Ci sarà una Brexit italiana?

di Pierluigi Castellani

È sempre più ampio il numero dei commentatori che prevedono un effetto negativo sul Pil e sull’occupazione dell’eventuale vittoria del no al referendum costituzionale del prossimo autunno.  Ultimamente è stata la Confindustria a diffondere dati allarmanti circa l’esito negativo del referendum istituzionale. La spiegazione è abbastanza semplice e chiara. Con la vittoria del no infatti verrebbe meno quell’apertura di credito che l’Europa ha fatto all’Italia perché  si è incamminata decisamente sulla strada delle riforme. La bocciatura della riforma costituzionale, frutto di due anni di discussioni parlamentari ma almeno di venti anni di dibattito politico, infatti rischierebbe di fare apparire il sistema Italia come irriformabile e quindi condannandolo alla stagnazione politica ed alla instabilità. Basta ricordare che la flessibilità sui conti pubblici, guadagnata dal ministro Padoan con le sue trattative con Bruxelles, verrebbe meno e quindi questo ridurrebbe le possibilità per il governo di effettuare manovre di intelligente spesa pubblica, ad esempio diminuendo le tasse sul lavoro o rendendo strutturali le facilitazioni fiscali per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.  Tutto questo produrrebbe poi appiattimento del Pil, che si sommerebbe a quello, preannunciato da tutte le fonti di ricerca, dovuto all’effetto Brexit su tutta l’economia europea. Si dirà che  questo scenario esula da una seria valutazione sul merito della riforma. Ma come ci si può sottrarre da una valutazione complessiva dell’effetto referendum quando tutti gli antagonisti del sì di tutto parlano tranne che del merito della riforma. Anche recentemente la saggistica, che si sta sviluppando per dare forza al no, finisce sempre per valutare negativamente la combinazione tra riforma del senato e nuova legge elettorale. E’ questo in effetti l’argomento forte che viene usato nel confronto politico che ne è nato. Ma questo argomento non riguarda affatto la riforma costituzionale bensì la legge elettorale che può essere modificata, e qualcuno ci sta provando, con una semplice legge ordinaria. Del resto è di tutta evidenza che anche senza la modifica della costituzione, e quindi a regime attuale invariato, una legge elettorale con premio di maggioranza finisce per forza di cose con il favorire chi vince il duello elettorale. Ed allora perché questo accanimento per una riforma che raggiunge obbiettivi, che studiosi e le varie bicamerali, cui la politica ha dato vita nel passato, hanno da tempo indicato: superamento del bicameralismo paritario e senato delle autonomie, come era anche previsto nel tanto lodato programma dell’Ulivo. C’è poi un altro argomento che viene usato e che come l’altro non attiene affatto al merito della riforma. Si dice che la riforma trasformando l’attuale Senato in Senato delle autonomie darebbe potere e rilievo alla classe politica regionale, che sarebbe la più squalificata del paese. Insomma sarebbe come dire, che poiché il papa è corrotto allora aboliamo il papato. La verità è che intorno alla riforma ed al referendum si sta giocando una partita tutta politica, che non ha nulla a che vedere con il merito della riforma medesima. Si vuole mandare a casa il governo Renzi per sostituirlo con un nuovo governo tecnico di larghe intese o con nuove elezioni. Le opposizioni non sono infatti concordi su nulla. I 5Stelle, a suo tempo feroci oppositori della nuova legge elettorale, ora diventati invece suoi estimatori, vorrebbero approfittare proprio dell’Italicum per conquistare il governo del paese, mentre Forza Italia vorrebbe recuperare una sua centralità con un governo tecnico che costringa  alla coabitazione  le forze di centrosinistra e di centrodestra. Come si vede non c’è affatto chiarezza e questa incertezza potrebbe rendere ancora più difficile la ripresa del paese. Ci auguriamo che gli italiani sappiano valutare saggiamente la riforma per quella che è, e cioè una tappa indispensabile sulla strada dell’ammodernamento dell’Italia.

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