L’Umbria e la difficile ripresa

di Pierluigi Castellani

I timidi segnali di ripresa che si segnalano in Italia, avvalorati anche da una conferma di Ignazio Visco governatore della Banca di Italia, non sembrano comparire anche in Umbria. Recenti dati di Unioncamere segnalano che a fronte di una previsione per i prossimi tre mesi di circa 2760 nuove assunzioni si dovranno registrare 3740 cessazioni di rapporto di lavoro. C’è poi da osservare che questa scarsa propensione della nostra regione ad intercettare i timidi segnali di ripresa si innesta su di un tessuto produttivo che in questi ultimi anni ha subito la recessione in modo più evidente della media del paese. Infatti secondo dati dell’Agenzia Umbria Ricerche nel periodo che va dal 208 al 2012 l’Umbria ha perso 11 punti percentuali di Pil a fronte dei 7 registrati complessivamente in Italia. Tutto questo è certamente dovuto alla crisi vissuta da alcune grandi aziende, si pensi alla Merloni ed all’AST, ma è evidente che la restante struttura umbra delle piccole e medie aziende non ha saputo supplire alle crisi aziendali sopra ricordate con un effetto sul Pil che è quello citato.

Ed allora che fare ? Quali saranno le piattaforme programmatiche dei partiti che si presenteranno alle prossime elezioni regionali ? E’ evidente che a questa domanda dovranno dare una risposta non soltanto le forze politiche della maggioranza ,che ha governato la regione, ma anche quelle delle opposizioni, perché se è mancata fino ad ora un’alternanza nel governo dell’Umbria lo è perché è mancata una vera dialettica sulle misure di governo anche da parte dell’opposizione. Naturalmente la crisi che abbiamo vissuto ha avuto soprattutto risvolti internazionali e nazionali infatti poche sono le competenze regionali in ordine alle politiche industriali e degli investimenti. Ma qualcosa c’è da fare a livello regionale e locale. Innanzi tutto deve essere migliorato, anche se qualcosa si è cercato di fare, il rapporto tra cittadino ed amministrazione pubblica. Troppe ancora sono le rigidità e le incomprensioni che incontra chi ha voglia di creare un’impresa, troppo è ancora il peso dell’apparato pubblico sulla società civile.

Lo sta dimostrando la scarsa propensione con cui si affronta anche in Umbria la riforma delle province anticamera della loro soppressione. Ci si focalizza , giustamente, sugli esuberi del personale senza pensare che questa riorganizzazione può essere invece l’occasione, irripetibile, per una riorganizzazione della macchina pubblica in direzione della trasparenza e dell’efficienza. Così pure la ricorrente giaculatoria sulla necessità dell’innovazione di processo e di prodotto poi non è suffragata da impegni concreti che coinvolgano le istituzioni locali e regionali nella selezione e riqualificazione della spesa. Così pure la formazione professionale, certamente di competenza locale, non viene avviata a fare quel salto di qualità necessario ad agganciare quei timidi segnali di ripresa sopra segnalati. Quel profondo avvio di riforme iniziato dal governo Renzi sembra scontare qualche timidezza a livello locale se ancora ci si attarda a difendere le vecchie strutture, come nel caso delle province, o come nel caso di qualche bandierina locale come sta avvenendo per il progettato riordino del Ministero dei Beni Culturali.

Le resistenze ci sono sempre quando si perde di vista il progetto generale per ricondurlo a casi isolati di ridimensionamento necessario per meglio qualificare la spesa pubblica. Così è nella sanità , così è in altri settori. Ma tutto questo non investe soltanto il settore pubblico, ma anche il settore privato. Quale risposta stanno dando le aziende umbre alla domanda di innovazione che sta investendo tutto il settore produttivo? Ci sono senza dubbio delle eccellenze, ma ancora troppi sperano in una necessaria ripresa dei consumi senza qualificarsi per un mercato più ampio di quello domestico. A queste sfide occorre che tutti diano una risposta. Solo così l’Umbria potrà concorrere a dare il proprio contributo per quella ripresa che l’Italia sta attendendo.

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