alta del crocchiare di una gallina ad un comizio, più profonda del raglio di un asino messo a pilotare un aereo che si sta per schiantare. Che prenda in giro chi si nasconde dietro ai progetti perché spaventato e che faccia tanti e tanti e sentitissimi applausi a chi crede che Zio Vanja sia un testo attuale perché parla di alberi. Avete costruito un focolare tanto stupido che preferisco congelare al sincero freddo della mia solitudine, lasciatemi fuori, escluso come il cane di Rino Gaetano! Prendetevi le ghiande e lasciatemi le ali.

In questa cosa/casa non ci voglio neanche entrare – ma siate pazienti, l’anno prossimo la vendiamo per davvero! “Non è nulla bambina mia, le oche starnazzano per un po’ e poi si calmano… Starnazzano per un po’ e poi si calmano”.  LEONARDO LIDI

CREDITI

regia LEONARDO LIDI

con GIORDANO AGRUSTA, MAURIZIO CARDILLO, ILARIA FALINI, ANGELA MALFITANO, FRANCESCA MAZZA, MARIO PIRRELLO, TINO ROSSI, MASSIMILIANO SPEZIANI, GIULIANA VIGOGNA

scene e luci NICOLAS BOVEY

costumi AURORA DAMANTI

suono FRANCO VISIOLI

produzione TEATRO STABILE DELL’UMBRIA, TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE, SPOLETO FESTIVAL DEI DUE MONDI

SPETTACOLO AUDIODESCRITTO (domenica 3 dicembre)

 

13 – 17 dicembre

La vita davanti a sé

di ROMAIN GARY EMILE AJAR

Pubblicato nel 1975 e adattato per il cinema nel 1977, al centro di un discusso Premio Goncourt, La vita davanti a sé di Romain Gary è la storia di Momò, bimbo arabo di dieci anni che vive nel quartiere multietnico di Belleville nella pensione di Madame Rosa, anziana ex prostituta ebrea che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani. Un romanzo commovente e ancora attualissimo, che racconta di vite sgangherate che vanno alla rovescia, ma anche di un’improbabile storia d’amore toccata dalla grazia. Silvio Orlando ci conduce dentro le pagine del libro con la leggerezza e l’ironia di Momò diventando, con naturalezza, quel bambino nel suo dramma. Un autentico capolavoro “per tutti” dove la commozione e il divertimento si inseguono senza respiro. Raccontare la storia di Momò e Madame Rosa nel loro disperato abbraccio contro tutto e tutti è necessario e utile. Le ultime parole del romanzo di Gary dovrebbero essere uno slogan e una bussola in questi anni dove la compassione rischia di diventare un lusso per pochi: BISOGNA VOLER BENE.

CREDITI

tratto dal romanzo La Vie Devant soi di ROMAIN GARY Emile Ajar

con SILVIO ORLANDO

con quartetto musicale composto da Kora/Djembe, Percussioni, Fisarmonica, Clarinetto/Sax

riduzione e regia di SILVIO ORLANDO

produzione CARDELLINO

SPETTACOLO AUDIODESCRITTO (domenica 17 dicembre)

 

29 dicembre – 1 gennaio

Cetra… una volta

di TONI FORNARI

Il trio vocale Favete Linguis composto da Stefano Fresi, Toni Fornari ed Emanuela Fresi, accompagnato dalla saxofonista e vocalist Cristiana Polegri, portano al Morlacchi uno strabiliante concerto-spettacolo che vuole essere un tributo al quartetto più celebre del palcoscenico e della televisione italiana dagli anni ’40 agli anni ’80: il Quartetto Cetra. La musica, le canzoni, le parodie memorabili dell’indimenticabile gruppo che ha fatto la storia della televisione e del teatro italiano, sono riproposti in questo spettacolo da tre interpreti eccezionali che costituiscono un concentrato esplosivo di bravura, simpatia, bel canto e trascinano il pubblico nell’epoca splendente dei grandi varietà televisivi. Uno show in cui si alternano e mescolano divertimento scenico e virtuosismo vocale.

“Conosci il Quartetto Cetra?” se lo chiedi a un ventenne scuoterà la testa mettendo la boccuccia a emoticon dispiaciuto. Ma basta canticchiare “Nella vecchia fattoria…” che lui con gli occhi accesi di chi torna all’infanzia risponderà “ia… ia… ò!” Questa è tutta la magia dei Cetra, fanno parte della tua vita anche se tu non lo sai. La loro eredità musicale non ha bisogno di essere riconosciuta; c’è e basta. AUGUSTO FORNARI

CREDITI

con STEFANO FRESI, TONI FORNARI ed EMANUELA FRESI e con CRISTIANA POLEGRI

regia di AUGUSTO FORNARI

una produzione A.T.P.R.

 

12 – 14 gennaio

Le nostre anime di notte 

tratto dall’omonimo romanzo di KENT HARUF pubblicato in Italia da NN Editore

Addie e Louis, entrambi vedovi ultrasettantenni che vivono da soli a pochi metri di distanza, si conoscono da anni, perché Addie era buona amica di Diane, la moglie scomparsa di Louis, ma in realtà non si frequentano, almeno fino al giorno in cui Addie fa al vicino una proposta piuttosto spiazzante. Dal momento che, dopo la scomparsa del marito, ha delle difficoltà ad addormentarsi da sola, invita Louis a recarsi da lei per dormire insieme. Non si tratta di una proposta erotica, ma del desiderio di condividere ancora con qualcuno quell’intimità notturna fatta soprattutto di chiacchierate nel buio prima di cedere al sonno. Ma la società non è pronta a concedere a chi entra nel terzo tempo della vita un sogno romantico. “Un romanzo straordinario, di quelli che si incidono nell’anima e le regalano sollievo e fiducia. Una storia lieve, sussurrata nella notte. Non si sgomita qui per affermare il proprio diritto a esistere, tutto qui è in punta di piedi, delicato, mite. Lella Costa è Addie, Elia Schilton Louis. Due attori magnifici che possono incarnare la dolcezza, la poesia di questa storia con la luce e il garbo che richiede. Noi spettatori saremo con loro e avremo il privilegio di vedere compiersi di fronte ai nostri occhi l’unione delle loro anime”. SERENA SINIGAGLIA

