Cresce la Filiera del nocciolo in Umbria, raddoppiato il numero di ettari grazie all’accordo con Ferrero

Una filiera che cresce, in professionalità e in organizzazione e prima di tutto anche in ettari coltivati. L’obiettivo che era stato fissato di arrivare a 700 ettari in 5 anni è stato più che raddoppiato, spostando l’asticella a 1.500. È il primo risultato annunciato durante il convegno “Progetto Nocciola Italia – Filiera e aggregazione – Chiave di sviluppo sostenibile” che si è svolto lunedì 8 novembre a Città di Castello, nella sala convegni della FAT.

Aggregazione, transizione ecologica e sviluppo economico sostenibile sono stati i temi al centro dell’incontro arrivato a più di tre anni dalla partenza della filiera del nocciolo in Umbria: gli impianti sono ora una realtà con sempre più imprese agricole che vogliono diversificare le proprie produzioni e incrementare il proprio reddito guardando alla sostenibilità, ambientale ed economica.

L’appuntamento, organizzato da Confagricoltura Umbria (associazione che fin dall’inizio ha supportato questa sfida di grande opportunità per le imprese agricole umbre) e ProAgri (Consorzio produttori agricoli), aveva come obiettivo quello di fare il punto sulla filiera umbra con interventi di Domenico Brugnoni (presidente ProAgri), Angelo Frascarelli (presidente ISMEA), Daniela Farinelli (Dipartimento di scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università di Perugia) e Fabio Piretta (project manager Ferrero Hco). A moderare Fabio Rossi, presidente di Confagricoltura Umbria, con le conclusioni che sono state affidate a Roberto Morroni, assessore regionale alle politiche agricole e agroalimentari dell’Umbria.

Proprio con il Consorzio produttori agricoli della ProAgri, come ha ricordato il presidente Brugnoni, Ferrero Hco ha sottoscritto un primo contratto che prevedeva di raggiungere in Umbria 700 ettari a noccioleto in cinque anni: dai 500 ettari attuali, distribuiti in varie aree della regione e in diverse altitudini altri 100 ettari che saranno messi a dimora proprio nelle prossime settimane. E dopo l’ultima interlocuzione con Ferrero si è quindi arrivati ora ad un ampliamento del contratto, con l’obiettivo dei 1.500 ettari entro il 2026.

Un’esperienza che “segna la nostra regione dal punto di vista dello sviluppo” ha commentato Morroni, con un’estensione a 1.500 ettari “che ci porterà tra le prime 5 regioni italiane”. Per l’assessore, la filiera del nocciolo “è una delle scelte virtuose che questa regione ha fatto, a cui stanno seguendo quelle dell’olivicoltura, del tartufo e del luppolo”. “Un percorso – ha detto – che porta ad irrobustire la capacitò produttiva e a dare sviluppo in generale al settore agricolo che in Umbria ha capacità di crescita, ma solo se saremo capaci di cambiare”.

“Alla luce del biennio di transizione e del PNRR la possibilità di strutturarsi in aggregazioni che portano maggiori opportunità di sviluppo commerciale è la sfida che deve raccogliere l’agricoltura” ha inoltre commentato Rossi per poi aggiungere: “Il modo di coltivare deve evolversi verso la ricerca e la sperimentazione. Transizione ecologica quindi, ma non solo. Partendo dal fabbisogno del mercato è infatti necessario organizzarsi per la produzione, per trasformazione e per la commercializzazione per dare una sostenibilità economica alle imprese. I contratti a lungo termine con le multinazionali, come nel caso della Ferrero per il nocciolo, garantisce la collocazione del prodotto e la sua valorizzazione”.

È stata poi sottolineata “la sensibilità e la lungimiranza” della Regione Umbria che ha permesso di far nascere la filiera del nocciolo ma ora il successo, come ha evidenziato ancora Brugnoni della ProAgri, “è legato anche all’organizzazione ed al supporto tecnico del soggetto gestore che fornisce anche servizi, mezzi tecnici e materiali”. “Dopo soli 3 anni è stato raggiunto un importante obiettivo per l’Umbria” ha proseguito.

