C’è un futuro per il Pd?

di Pierluigi Castellani

L’inaspettata e repentina iscrizione al PD, avvenuta dopo la sconfitta del 4 marzo, di Carlo Calenda ha interrogato tutti sul futuro di questo partito da alcuni dato frettolosamente per spacciato. Calenda iscrivendosi al PD ne ha dato anche le motivazioni ritenendo necessario salvaguardare un argine democratico e riformista al dilagante populismo sia di destra che di sinistra. Ed ha aggiunto anche qualche indicazione su quella che secondo lui dovrebbe essere la direzione di marcia. “Basta con il blairismo di maniera” ha detto Calenda essendo stato l’errore di fondo quello di aver tentato di esorcizzare le paure degli italiani senza capirle perché ciò ha dato “la sensazione di essere un partito di élite”. Certamente non sono sufficienti queste affermazioni per delineare una completa proposta per fare uscire il PD dalle difficoltà in cui si trova, anche se sembra che la mossa di Calenda non rimanga isolata se anche un altro big come Oliviero Toscani sente il bisogno ora di iscriversi al PD. Quindi il PD, almeno per il momento, non appare in liquidazione come invece ha adombrato un non troppo  lucido Eugenio Scalfari quando dice che “Di Maio è il grande partito della sinistra europea”. Infatti ora il PD, sia pure trovandosi in grande difficoltà, è però al centro di una eventuale soluzione al rebus della formazione del nuovo governo. Chi ha vinto infatti non ha i numeri in parlamento per far nascere un governo e così il PD si trova a dover subire un forte pressing sia da parte di Di Maio che di Salvini, che sono i due pretendenti alla carica di premier. E’ del resto abbastanza singolare che il PD dopo essere stato al centro di una feroce campagna elettorale ora si trovi ad essere corteggiato proprio da parte di chi ne ha predicato la sconfitta e la irrilevanza. Appare evidente che le proposte di Salvini e di Di Maio, pur vincenti, non sono , non solo numericamente ma anche credibilmente, capaci di rappresentare una solida piattaforma di governo. Quando si conquistano i voti con le proposte più demagogiche poi gli elettori vogliono passare subito all’incasso ed allora il demagogo di turno si trova in seria difficoltà. Le puntuali richieste presso gli sportelli dei patronati di poter inoltrare subito le domande per il reddito di cittadinanza e delle persone anziane di riscuotere le pensioni a mille euro mensili, promesse da Berlusconi, lo stanno a dimostrare. Ma questo rivela i sentimenti e le aspettative della gente che vota, perché giustamente in democrazia uno vale uno, e che non ha abita  al centro di Milano o di Roma. Questa gente rimasta preda della demagogia, che ha imperato nell’ultima campagna elettorale, è anche rappresentativa di quegli elettori che hanno abbandonato il PD perché  questo partito, considerato di élite secondo Calenda, non ha saputo rappresentarli ed offrire risposte adeguate a rassicurarli. Questo è certamente una necessaria riflessione che dentro il partito deve investire tutti, perché non è stato solo Renzi a mancare ma anche una generale tendenza a sfuggire ai problemi contingenti per rincorrere vecchie parole d’ordine o immaginare irreali dissertazioni sui limiti di una incontrollata globalizzazione senza accorgersi che la coperta, sempre più corta, del welfare non poteva essere tirata da tutte le parti senza lasciare qualcuno al freddo della propria solitudine. Occorre quindi ripartire da una profonda riflessione su che cosa sia oggi una sinistra di governo e riformista in una società siffatta, dove si registra un’Italia del Sud interamente incantata dalla sirena grillina ed un’ Italia del Nord  preda della propaganda sovranista e semplificatoria della Lega di Salvini, che ha promesso flat tax, niente burocrazia, niente migranti e niente lacci europei come se il nostro paese non fosse già immerso nel mondo e nell’Europa di oggi bensì in un’ astratta dimensione di isola utopica dove il resto del mondo rimane lontano ed irraggiungibile. Il Pd deve riuscire a declinare in modo nuovo il suo essere di centrosinistra sapendo che non ci sono soluzioni ideologicamente prefigurabili ed offrendo una sponda a quanti, e ce ne sono ancora molti in tutti gli schieramenti, che credono nell’Europa, in un mondo senza troppi steccati, che aspira alla pace ed alla prosperità ma che non lascia nessuno al margine del processo di mondializzazione in cui inevitabilmente siamo immersi. Per fare questo occorre iniziare una lunga marcia, con umiltà ed inevitabilmente con una nuova dirigenza, che si ponga con attenzione, senza arroganza o presunzione a tessere questa nuova tela, che deve salvare le istanze del riformismo ,che certamente non sono scomparse nella società italiana. Con questo non significa sminuire quanto fino ad ora è stato fatto, perché i risultati ci sono e non possono essere traditi o persi da qualche irresponsabile governo, che nasca sull’improvvisazione. Occorre anche abbandonare una certa narrazione tutta ottimistica che ha sicuramente allontanato chi si è trovato ai margini dopo la crisi di questi anni. Farsi pienamente carico di chi è senza lavoro, di chi è in difficoltà perché anziano con pensione al limite della povertà, di chi teme per la propria sicurezza e serenità deve essere compito di un PD rinnovato dove anche la lotta intestina, la contrapposizione continua, il correntismo esasperato abbiano davvero fatto il loro tempo. Ci vorrà tempo ed umiltà, disponibilità all’ascolto e per fare questo non si può ora che rimanere all’opposizione. Chi ha vinto ha il diritto-dovere di governare, deve dimostrare se le sue promesse erano chiacchiere demagogiche o ricette concretamente realizzabili. La risposta al pressante appello alla responsabilità del Capo dello Stato per il PD non può non essere in primo luogo quello di salvaguardare nella società politica italiana l’opzione per un forte ,credibile riformismo di governo sinceramente ancorato al progetto europeo. Se questo non la farà il PD chi mai potrà farlo?

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