CREDITI

adattamento e traduzione di EMANUELE ALDROVANDI

con LELLA COSTA e ELIA SCHILTON

regia SERENA SINIGAGLIA

produzione TEATRO CARCANO in collaborazione con MISMAONDA

 

18 – 19 gennaio

Grand jeté

di SILVIA GRIBAUDI/ ZEBRA con MM Contemporary Dance Company

NUOVO ALLESTIMENTO

Silvia Gribaudi, l’originale artista torinese che con il suo linguaggio coreografico coniuga danza, ironia, performing art e teatro, torna al Morlacchi con il suo nuovo progetto coreografico realizzato con i danzatori della MM Contemporary Dance Company. Grand jeté è il titolo del lavoro, ma anche ovviamente un famoso salto nella danza classica. Cosa significa fare un salto fisicamente ma anche metaforicamente? Sull’idea del grand jeté, la grande spaccata in aria che viene definita come uno dei passi più impressionanti e virtuosi dell’arte del balletto, lo spettacolo esplora la fine come fonte di nuovi inizi. Un grand jeté, un istante per sfuggire alla gravità, è un passo di transizione che consiste in una momentanea sospensione e in un “lancio” nell’aria. Esplorando il significato metaforico di questo passo virtuoso nella vita di tutti i giorni, Grand jeté diventa un’occasione per ribellarsi e sfidare l’irreversibilità di qualsiasi tipo di finale. Quanto sforzo richiede questo decollo verso l’ignoto e quali prospettive può aprire un atterraggio? Alla luce di questo salto di energia esplosiva, come possiamo affrontare il fallimento come risorsa per decollare di nuovo?

CREDITI

con SILVIA GRIBAUDI, EMILIANA CAMPO, LORENZO FIORITO, MARIO GENOVESE, MATILDE GHERARDI, FABIANA LONARDO, ALICE RUSPAGGIARI, ROSSANA SAMELE, NICOLA STASI, GIUSEPPE VILLAROSA, LEONARDO ZANNELLA

produzione di ASSOCIAZIONE CULTURALE ZEBRA (IT)

 

31 gennaio – 4 febbraio

La mia vita raccontata male

da FRANCESCO PICCOLO

Attingendo dall’enorme e variegato patrimonio letterario di Francesco Piccolo, La mia vita raccontata male si dipana in una eccentrica sequenza di racconti e situazioni che bizzarramente costruiscono una vita che si specchia in quella di tutti. Dalla prima fidanzata alle gemelle Kessler, dai mondiali di calcio all’impegno politico, dall’educazione sentimentale alla famiglia, dall’Italia spensierata di ieri a quella sbalestrata di oggi, fino alle scelte professionali e artistiche che inciampano in Bertolt Brecht o si intrecciano con Mara Venier, lo spettacolo racconta “male”, in musica e parole, tutto ciò che per scelta o per caso concorre a fare di noi quello che siamo. Perché la vita forse non è esattamente quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda. Lo spettacolo è perciò anche una indiretta riflessione sull’arte del narrare, su come il tempo modifica e trasfigura gli accadimenti, giocando a idealizzare il passato, cancellando i brutti ricordi e magnificando quelli belli, reinventando così il reale nell’ordine magico del racconto. In questa tessitura sorprendente si muove Claudio Bisio accompagnato da due musicisti d’eccezione, per costruire una partitura emozionante, profonda ma pure giocosamente superficiale, personale, ideale, civile ed etica.

CREDITI

regia GIORGIO GALLIONE

con CLAUDIO BISIO

e i musicisti MARCO BIANCHI e PIETRO GUARRACINO

musiche PAOLO SILVESTRI

produzione TEATRO NAZIONALE DI GENOVA

 

14  – 18 febbraio

Clitennestra

da La casa dei nomi di COLM TÓIBÍN

NUOVO ALLESTIMENTO

Il regista Roberto Andò porta a teatro il romanzo dello scrittore, critico letterario e autore teatrale irlandese Colm Tóibín dedicato al mito classico dell’eroina greca Clitennestra, l’affascinante e controversa regina assassina interpretata con passione da Isabella Ragonese. Clitennestra vive per vendicare la morte della figlia, Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone agli dèi. La sua vendetta ne innescherà un’altra, e a compierla su di lei saranno i figli Elettra e Oreste. Ma le antiche divinità stanno scomparendo, e la casa un tempo popolata dei loro nomi risuona ormai a vuoto. Entra Clitennestra. «Ho dimestichezza con l’odore della morte», esordisce la regina di Micene, che quell’odore lo conosce bene. L’ha sentito sul corpo della figlia primogenita Ifigenia il giorno in cui il marito Agamennone l’ha sacrificata agli dèi per ottenerne il favore nella guerra imminente, dopo averla attirata all’accampamento con l’inganno. Moglie furiosa e madre straziata, Clitennestra prepara a lungo la sua vendetta e, al ritorno del re, si appresta a sentire di nuovo l’odore della morte, quella di Agamennone questa volta, fra le mura del loro palazzo e per sua stessa mano. Nella lingua precisa, essenziale ed elegante di cui ha dato prova in tutta la sua opera, Tóibín fa rivivere le figure classiche della casata di Atreo e le rende personaggi di carne e sangue, dotati di psicologia, motivazioni e tonalità per una tragedia di passioni e debolezze profondamente umane.

