CULTURA. BALOCCHI E PROFUMI

di Maurizio Terzetti / Più volte, da queste colonne, è stato rimarcato lo stile muto e compassato con il quale i nuovi Priori del Palazzo comunale perugino si rapportano con l’opinione pubblica. Su questa linea di attenzione critica non preconcetta verso i nuovi amministratori, viene oggi di pensare che lo stile al quale ci stiamo assuefacendo denota una vera e propria scelta culturale, non è più il frutto di una strategia intesa a segnare la differenza ma è, a tutti gli effetti, la “pars costruens” dell’edificio amministrativo che il centrodestra intende erigere. Così il silenzio, che s’immagina molto pensoso e riflessivo, viene a diffondersi, come un lago appena appena increspato, sulla stessa idea di cultura che, in senso proprio, ci si attende da una città che guida se stessa e il territorio verso la competizione finale del titolo di “Capitale europea” della cultura.

Tanta poca presenza sulla scena ambitissima dell’acropoli perugina è stata infranta da tentativi di dialogo con la kermesse di Eurochocolate, da un decentramento nei borghi della platea estiva che era solita concentrarsi intorno alla Fontana Maggiore, dall’enfasi data alla revisione della spesa di cui dovrebbero fare le spese lo Stabile ed altri prestigiosi istituti, dalla defilatissima posizione di Palazzo dei Priori sulla vicenda dell’ostello da costruire in faccia alla Chiesa dei Templari di San Bevignate.

Poco, davvero poco per una città come Perugia, specie se paragonato con lo stupore, di fastidio e non di meraviglia, che pochi giorni fa ha accompagnato la presenza sul Corso di una coreografia a base di giochi gonfiabili che nemmeno nella più ingenua contrada del Bel Paese ci si aspetterebbe più di trovare.

Le proteste contro i “gonfiabili” che hanno riempito il centro di Perugia durante l’iniziativa di un’associazione sportiva sembrano degne di rispetto e, al limite, della massima condivisione. L’acropoli, siamo d’accordo, non è “Fiabilandia” e, soprattutto, Corso Vannucci non ha bisogno di essere ulteriormente colorato da variopinte architetture per bambini, quelli autentici e quelli che lo sono rimasti.

La verità è che tutta l’area fra i due colli di Perugia è abituata, ormai da anni, ad altre invasioni, ad altri accampamenti. Sembra che, per fare qualcosa di grande, a Perugia, si debba occupare per forza il suolo pubblico il più vistosamente possibile, animandolo del più pressante vociare e del più clamoroso sbandierare la salute del corpo e della mente.

La scrupolosa Perugia, la borghese Perugia, l’arcigna Perugia, la “chiusa” Perugia ha dunque cambiato abito ormai irrevocabilmente? Bisogna solo aspettare di vedere che cosa sarà il “Mercato coperto” per rendersene conto fino in fondo: lì già si parla di “ibridi mercatali” e si immaginano incroci virtuosi tra attività da centro commerciale e negozi da filiera corta.

Un lampo mi fa riflettere che c’è stato solo un attimo – tra la fine della stagione con le automobili parcheggiate e circolanti per il Corso e l’inizio dei grandi eventi che gonfiano il Corso, d’estate e d’inverno – in cui si respirava serenamente, a Perugia, sotto il cielo ventoso che scende da Porta Sole. Erano gli anni Ottanta, c’erano ancora i negozi autoctoni, “Fucilino” vendeva in un banco del Mercato Coperto. E, tranne i potenti di quel decennio, allora nessuno si gonfiava eccessivamente nella Perugia di Betti e Simonelli, di Lemmi e Ceccucci.

Quell’attimo di quiete e di progresso maturato con tanta antica sapienza perugina è stato spazzato via da una delle tante bombe d’acqua, venute sulla scia di antichi tsunami, alle quali ci ha abituato l’estate appena trascorsa. Così la città, con il cambio della guardia a Palazzo di Priori, è diventata mentalmente ancora più ottusa di fronte a un patrimonio culturale che, in sé defunto, chiede solo di essere reinvestito in operazioni di lungimirante sistema lungo l’asse che va dalla Rocca Paolina a Porta Sole, integrando le grandi strutture espositive e museali pubbliche con quelle private e potenziando, finalmente, la buia ascesa delle scale mobili.

Altro che gonfiabili, altro che accampamenti! C’è bisogno di sentire parlare il Palazzo dei Priori, di sue prese di posizione sul futuro culturale del capoluogo che non siano chiacchiere in privato o laconici comunicati-stampa. Questa partita a scacchi, combattuta non si sa contro chi, sta diventando molto noiosa e avvilente. Dovremo proprio aspettare l’indomani della scelta definitiva della “Capitale 2019” per avere un quadro più vivace delle scelte culturali di questa amministrazione, che ci piacciano o no? Se il gioco è questo, a che è valso cambiare?

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