Una rete per valorizzare i siti archeologici umbri

PERUGIA – Si è svolto questa mattina a Palazzo Cesaroni il convegno sulla valorizzazione dei siti e delle aree archeologiche umbre organizzato dall’Assemblea legislativa. L’incontro è stato aperto dalla presidente Donatella Porzi e dell’assessore regionale alla cultura, Fernanda Cecchini. Sono poi intervenuti Marica Mercalli, direttore Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio dell’Umbria; Antonella Pinna, dirigente Servizio Musei archivi e biblioteche della Regione Umbria; Simon Stoddart, professore Università di Cambridge; Vincent Guichard, direttore responsabile del Parco archeologico e paesaggistico di Bibracte; Catiuscia Marini,  presidente della Regione Umbria.

Il convegno ha messo a fuoco l’esigenza di puntare alla creazione di una rete dei siti e delle aree archeologiche umbre, mettendo al centro la tutela storica e ambientale per valorizzare strutture e reperti in chiave culturale e turistica, coinvolgendo le comunità, gli enti locali, le istituzioni e i cittadini nell’ottica di creare sviluppo. Siti ed aree archeologiche dovrebbero quindi integrarsi in una rete di attrattori culturali, con effetti positivi sui territori in cui ricadono, su cui far convergere anche le risorse della prossima programmazione comunitaria.

GLI INTERVENTI
PORZI ha aperto i lavori evidenziando che “il 2019 sarà un anno importante per l’archeologia. Auspichiamo di poter contribuire a sottolineare l’importanza di questo patrimonio avviando la verifica della fattibilità della creazione di una rete dei siti e delle aree archeologiche umbre. Nel 2013 siamo riusciti a proporre al ministero il progetto per una area archeologica sul sito di ‘Hurvinum Hortense’ di Collemancio. Da lì è partita una interlocuzione con il Ministero per la sua valorizzazione. Abbiamo compreso che c’erano dei modelli, all’estero, da poter prendere da esempio per valorizzare i siti umbri. In particolare quello di Bibracte, in Francia”.

CECCHINI ha annunciato che la Giunta regionale, nel 2019, “lavorerà su due filoni principali legati alla valorizzazione del patrimonio archeologico dell’Umbria: una mostra che coinvolgerà e metterà in evidenza aree e siti archeologici di Assisi, Foligno, Todi, Orvieto e l’apertura al pubblico, attraverso la la messa in sicurezza e le opportune dotazioni informative e strutturali, delle aree archeologiche che, pur avendo fornito importanti materiali e reperti ai musei territoriali, non sono al momento accessibili per la visita per residenti e turisti. Non tutte queste aree di studio e ricerca sono infatti attrezzate per l’accesso di personale esterno alle attività di scavo, studio e ricerca, ma alcune di queste offrono la possibilità di essere messe a sistema quali punto di un percorso di scoperta della millenaria storia dell’Umbria, che ha lasciato molteplici e sovrapposte tracce in molto stupendi luoghi”.

MERCALLI si è soffermata sui “siti archeologici in Umbria e le azioni di tutela della Sovrintendenza archeologica dell’Umbria. Abbiamo 18 aree in cui è autorizzato lo scavo e la ricerca. È stato stabilito che nel budget di chi svolge le ricerche deve essere prevista una somma per il ripristino ambientale dell’area coinvolta, che altrimenti resta esposta e senza protezione dopo i lavori. È in corso un ambizioso progetto per consentire l’apertura al pubblico dell’area di ‘Campo della Fiera’ ad Orvieto, per la quale c’è stato un importante finanziamento da parte del ministero. Per fare questo andranno messi in sicurezza i percorsi di visita, andranno progettate tettoie di protezione dei reperti e delle stanze scavati, come l’area termale. Alcune delle aree Otricoli, Dunarobba e la Tomba Escana di Porano sono già aperte al pubblico attraverso convenzioni con Comuni e associazioni, anche se esiste il problema delle aree che ricadono su terreni privati. Sono molte le associazioni che chiedono alla Sovrintendenza di collaborare per la valorizzazione di aree di interesse archeologico ed a cui noi riserviamo molta attenzione”.