CREDITI

adattamento e regia ROBERTO ANDÒ

con ISABELLA RAGONESE, IVAN ALOVISIO, ARIANNA BECHERONI, DENIS FASOLO, KATIA GARGANO, FEDERICO LIMA ROQUE, CRISTINA PARKU, ANITA SERAFINI

produzione TEATRO DI NAPOLI – TEATRO NAZIONALE, CAMPANIA TEATRO FESTIVAL – FONDAZIONE CAMPANIA

 

28 febbraio – 1 marzo

Ginger e Fred

Di FEDERICO FELLINI

NUOVO ALLESTIMENTO

Monica Guerritore adatta e dirige per il teatro il film capolavoro Ginger e Fred di Federico Fellini interpretato nel 1986 da Giulietta Masina e Marcello Mastroianni. È Natale. Pippo e Amelia, in arte Ginger e Fred, due ex ballerini famosi un tempo, sono stati invitati a esibirsi nello Show natalizio di una televisione privata. L’invito a due vecchie glorie serve alla Produzione solo per riempire lo spazio che chiamano “rigatteria d’antan”. Ma Amelia e Pippo non lo sanno e hanno accettato per ritrovare forse la magia di un tempo o forse un sentimento che si erano negati in gioventù. Nelle ore che precedono lo Show i due vengono sballottati e travolti da un caravanserraglio di personaggi improbabili, sosia, dilettanti allo sbaraglio, affamati che aspirano a un attimo di felicità. Amelia e Pippo in quel contenitore sgargiante e vociante appaiono come due essenze pure e spaesate… E poi tocca a loro. Finalmente in scena: parte la musica, iniziano con i loro primi meravigliosi passi ma salta la luce nello studio e lo spettacolo si interrompe ed è lì che seduti al buio, uno accanto all’altro, Fellini fa dire a Fred quello che lui stesso vuole dire a noi, al pubblico, al mondo: “Siamo due fantasmi che vengono dal buio e nel buio se ne vanno…”. Il loro mondo fatto di Incanto, come la luna di carta che Fred ha chiesto al macchinista di far apparire magicamente durante il ballo, non c’è più. Scrive Walter Benjamin «C’era una volta l’Aura, l’Unicità, l’Incanto oggi c’è lo Shock, l’Urto, l’Impressione»

CREDITI

adattamento e regia MONICA GUERRITORE

con MONICA GUERRITORE, CLAUDIO CASADIO e cast in definizione

una coproduzione TEATRO DELLA TOSCANA, SOCIETÀ PER ATTORI, ACCADEMIA PERDUTA ROMAGNA TEATRI

 

9 – 10 marzo

Igra

Compagnia KOR’SIA

Dopo Madrid, Parigi, Tel Aviv e Berlino, la compagnia spagnola Kor’sia porta in scena a Perugia una creazione ambientata in un campo da tennis, in dialogo tra presente e passato, confrontandosi con i grandi classici della danza per ricollocarli nel presente. Il lavoro nasce da una precedente coreografia del duo Russo/Rosa, Jeux/Nižinskij, un pezzo breve che si concentrava sul processo creativo del leggendario Nižinskij: un campo di ricerca ampio, che ha dato vita a un approfondimento che si realizza ora in Igra. Nei lavori di Kor’sia l’elemento visivo è importante, e in Igra appare in modo sottile e intermittente: gli spettatori si trovano davanti a un’antologia di riferimenti importanti. Un collage che strizza l’occhio allo spettatore, proprio come fa la musica: vicina ai ritmi delle danze russe, con citazioni di Chopin. Lo spettacolo è un’occasione per guardare con occhi nuovi Jeux di Nižinskij e il repertorio dei Ballets Russes, con due testimoni d’eccezione: due sculture, proprio come quelle di Canova, custodi silenziose di epoche, stili e opere che passano e che tornano in forme e versioni diverse.

CREDITI

direzione MATTIA RUSSO, ANTONIO DE ROSA

coreografia MATTIA RUSSO, ANTONIO DE ROSA in collaborazione con gli interpreti

interpretazione ALVAR NAHUEL ROQUERO VELASCO, ANTONIO DE ROSA, BENOIT COUCHOT, GIULIA RUSSO, ANGELA DEMATTE, MIGUEL AREVALO GARCÍA, HELENA OLMEDO DUYNSLAEGER

coproduzione Condeduque Contemporary Culture Center con il supporto di Ministry of Education, Culture and Sports – Government of Spain, Community of Madrid, Madrid City Council, Espai La Granja Valencia, Romaeuropa Festival, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), Istituto Italiano di Cultura de Madrid Con il sostegno di Acción Cultural Española (AC/E)

Nel 2023 la compagnia riceve il prestigioso premio internazionale FEDORA

 

13 – 14 marzo

Hybris

di FLAVIA MASTRELLA ANTONIO REZZA

In scena la nuova dirompente creazione dei due artisti Antonio Rezza e Flavia Mastrella, massimi esponenti del teatro di ricerca, autori di rappresentazioni dissacratorie e innovative, artisti unici «per folle e lucida genialità» come recita la motivazione del Leone d’Oro alla Carriera ricevuto nel 2018. “Come si possono riempire le cose vuote? È possibile che il vuoto sia solo un punto di vista? La porta… perché solo così ci si allontana. Ognuno perde l’orientamento, la certezza di essere in un luogo, perde il suo regno così in terra e non in cielo. L’uomo fa il verso alla belva. Che lui stesso rappresenta. Senza rancore. La porta ha perso la stanza e il suo significato, apre sul nulla e chiude sul nulla. Divide quello che non c’è… intorno un ambiente asettico fatto di bagliori. L’essere è prigioniero del corpo, fascinato dall’onnipotenza della sua immagine trasforma il suo aspetto per raggiungere la bellezza immobile e silente che tanto gli è cara”. ANTONIO REZZA E FLAVIA MASTRELLA