È necessario come ha poi evidenziato Rossi, inoltre, “superare il limite della distanza tra impresa agricola e proprietà fondiaria, e su questo stiamo lavorando come filiera visti i tanti campi incolti”. Un mezzo – è stato ricordato – potrebbero essere i contratti di affitto a lungo termine o le associazioni in partecipazione.

Realtà quindi che aggrega vari soggetti – proprietari, tecnici, produttori e trasformatori – come ha ricordato anche il presidente ISMEA Frascarelli, il quale ha evidenziato che il progetto ha tutte le basi per avere successo, anche sfruttando la condizione sociale dell’agricoltura umbra, quella di avere proprietari terrieri senza eredi con terreni non utilizzati.

“Un progetto di filiera – ha spiegato – che sicuramente richiede forte innovazione tecnica e organizzativa. Per un prodotto di qualità con rese interessanti dobbiamo pensare ad una organizzazione che coinvolga tutte le fasi del mercato. Le nocciole in Italia si sono sempre prodotte, con coltivazioni storiche che sono in Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia. C’è oggi un forte aumento di domanda e quindi c’è la necessità che aumenti la produzione anche in zone nuove e l’Umbria è una di queste, dove ci sono le condizioni per avere risultati. Per ottenerli occorre crescere in professionalità e organizzazione”.

Come organizzarsi allora? Sempre per Frascarelli delle tre possibilità offerte dal mercato (spot, gerarchica e ibrida) la forma organizzativa ibrida scelta dall’Umbria (si basa su strutture associative e contratti) è quella corretta “perché consente di ridurre l’incertezza sia per gli agricoltori che per il trasformatore del prodotto”. “Il contratto – ha sottolineato – è la migliore soluzione per far crescere una filiera in fase di formazione visto che l’investimento fatto oggi porta i primi ricavi dopo 5 anni”.

Una formula d’innovazione organizzativa quindi “vantaggiosa, per avere reddito e successo” che in Umbria può ancora svilupparsi, mettendo insieme proprietari fondiari, conduttori di azienda, contoterzisti con forme di compartecipazione ed interlocuzioni con le imprese di trasformazione. Sottolineato quindi anche Il ruolo dei contoterzisti che potrebbe in qualche modo andare a coprire vuoti di investimenti e di capacità imprenditoriale per coltivare il nocciolo, come ha poi spiegato il presidente dell’associazione dei contoterzisti umbri, Sergio Bambagiotti.

E proprio nel settore corilicolo, ha dichiarato nel suo intervento la prof.sa Farinelli del Dipartimento di scienze agrarie, l’Università di Perugia è diventata negli anni un centro di eccellenza per la sperimentazione: “Crediamo che il nostro territorio sia adatto a questa coltura. Abbiamo sperimentato come mitigare gli stress multipli estivi, studiato noccioleti ad alta densità, come avere piante sane e noccioleti produttivi, proteggendo le piante anche dai cambiamenti climatici. Ed inoltre abbiamo fatto ricerche su come aumentare il patrimonio varietale, rendere sostenibili queste coltivazioni e ottimizzare l’uso dell’acqua”.

Anche Piretta della Ferrero ha rimarcato l’aspetto della ricerca che sta dietro a questo settore e che “spinge”, così come la presenza di un consumatore “sempre più attento”. Da qui la costruzione di una filiera che guarda ai prossimi 20 anni: “Abbiamo voluto stimolare un allargamento della base produttiva ad altre regioni tramite l’aggregazione. E quella umbra gestita da ProAgri ha fatto sì che ora si possa parlare di rilancio di superfice. Questo significa aver fatto un ottimo lavoro territoriale”.

Ed un importante sostengo all’aggregazione, come è stato ricordato, è arrivato dalla Regione “con il supporto che sta dando a questa come ad altre filiere”.