PINNA ha evidenziato “l’utilità di cercare occasioni di confronto e scambio sulla valorizzazione dei siti archeologici. Non si tratta ovviamente di allestire soltanto nuove zone aperte al pubblico. Sempre più ci troviamo ad affrontare l’impatto ‘negativo’ dell’archeologia, quando reperti e ritrovamenti impattano sulla pianificazione urbanistica. Noi però vogliamo vedere questo ambito come una risorsa, un metodo di interpretazione del territorio, del passato e del presente. La ricerca archeologica produce continuamente nuovi oggetti, che meritano di essere esposti nei musei. Nella nostra regione il tema dei siti storici si unisce alla esigenza di tutela del paesaggio culturale, urbano e agricolo, in cui anche le rovine o i resti hanno un ruolo. In ogni città dell’Umbria ci sono resti di mura e porte, che hanno subito modifiche, integrazioni e contaminazioni, con l’utilizzo in epoche successive di quanto emerso dal sottosuolo. La valorizzazione di un sito non passa solo per la sua apertura al pubblico o con la musealizzazione dei reperti, è invece importante fare ‘archeologia pubblica’, un processo partecipato nel quale i cittadini di un luogo possono rendersi responsabili per la valorizzazione e la conservazione di un luogo.
Il lavoro di valorizzazione non finisce il giorno dell’inaugurazione ma anzi inizia proprio da lì, per mantenerli dei luoghi di studio e di interpretazione del passato.
Da un punto di vista turistico, una buona strutturazione dell’offerta culturale, anche attraverso il rafforzamento delle possibilità offerte dai siti archeologici, può rappresentare una risorsa in grado di attrarre visitatori e di aumentare i giorni di permanenza”.

STODDART si è soffermato sulla “particolare caratterizzazione geografica che rende particolari e ancora più importanti i siti e le aree archeologiche umbri. Si tratta infatti molto spesso di contesti storici d’altura, collocati sulla sommità di colli o a mezza costa, in punti strategici. E questo li rende parte di un percorso e di un itinerario ideale che unisce le zone in cui differenti civiltà hanno lasciato importanti tracce del proprio passaggio. Un valore storico paesaggistico dunque che accomuna alcuni dei luoghi in cui ho recentemente lavorato e che ho avuto modo di visitare, come Monte Tezio, Collemancio, Gubbio, Montelabate e Assisi”.

GUICHARD ha raccontato l’esperienza del parco archeologico di Bibracte, in Borgogna. “Un parco che esiste da oltre 30 anni, non ha l’ambizione di essere un modello ma vanta una lunga esperienza che può aiutare altre realtà. In 30 anni sono stati investiti circa 50milioni di euro. Va prevista una spesa annuale di circa il 10 per cento della cifra iniziale. Il sito è ad accesso libero, un parco in cui trascorrere una giornata tra percorsi nei boschi, museo, ristorante e attività tematiche. L’obiettivo di è far trascorrere più tempo possibile sul sito perché questo consentirà al territorio di beneficiare degli effetti positivi in termini di presenze turistiche. I visitatori, durante l’estate, possono assistere al lavoro di scavo e ricerca degli archeologi, coinvolgendoli e permettendo al parco di rinnovare la propria offerta. La qualità del paesaggio rappresenta una parte fondamentale dell’attrattività del sito. Bibracte viene gestito secondo i principi stabiliti dalla rete dei ‘Grand site de France’: protezione del patrimonio, gestione dei flussi turistici, accoglienza del pubblico con intento pedagogico e didattico, rispetto e partecipazione degli abitanti. Sul parco di Bibracte esiste una doppia tutela, storica e ambientale: è stata creata una istituzione pubblica di cooperazione culturale per la gestione del sito, che unisce Stato, Regione, parco naturale, enti pubblici di tutela ambientale e storica. Una esperienza e uno statuto che prima non esistevano”.

MARINI ha concluso i lavori evidenziando che “quasi l’intera Umbria è un unico grande parco archeologico, vista la numerosità dei siti tutelati. Le iniziative previste per il 2019 mirano a valorizzare la rete dei siti e dei musei, ed anche a immaginare un nuovo modello di area archeologica, aperta alla comunità e al territorio regionale, che esalti la stratificazione storica che la caratterizza. Si potrà lavorare anche sulla prossima programmazione comunitaria, qualificando i siti come rete di attrattori culturali. L’attività di valorizzazione deve partire dai siti già conosciuti e aperti al pubblico, per metterli in rete come avvenuto con i musei, i borghi e i teatri storici. Interessante la possibilità, concretizzata in Borgogna, di coinvolgere vari soggetti (istituzioni, visitatori, residenti, ricercatori, università) per rendere fruibile il patrimonio ad un pubblico sempre più vasto, che vada oltre gli esperti del settore. È necessario abbinare il rispetto e la protezione del patrimonio archeologico con quella del paesaggio, il cui Piano regionale è in corso di approvazione in Giunta. Interessante lo spunto sulla cooperazione tra enti, associazioni e comunità sui partenariati istituzionali per la gestione dei siti. Convincente l’idea di sviluppare l’idea della partecipazione e del coinvolgimento delle comunità nella tutela dei siti archeologici, per creare attrattività turistica ma anche sviluppo economico e professionale dei territori”.

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