CREDITI

con ANTONIO REZZA

e con IVAN BELLAVISTA, MANOLO MUOIO, CHIARA PERRINI, ENZO DI NORSCIA, ANTONELLA RIZZO, DANIELE CAVAIOLI, CRISTINA MACCIONI e con la partecipazione straordinaria di MARIA GRAZIA SUGHI

(mai) scritto da ANTONIO REZZA

habitat FLAVIA MASTRELLA

produzione REZZAMASTRELLA, LA FABBRICA DELL’ATTORE – TEATRO VASCELLO, TEATRO DI SARDEGNA coproduzione SPOLETO FESTIVAL DEI DUE MONDI

 

23 – 24 marzo

The City

di MARTIN CRIMP

NUOVO ALLESTIMENTO

Jacopo Gassmann – Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro per la regia – porta in scena The City di Martin Crimp, considerato uno dei più importanti e radicali autori del panorama drammaturgico contemporaneo. Una magnifica commedia nera, kafkiana, incentrata sul potere del linguaggio. “A partire dagli anni Novanta, Crimp ha completamente riscritto – sovvertendole e mettendole in crisi – le forme e le regole della tradizione realista anglosassone. Influenzato da Beckett, Pinter e Mamet, il suo teatro è caratterizzato da un’inquietudine e una crudeltà di fondo, spesso stemperate da una vena grottesca e surreale. The City è uno dei suoi testi più rappresentativi: denso, stratificato, inquieto. Il sipario si apre su quello che sembrerebbe un normale interno borghese. Siamo nel pieno di una crisi di coppia. Nessuno sembra capace di ascoltare. Impercettibilmente, quadro dopo quadro, il loro rapporto – come il testo stesso – comincia a mostrare le prime crepe: i confini fra realismo e finzione vengono meno, i personaggi sembrano quasi scomparire nelle loro affabulazioni, e quella che era nata come una semplice tensione domestica si trasforma inesorabilmente in un delirio a due, attraverso cui si insinuano le minacce del mondo esterno. Un mondo dove si può essere licenziati di punto in bianco e in cui le guerre apparentemente lontane possono irrompere improvvisamente tra noi, dentro di noi, come degli incubi in pieno giorno.” JACOPO GASSMAN

CREDITI

regia JACOPO GASSMANN

con (in ordine alfabetico) LUCREZIA GUIDONE, CHRISTIAN LA ROSA, LEA LUCIOLI, OLGA ROSSI

produzione LAC LUGANO ARTE E CULTURA, TEATRO STABILE DEL VENETO, TEATRO DELL’ELFO, EMILIA ROMAGNA TEATRO ERT / TEATRO NAZIONALE, TPE – TEATRO PIEMONTE EUROPA

 

27 – 28 marzo

La Madre

di FLORIAN ZELLER

Lunetta Savino, tra i volti più amati e conosciuti dal grande pubblico per la sua capacità di interpretare donne decise e forti sia al cinema che in tv, torna a teatro con un altro importante ruolo: Anna, la protagonista de La Madre, l’opera di Florian Zeller – scrittore e drammaturgo francese, Premio Oscar nel 2021 – che indaga in modo acuto e profondo il tema dell’amore materno e le possibili derive a cui può condurre. Una donna sola davanti allo specchio della propria vita. La partenza del figlio, ormai adulto, viene vissuta dalla donna come un vero e proprio tradimento, a cui si aggiunge una decadenza dell’amore coniugale in atto da tempo. Anna è ossessionata da una realtà multipla in cui le realtà si sdoppiano creando un’illusione di autenticità costante in tutti i piani narrativi. Il suo mondo è un luogo in cui lei non si riconosce più. Ma la responsabilità di questa solitudine non sta forse anche nell’aver rinunciato alla vita per dedicarsi al proprio unico figlio maschio su cui riversare frustrazioni, rimorsi e ideali d’amore?

CREDITI

con LUNETTA SAVINO

e con ANDREA RENZI NICCOLÒ FERRERO e CHIARASTELLA SORRENTINO

regia MARCELLO COTUGNO

produzione COMPAGNIA MOLIERE

in coproduzione con TEATRO DI NAPOLI – TEATRO NAZIONALE E ACCADEMIA PERDUTA ROMAGNA TEATRI

 

10 – 14 aprile

L’arte della commedia

di EDUARDO DE FILIPPO

L’arte della commedia, la straordinaria opera di Eduardo fa parte della raccolta dei “giorni dispari”, le commedie scritte dal dopoguerra in poi che affrontano le problematiche questioni del vivere quotidiano, delle relazioni private e pubbliche tra esseri umani. Incredibile è la forza e l’attualità del testo che ci porta in maniera diretta a confrontarci con la mortificazione e la censura della cultura. “Due atti e un prologo per un testo magistrale e straordinariamente imperfetto, come imperfetto è l’essere umano alla ricerca della sua identità, del suo diritto di esistere. L’opera ci parla del rapporto contraddittorio tra lo Stato e il Teatro, del ruolo dell’arte e degli artisti nella società, ma le domande, le responsabilità e le debolezze che Eduardo mette in campo ci riguardano tutti e quel “Teatro” si fa risuonatore del nostro rapporto con il potere e con il bisogno di essere ascoltati e riconosciuti. Eduardo tira fuori il suo rospo in gola e affronta tematiche incandescenti, rivendicando con forza la funzione del teatro di insinuare il dubbio nello spettatore, attraverso interrogativi irrisolti e un intenso primo piano sulla faccia e sul corpo dell’attore. Proprio nell’incontro scontro tra tutti i protagonisti della commedia penso stia il segreto del Teatro.” FAUSTO RUSSO ALESI

