San Venanzo, Fabrizio Moro e la “venanzite” dentro

In 2000 per il concerto da esplosione vulcanica del cantante romano che incanta San Venanzo
Voce che sgorga come lava, suoni che dirompono come dalle viscere di un vulcano, stati d’animo a tratti improntati alla dolcezza ma anche duri come la “venanzite”, una roccia che a cercare nel mondo si trova solo in quest’angolo del cuore dell’Umbria e deriva da un particolare processo di consolidamento della lava. Abbinamenti perfetti tra Fabrizio Moro e lo scenario naturale di San Venanzo, che non poteva essere migliore per ospitare un’anima controversa e arrabbiata, severa con la società e se stesso, decisa, ma anche grata alla vita e al suo lavoro, come quella del cantante romano, che ha chiuso proprio nel Parco Vulcanologico a cavallo tra le due provincie umbre la prima parte de “La mia voce tour” 2022.

Occasione propizia per un’esplosione di emozioni lunga due ore “InCanto d’Estate”, il Festival della Musica d’autore che il Direttore Aertistico Filippo Pambianco e i tantissimi ragazzi della Pro Loco del posto hanno saputo far crescere dal 2011 fino a diventare un appuntamento annuale di primo livello sia per i big del panorama nazionale e sia per i significati legati alla promozione del territorio e alla valorizzazione dei prodotti tipici. E lui, a 47 anni e una vita di tormenti e resurrezioni, è sembrato calarsi nella dimensione ben oltre il ruolo dell’ospite di turno, lì dove insistono tre piccoli vulcani “vecchi” di 265.000 anni. Tanto che i primi due pezzi, “La mia voce” e “Questa è benzina”, sembrano far ribollire palco e platea; e tanto che dopo nemmeno mezz’ora di concerto va in tilt una delle due colonne di amplificazione costringendolo a dirottare la scaletta su un paio di pezzi acustici in attesa che tutto torni in ordine. “Colpa tua che gli hai dato troppo forte, hai rotto le casse!”, urlano scherzando gli “Ultras del Moro”, fan club onnipresente tra i quasi duemila spettatori arrivati da ogni angolo dell’Umbria e da tutte le regioni limitrofe in una notte che si fa sempre più calda.

In effetti, la potenza della voce del buon Fabrizio, al pari di un’agitata ma gioiosa e coinvolgente presenza scenica, avvolge e riscalda; entusiasma e mette voglia di cantare, tutti insieme, quella sua rabbia che svela a nudo le contraddizioni di un paese vicino allo sfascio, ma sa anche alternarsi alle dichiarazioni d’amore tipiche dei suoi testi. Diventando romantico e rivelandosi a volte fragile. In mezzo, il suo orgoglio di avercela fatta dopo le difficoltà personali della vita e l’invito a non mollare, credere, cercare la verità e l’amore. Si dipanano, così, i pezzi più recenti e soprattutto i cavalli di battaglia: impossibile non citare il tripudio dei fans mentre risuonano in ordine sparso “Figli di nessuno”, “Alessandra sarà sempre più bella”, “Pensa”, “Portami Via”, “Per me”, “Libero”, la vincente (sulla ruota di Sanremo) “Non mi avete fatto niente”. Tutte canzoni destinate a… “L’eternità”. Fino al doppio bis di rito e all’abbraccio della sua gente. Che è anche la sua forza. Amplificata a San Venzanzo dalla natura con i suoi misteri che raccontano di uova di dinosauro ed un cranio di Elephas meridionalis; e corroborata da svariati pizzichi musicali di artistica follia.

F.B.