C’è un futuro per il cattolicesimo democratico?

di Pierluigi Castellani

Con l’approssimarsi di una consultazione elettorale e con l’intensificazione del dibattito politico sorge ,quasi naturale, la domanda se ci sia ancora un futuro per la tradizione cattolico-democratica nel nostro paese. E più urgente ancora è l’interrogativo sul modo con il quale possa ancora questa tradizione offrire il proprio contributo per migliorare la politica del paese. Siamo oramai abituati ad assistere alle strumentalizzazioni dei simboli della fede ( croci, rosari, immagini sacre ed altro), che viene fatta da leader politici in cerca di consenso per cercare spesso di carpire il voto dei cattolici su piattaforme elettorali, che ben poco hanno a che fare con i contenuti affermati nella dottrina sociale della Chiesa ed avvalorati da una lettura autenticamente di fede del Vangelo di Cristo. Non c’è  in queste ostentazioni solo una contraddizione con il principio laico a cui si ispira ogni democrazia autenticamente liberale, c’è anche e soprattutto la resa alla secolarizzazione della società, che è l’evidente fenomeno di una contemporaneità, che ha oramai rinunciato ad un’autentica vita di fede illudendosi, che sia possibile contrastare questa secolarizzazione marcando lo spazio pubblico con simboli, che sì attengono alla nostra tradizione storica e culturale, ma che in questo modo rischiano di perdere il loro forte richiamo ad un’interiore ed autentica conversione al messaggio evangelico.                  

Non a caso Olivier Roy nel suo libro, recentemente tradotto in italiano, si interroga se “ L’Europa è ancora cristiana?” quando constata che “il cristianesimo dunque non è più una religione,ma un’identità”, perché siamo in presenza de “la trasformazione dei simboli religiosi cristiani ( la croce, il campanile, il presepe ecc.) in marcatori culturali identitari, che non sono associati a una pratica religiosa”. Si potrebbe aggiungere anche che questa riduzione dei simboli religiosi ad una mera affermazione di un’identità, che non si sa come altro salvare, sembra purtroppo essere avvalorata da quello scisma strisciante e non dichiarato, che si avverte tra un certo mondo cattolico e la predicazione apostolica di Papa Francesco, che venendo “dalla fine del mondo” non ritiene che compito peculiare della Chiesa sia quello di restringersi entro il recinto di una identità occidentale ed europea quando la Chiesa è universale per sua definizione.

Per questo il compito del cattolicesimo democratico, in quest’oggi in cui ci è dato di vivere, è quanto mai arduo perché avendo sempre affermato, da Sturzo in poi, la laicità della politica sa che i valori evangelici devono essere lievito di una buona politica e non già strumentale ostentazione senza un’autentica vita di fede. Non a caso la “Lumen Gentium”, per chi ha ancora memoria del Concilio Vaticano II, ricorda che compito dei laici è “ manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della fede, della loro speranza e carità”. E’ proprio nel tornare alla testimonianza, che si combatte la progressiva secolarizzazione della società, e questo anche in politica dove la ricerca del bene comune deve essere il principale obbiettivo di ogni attore pubblico cercando di essere profeti  senza rivestirsi di una corazza identitaria, che rimarrebbe vuota, se non accompagnata da un autentico spirito evangelico. Il cattolicesimo democratico è proprio nato per questo, per consentire l’impegno autonomo dei cattolici in politica nel rispetto dei valori democratici e senza impegnare in questo direttamente la Chiesa. E questo vale anche per le elezioni regionali del 27 ottobre p.v. nella speranza che gli elettori umbri sappiano distinguere il grano dal loglio, che altrimenti rischierebbe di infettare anche lo spazio politico regionale.