CREDITI

Adattamento e regia FAUSTO RUSSO ALESI

con (in ordine di locandina) FAUSTO RUSSO ALESI, DAVID MEDEN, SEM BONVENTRE, ALEX CENDRON, PAOLO ZUCCARI, FILIPPO LUNA, GENNARO DE SIA, IMMA VILLA, DEMIAN TROIANO HACKMAN, MICHELE SCHIANO DI COLA

produzione TEATRO DI NAPOLI – TEATRO NAZIONALE, FONDAZIONE TEATRO DELLA TOSCANA – TEATRO NAZIONALE, TEATRO DI ROMA-TEATRO NAZIONALE, ELLEDIEFFE

 

9 maggio

La mano sinistra

Testi e regia INDUSTRIA INDIPENDENTE | Erika Z. Galli, Martina Ruggeri

NUOVO ALLESTIMENTO

Elettricità, magnetismo, incanto. In uno spazio che contiene altre dimensioni, qualcuna racconta. Non c’è dubbio di assistere a qualcosa: sogno, poesia, allucinazione. O l’ultimo barlume di una festa alla fine. Cosa è il meraviglioso per te? Potresti dire cosa c’è oltre la coltre? Da dove nascono le tue domande? Il titolo prende le mosse da un’accezione che nei secoli l’ha indicata come mancina “mancus”, ovvero mancante, sbagliata, storpia, mutilata, rovesciata, invertita, deviata, diabolica, dedita alla magia e all’occulto, portatrice di pericolo e differenza e incapace di una scrittura “corretta, destra, che non sbava l’inchiostro”. La mano sinistra prende forma con il ritmo del suo canto, si apre e si chiude, si gonfia e poi si spegne, si scurisce per poi brillare. La scrittura si fa formula, poesia, incantesimo, allusione, invocazione ed evocazione, in una relazione priva di gerarchie tra corpo e materia, conoscenza e azione, soggetto e ambiente, suono e aspetto fisico luminoso. Un teatro/spazio del simbolico, sospeso tra realtà e finzione, tra tecnica e immaginazione, che chiede di guardare, sentire e riverberare. La mano sinistra è un varietà-teatro di rivista, che convoca la magia come tecnica di un’altra conoscenza, l’analogia che rende corpo visibile il rimosso, la meraviglia che può svelare e riscrivere il meccanismo del reale. Insistere in una strategia manchevole per stare dalla parte di un sapere rifiutato, perdendosi e ritrovandosi nello spazio di confusione tra immagine del mondo e confini dell’umano. Scegliamo l’incanto come parola in cui credere, fidandoci del sentire e del desiderare per accogliere ciò che sfugge alla storia delle nostre coscienze, reimparando la potenza della realtà attraverso l’illusione. Con la partecipazione artistica e scenica di Annamaria Ajmone, Silvia Calderoni, Iva Stanisic e in collaborazione al suono di Steve Pepe e di Luca Brinchi alle luci/ video, La mano sinistra vuole essere una dimensione di ricerca tra diverse pratiche e immaginazioni, uno spazio del possibile, uno studio-scenario dismesso che non vuole smettere di divertire, ovvero “far cambiare direzione”.

CREDITI

arrangiamenti musicali STEVE PEPE, IVA STANISIC, MARTINA RUGGERI

luci e video LUCA BRINCHI, ERIKA Z. GALLI

con ANNAMARIA AJMONE, SILVIA CALDERONI, MARTINA RUGGERI, IVA STANISIC produzione TEATRO DI ROMA – TEATRO NAZIONALE, EMILIA ROMAGNA TEATRO ERT – TEATRO NAZIONALE, LAC LUGANO ARTE E CULTURA, TEATRO STABILE DELL’UMBRIA

 

RIDOTTO DEL TEATRO

 

25 – 26 gennaio

LEONARDO MANZAN

(TITOLO DELLO SPETTACOLO IN VIA DI DEFINIZIONE)

NUOVO ALLESTIMENTO

di LEONARDO MANZAN e ROCCO PLACIDI

Con questo nuovo lavoro, il giovane regista Leonardo Manzan continua la sua personale riflessione sul confine tra spettacolo e arte visiva e dà vita a una performance che vuole mettere in comunicazione e in conflitto i linguaggi di queste due discipline così vicine e insieme così distanti. Arte contemporanea e teatro hanno un corso e un discorso diversi. Proprio a partire dal discorso, perché le parole sono sempre la chiave per comprendere i meccanismi di qualsiasi fenomeno, inizia questo esperimento. Un gioco sul linguaggio, sui linguaggi che alimentano quello che Manzan ha più volte definito il confortante grembo della contemporaneità. La situazione è questa: per qualche motivo uno spettacolo teatrale è finito in un museo o, al contrario, un’esposizione d’arte contemporanea è finita in un teatro. A partire da uno spazio tradizionale che viene esplorato con un meccanismo e un linguaggio insolito si mescolano le carte e si sperimenta cosa succede a confondere i caratteri di queste discipline separate, ma che forse si basano davvero sulle stesse regole. Prende così forma una performance paradossale sul significato e sui limiti della rappresentazione contemporanea.

