Dove va la democrazia?

di Pierluigi Castellani

Nel secolo scorso con l’avvenuta integrazione europea e la sconfitta nell’ 89 del comunismo Norberto Bobbio si era azzardato a chiamare il nostro tempo l’era delle democrazie. Oggi non so se Bobbio affermerebbe la stessa cosa di fronte ad uno scenario che vede l’Europa essere messa in crisi e l’avanzare nel mondo di nuovi populismi con un’interpretazione della democrazia diΓversa da quella classica. Si pensi al consenso in U.S.A. di Donald Trump , in Europa a quello dei vari Marine Le Pen, Salvini, Grillo ( dove è finito il “uno vale uno” ?), Orban ed a quello che, certamente in modo ben più pericoloso, sta subissando in queste ore in Turchia Erdogan, oramai avviato ad una fase di autoritarismo che ha poco a che fare con la democrazia. Eppure questi fenomeni sono accompagnati da largo consenso popolare, che altrimenti avremmo chiamato democratico. Addirittura in Turchia, non oso pensarlo per l’America di Trump, il consenso delle masse viene utilizzato per comprimere i diritti umani che sono alla base di ogni vera democrazia. Ecco perché sembra giusto interrogarsi su quale strada venga intrapresa dalla democrazia e quali siano i cambiamenti che dobbiamo aspettarci quando le masse danno il loro consenso (democraticamente?) ad un capo, che fa della demagogia lo strumento per conquistare questo consenso. E’ pur vero che gli studiosi si sono affannati a definire in vari modi la democrazia dei nostri tempi, che pur senza rinnegare i principi della democrazia rappresentativa, si caratterizza per un nuovo rapporto tra capo e cittadini. Così a vario titolo si è parlato di democrazia del pubblico, di democrazia del leader, di democrazia senza democrazia, di postdemocrazia, di democrazia recitativa come da ultimo in un suo recente saggio ha parlato Emilio Gentile. Tutte queste definizioni individuano nella funzione del leader, e del suo rapporto diretto con i cittadini, la cifra nuova che caratterizza questa stagione senza però mai accreditare come democrazia il superamento della rappresentanza e la scomparsa di quelle garanzie (indipendenza della magistratura, separazione dei poteri,etc.) che assicurano l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l’affermazione delle libertà. Del resto in tutte le democrazie è stata sempre riconosciuta la funzione della leadership, definita appunto democratica. Basti pensare al ruolo riconosciuto a Pericle durante la età dell’oro della democrazia ateniese. Ma oggi si teme che stiamo assistendo ad una vera e propria involuzione del rapporto tra leader e masse, cioè ad una vera e propria manipolazione di quest’ ultime a fini autoritari o pericolosamente involutivi rispetto a quelle che sono le conquiste dell’ultima metà del novecento. C’è infatti il pericolo della xenofobia, e non solo, nel fenomeno Trump e c’è il pericolo di una regressione dalle conquiste europee in Le Pen, Salvini ed anche nei 5Stelle quando si ostinano a mettere in dubbio l’euro, e c’è la riscoperta delle barriere nazionali e di parole d’ordine identitarie, che non hanno nulla a che fare con la giusta valorizzazione delle piccole patrie. Per questo quando si constata, che il rapporto tra il leader e le masse è solo improntato alla ricerca del consenso con ogni mezzo, non si può fare a meno di ricordare Aristotele quando nel suo libro“La politica” avverte che “le democrazie sono soggette alle rivoluzioni provocate dalla mancanza di misura dei demagoghi”. E quando assistiamo alle folle osannanti alla convention di Cleveland del partito repubblicano ed a quelle che nelle piazze della Turchia invocano la reintroduzione della pena di morte sventolando la bandiera che fu di Ataturk, non si può fare a meno di chiederci preoccupati “dove va la democrazia?”.

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