CREDITI

cast in via di definizione

regia LEONARDO MANZAN

produzione LA FABBRICA DELL’ATTORE-TEATRO VASCELLO, CADMO ASSOCIAZIONE CULTURALE

in coproduzione con OE

 

22 – 23 febbraio

Confessioni di sei personaggi

di CAROLINE BAGLIONI, MICHELANGELO BELLANI

Due attrici in scena, per sei personaggi. I sei pirandelliani che come una bibita gassata premono per esplodere, uscire fuori, raccontarsi. Confessano dettagli, specificano situazioni. Sono personaggi che vogliono cessare d’esserlo; l’unico modo è svelare fatti inediti, impensati, godere di vita propria, svincolarsi dalla storia scritta per loro e alla quale per troppo tempo sono rimasti ancorati. Ma possono farlo realmente? Possono riuscire a smascherarsi, trovare il fondo della propria autenticità, al di fuori della storia che li contiene? C’è una telecamera in scena, uno strumento lasciato in dotazione da qualcuno, chissà, che i personaggi accendono, usano, abbandonano. Ognuno ha il suo punto di vista e vuole convincere della sua verità. Ci troviamo in un sogno, in un incubo, in un teatro? Dentro una memoria? Qual è il ‘luogo’ della realtà? A che servono le storie? A che serve il teatro?

CREDITI

ispirato ai “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello

regia MICHELANGELO BELLANI

con CAROLINE BAGLIONI, STELLA PICCIONI

produzione ATTO DUE/ FONTEMAGGIORE con il contributo del TEATRO STABILE DELL’UMBRIA

 

5 – 6 marzo

ALDST – Al Limite Dello Sputtanamento Totale

di e con VIOLA MARIETTI

LDST è un monologo. È l’affresco in soggettiva di una ragazza tra i venti e i trent’anni, autodistruttiva e ironica, immatura e incasinata, che tenta di barcamenarsi in quel disastro sconsolante che potremmo chiamare: la sua vita. È un piano sequenza di tutti i suoi casini, a partire dal pranzo di Natale in famiglia per passare dai pit-stop deleteri della sua quotidianità, dove ogni giorno lotta grossolanamente contro quell’indefinita zavorra che la trascina sempre in basso. Tutto orbita intorno a quell’inquietudine, abbastanza diffusa oggi, di chi soffre di adolescenza lunga e si scarrozza così maldestramente in un tempo che ormai è appurato essere senza senso che alla fine sprofonda sempre dentro se stesso e non riesce a mettere a tacere il cervello. In estrema sintesi: è una ragazza che cerca violentemente di essere felice e tendenzialmente non ce la fa. Una ragazza che ha tutto ma non ha niente. Solo se stessa. E non sa che farsene.

“Con un linguaggio che miscela momenti poetici a uno slang ruvido molto milanese, sul palco un affresco a più voci che tra amici immaginari, postumi alcolici e feroce ironia interpreta il sentire dell’autrice e non solo” LIVIA GROSSI, IL CORRIERE DELLA SERA

CREDITI

regia MATTEO GATTA, VIOLA MARIETTI

drammaturgia VIOLA MARIETTI

produzione TRISTEZA ENSEMBLE, MISMAONDA

 

4 – 6 aprile

Il male sacro

di MASSIMO BINAZZI

NUOVO ALLESTIMENTO

Antonio Latella guida i giovani dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico nella messa in scena de Il male sacro, importante opera di Massimo Binazzi, stimato letterato del dopoguerra, autore e regista teatrale umbro. Il testo fu scritto a partire da una lunga permanenza dell’autore in Calabria, dove infatti il testo è ambientato. Il male cui fa riferimento il titolo è l’epilessia, disturbo neurologico associato storicamente a esperienze religiose o demoniache che secondo le credenze mettevano in contatto il malato con messaggi divini. A esserne colpita è il personaggio di Mara, figlia (insieme a Rosaria, Xenio e l’ultimo arrivato e primo figlio maschio, Alex) di Kyria e Pietro Morace. Strutturato in quattro atti suddivisi in quadri, il testo parte dalla scena finale e vive attraverso la ricostruzione quasi visionaria dei ricordi del passato, rivissuti dagli occhi ammalati di Mara. Sullo sfondo delle vicende politiche e sociali ai tempi della Campagna d’Etiopia, fino allo scoccare della Seconda Guerra Mondiale, l’epopea di questa famiglia attraversa vicende e scosse: dal crudo rapporto tra Kyria e Pietro al matrimonio di Rosaria con il “borghesuccio” Antonio; dalle aspirazioni della pura Xenio, che però muore orribilmente, allo sguardo di Mara sulla realtà, al suo amore per il disertore Michele, fortemente legato anche al fratello Alex; dalla partenza del padre Pietro per la guerra in Etiopia, al tradimento della moglie in assenza di lui. In questo vortice di ricordi, la tragedia si compie nell’uccisione di Pietro, da parte di sua moglie Kyria, mentre Mara – nel male sacro – induce suo fratello Alex a uccidere la madre che giace con l’amante. Questo poema tragico, nella visione storica dell’autore, tra guerra, antifascismo, trasformazione delle con – dizioni economiche e sociali del paese, mette al centro la vicenda umana, seguendo un processo poetico di rara potenza.

CREDITI

regia ANTONIO LATELLA

con ILARIA ARNONE, JACOPO CARTA, VANDA COLECCHIA, ENY CASSIA CORVO, LEONARDO DELLA BIANCA, CHIARA DI LULLO, LEONARDO DI PASQUALE, LUCA INGRAVALLE, FABIOLA LEONE, PAOLO MADONNA, FEDERICO NARDONI, FAUSTO STEFANO MARIO PEPPE, MARIA VITTORIA PERILLO, DOMENICO PINCERNO, MICHELE SCARCELLA, MARIA GRAZIA TROMBINO, TERESA VIGILANTE

assistenti alla regia CONSUELO BARTOLUCCI, FABIO FALIERO, ENRICO TORZILLO costumi e supervisione all’allestimento scenografico GRAZIELLA PEPE

Ripresa della scenografia dello spettacolo “In cerca d’autore” diretto da Luca Ronconi, di Bruno Buonincontri

movimenti e supervisione alle coreografie FRANCESCO MANETTI

coreografie LUCA INGRAVALLE, FABIOLA LEONE

luci SIMONE DE ANGELIS

consulenza al progetto sonoro FRANCO VISIOLI

Mara (Official Soundtrack “Il Male Sacro”) di Meta & Upnea

video LUCIO FIORENTINO

costume della Madonna realizzato da Annelisa Zaccheria per Eduardo II

produzione ACCADEMIA NAZIONALE D’ARTE DRAMMATICA SILVIO D’AMICO, SPOLETO FESTIVAL DEI DUE MONDI, collaborazione per la Stagione 2023/2024 TEATRO STABILE DELL’UMBRIA

 

21 – 22 maggio

Questo è il tempo in cui attendo la grazia

da PIER PAOLO PASOLINI

Una biografia onirica e poetica di Pier Paolo Pasolini attraverso le sue sceneggiature. “I temi dello sguardo e dell’ecfrasi sono centrali in questo lavoro. Si comincia col bambino che vede il mondo, la luce, la natura, sua mamma per la prima volta (Edipo), si prosegue con lo sguardo antico e religioso sul mondo del Centauro (Medea) e si arriva fino allo sguardo su un’Italia imbruttita dal nuovo fascismo consumista (La forma della città) passando per la “disperata vitalità” presente nel fiore delle Mille e una notte e per la scena della Ricotta nel quale il regista viene intervistato e recita “io sono una forza del passato”. I termini “vede”, “vediamo”, “guarda”, “Attraverso gli occhi di…” compaiono spesso in tutti i testi scelti e creano questo filo rosso sul tema del vedere che è molto importante in un periodo nel quale la capacità di guardare le cose si è atrofizzata. Quello che ci interessa esplorare non è il suo cinema ma il suo sguardo. Uno sguardo che ci riguarda, sempre”. FABIO CONDEMI

CREDITI

drammaturgia e montaggio dei testi FABIO CONDEMI, GABRIELE PORTOGHESE

regia FABIO CONDEMI

con GABRIELE PORTOGHESE

produzione LA FABBRICA DELL’ATTORE-TEATRO VASCELLO, TEATRO VERDI PORDENONE, TEATRO DI ROMA-TEATRO NAZIONALE

 

RASSEGNA “PERCHÉ NON BALLATE?”

 

26 ottobre

The time is out of joint

di OPERA BIANCO

NUOVO ALLESTIMENTO

Il gruppo artistico umbro Opera Bianco presenta al Morlacchi il suo nuovo lavoro, frutto e sintesi di un lungo percorso di ricerca con l’obiettivo di mettere in dialogo, attraverso un’operazione di montaggio, due performance distanti nel tempo ma legate tra loro da due potentissime figure della tradizione: l’Amleto e il Clown. XX, XY primo passo nella tragedia di Amleto (2013) è legato alla tragedia shakespeariana in modo diretto, l’intera performance ruota intorno alla scena dell’avvelenamento del padre di Amleto attraverso l’orecchio. Il rapporto di Jump! (2021) con l’Amleto invece è meno esplicito, quasi “chimico”: partendo dalla scena dei due becchini clown, il testo è smagnetizzato per giungere a una sintesi coreografica. La danza e la coreografia approfondiscono il rapporto tra figurazione e astrazione evolvendo il seme contenuto in XX, XY in una visione universale sulla capacità umana di cadere e sollevarsi, al centro di Jump!. Nella stessa serata il pubblico vedrà un lavoro dopo l’altro e tra i due, a scena aperta, il cambio: una dissolvenza incrociata organizzata come un momento performativo. Si smonterà concretamente un mondo per montarne un altro. Con questa operazione di montaggio si condivide un passaggio spazio-temporale tra i due lavori, nel quale il paesaggio linguistico si costruisce per analogie, accostamenti, riprese, contrasti ed evoluzioni. Amleto dice the time is out of joint (il tempo è fuori dai cardini), e il mondo nel 2023 non dice altro. L’arte ci permette di giocare con il tempo smontando e rimontando i linguaggi, passando sempre attraverso lo studio sul ritmo e sul corpo, dal ticchettio di una goccia alla creazione di una nuvola.

CREDITI
concept, coreografia e regia MARTA BICHISAO e VINCENZO SCHINO

performer EMILIANO AUSTERI, MARTA BICHISAO, SAMUEL NICOLA FUSCÀ, C.L. GRUGHER, LUCA PIOMPONI, SIMONE SCIBILIA

produzione PINDOC, OPERA BIANCO

 

10 novembre

Higher

concetto e coreografia MICHELE RIZZO

HIGHER è uno spettacolo di danza ispirato e basato sull’esperienza del clubbing e della club dance. Una forma di danza intesa come una forma umana di espressione e che assume il ruolo culturale di una danza sociale caratterizzata da tecniche, stili e influenze diverse.

“Per quanto riguarda l’essere umano che ha abbracciato un’identità politica, sessuale, religiosa e familiare, stiamo attraversando un periodo di grandi crisi di identità – afferma la filosofa Julia Kristeva – Abbiamo bisogno di trovare un linguaggio che trascenda l’umano in modo da superare tali crisi e risvegliare un nuovo Rinascimento. Questa lingua può essere la danza”. Michele Rizzo interpreta questo potere catartico della danza come una forma di preghiera e di celebrazione dell’esistenza: “Trovo nel club un luogo per tale attività trascendente, che corrisponde all’associazione spesso usata tra club e luoghi di culto, per quanto oscurata dalla più comune interpretazione del clubbing come mera attività ricreativa. In questa performance, mentre cerchiamo di trasferire l’essenza magica del club nel contesto teatrale/rappresentativo della scatola nera, e confidando nella danza come pratica che compensa il fatto che non potremo mai essere l’altro, tentiamo di divenire Uno”.

CREDITI

musica originale LORENZO SENNI

danzatori JUAN PABLO CAMARA, MAX GÖRAN, MICHELE RIZZO

produttore esecutivo MICHAEL SCERBO

 

25 – 29 gennaio

Insel

concept, coreografia, voci PANZETTI / TICCONI

L’impatto fisico del naufrago su un’isola deserta e la caduta nel profondo della propria interiorità, sono in Insel collisioni equivalenti. Insel, in italiano ISOLA è una creazione coreografica e sonora per 4 performer, che sceglie una condizione geografica come riferimento simbolico per volgere lo sguardo all’individuo e l’inevitabile incontro con la propria ombra. Due figure, sorvegliate dalle loro ombre, trovano nel monologo l’unico canale espressivo. Compiaciute dai loro stessi toni sofferenti non contemplano la presenza dell’altro. Precipitano nell’oscuro del proprio essere, inscenando il dramma del proprio narcisismo.

Le ombre si estendono come oscurità maestosa e voce, una voce antica, profonda, che con vibrazioni telluriche dissestanti scardina ogni tipo di protagonismo egoico e lascia spazio, tra il terreno sformato e scosso, al possibile emergere di una comunità. Il lamento, da solitaria narcisistica espressione del singolo, si struttura in cadenzati gesti collettivi. Le prefiche conducono il rituale, mentre la voce dell’isola accompagna e lenisce.

La voce è interpretata da Gavino Murgia secondo la tradizionale tecnica del Cantu a Tenore originaria dell’isola di Sardegna.

CREDITI

interpreti SISSJ BASSANI, EFTHIMIOS MOSCHOPOULOS, ALEKSANDRA PETRUSHEVSKA, JULIA PLAWGO

produzione PANZETTI/ TICCONI GBR (DE); ASSOCIAZIONE CULTURALE VAN (IT)

IL PROGETTO È SOSTENUTO DALLA RETE JUMP, DI CUI IL TSU È PARTNER

 

10 febbraio

Sottobosco

di CHIARA BERSANI

«Sono crollate quelle strutture le cui lunghe dita accarezzavano la mia testa sussurrandomi all’orecchio che ero ben accolta, ben accettata. No, non c’è alleanza, non c’è conforto, ma se ti arrendi mi posso prendere cura di te» CHIARA BERSANI

Un gruppo di bambini e bambine con disabilità si perde nel bosco. O forse sono stati abbandonati. Forse inseguivano un amore. Forse il bosco, un giorno, è semplicemente cresciuto attorno a loro. Cosa potrebbe accadere? Cosa ne sarà dei loro corpi? Cosa dei loro cuori? Delle carrozzine e delle stampelle? Cosa guarderanno i loro occhi? Che lingua parleranno? E chi li trova per caso o desiderio, come deve avvicinarli? Può farlo? Saprà chiedere permesso? Sottobosco costruisce un ambiente in cui gruppi estemporanei di persone con disabilità si potranno incontrare e diventare comunità. Ci sarà un cielo sopra le nostre teste, inaccessibile e orizzontale, nel quale si muoveranno suoni e luci con la stessa inesorabile andatura dell’universo che si espande. Ci sarà un sottobosco che vivrà sotto quel cielo e sarà abitato dai performer, dal pubblico, da altri suoni e altre luci che vivranno tremanti come i corpi e le piante. Micro suoni, mondi piccolissimi che abitano queste macroforme, dettagli che costruiscono un ambiente spaziale vivo e in ascolto, in continua trasformazione.

CREDITI

azione, creazione, testi CHIARA BERSANI

azione, performer ELENA SGARBOSSA

produzione CORPOCELESTE C.C.0.0#

 

21 marzo

Le sacre du printemps

di DEWEY DELL

In ogni metamorfosi e grande cambiamento dell’essere umano, la morte è sempre al fianco della vita, manifestandosi come un rito di passaggio o di rivoluzione interiore. Nel mondo animale e vegetale la compresenza di vita e morte diviene ancora più letterale; spesso la morte fa parte del processo fecondativo, e la vita pullula sulle carcasse decomposte. Soprattutto nel mondo degli insetti, dei semi e delle muffe la morte è una presenza espansa: la morte è un invito alla vita. La rigenerazione ciclica delle stagioni e della fecondità della terra non sono un percorso lineare, ma lo sconquasso di tutti gli elementi. La primavera è il periodo di massimo turbamento e il terrore dell’esistenza si fonde alla gioia vertiginosa dell’esserci.

DEWEY DELL è una compagnia di danza e performing arts attiva dal 2006 e composta da Teodora Castellucci, Agata Castellucci, Vito Matera e dal musicista Demetrio Castellucci. Le realizzazioni della compagnia sono state presentate in alcuni dei più rilevanti contesti internazionali, tra cui Arts House e Melbourne Festival in Australia, Rencontres Chorégraphiques e Palais de Tokyo a Parigi, Wesleyan University e Macalester College negli USA, Mime Festival al Barbican di Londra e A l’Arme Festival a Berlino.

CREDITI

musica originale IGOR STRAVINSKIJ

concept e regia DEWEY DELL

con AGATA CASTELLUCCI, TEODORA CASTELLUCCI, ALBERTO “MIX” GALLUZZI, DYLAN GUZOWSKI, NASTYDEN

coreografia TEODORA CASTELLUCCI

produzione DEWEY DELL