Aste & Rischi. I Vigili, I REPERTI, I CINEFILI

Gli “asterischi”, nel linguaggio giornalistico, indicano dei brevi articoli all’interno di una rubrica, preferibilmente di cronaca. Spezzando la parola e scrivendola come si legge nel titolo, voglio far capire che intendo realizzare, quando ne ho la necessità, un collage di alcuni spunti di cronaca come altrettante “aste” da prendere nel senso dell’attrezzo sportivo per il salto, del bastone e dell’arma detta anche “lancia”. Tutti modi di scrivere che espongono a svariati “rischi”, specie se un giorno, fra gli “stelloncini” che oggi inauguro, dovessi utilizzare il termine “asta” come procedimento di compravendita.

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NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Comunque vada a finire, la vertenza che la Polizia Municipale di Foligno ha aperto con la Giunta comunale si segnalerà per il manifesto senso di disamore nei confronti della città al quale finora si è assistito. Foligno è ancora una città a misura d’uomo. Nonostante i problemi di integrazione e di accoglienza che nessuno fa mistero che esistano, i richiami del Sindaco alla “vigile” necessità della collaborazione di tutti possono poggiare proprio sulla dimensione civica dell’impegno e del dovere che caratterizzano gli abitanti di Foligno. Ma i “vigili” di nome e di fatto hanno mai parlato, e in quali maniere, con i concittadini ai quali, quando entrano in sciopero, fanno mancare i loro servizi? E l’informazione regionale, perché si limita a riportare i comunicati-stampa che emettono le parti senza andare a parlare, per le strade di Foligno, con le persone che incontrano riportandone commenti e chiose? Oltre la durezza dello scontro sindacale, nel prossimo novembre, il 19, cadrà il 168° anniversario della Fondazione del Corpo. Se l’anno scorso è stata consegnata dal Comune ai “vigili” la nuova caserma, un vanto da vera e propria centrale operativa, e oggi, a distanza di un anno, alla vigilia di una nuova cerimonia, la Municipale, pur continuando a tutelare le sue rivendicazioni sindacali, si ponesse il problema di come essere presente alla prossima celebrazione forse capiremmo tutti meglio qual è il rapporto tra il sindacalese e l’attaccamento alla divisa da parte del Corpo folignate. Non avranno un valore assoluto la Quintana, il primo giorno di scuola, i “Primi d’Italia”, ma l’anniversario del Corpo come si fa a bypassarlo con una nuova assemblea sindacale?

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Si parla molto, in questi giorni, del ritrovamento, reso noto a Spina di Marsciano a fine agosto, di alcune tempere che si stima siano di un secolo fa. Lo stato frammentario dell’opera, collocata in un edificio terremotato che ospitava la scuola materna della frazione fino al giorno del sisma del 15 dicembre 2009, lascia presupporre, da parte degli esperti, un impianto decorativo di discreta importanza, per il cui recupero si stanno mettendo in campo risorse e professionalità. Tutto molto lodevole, non fosse altro che per il puro spirito di risarcimento della comunità locale verso l’oblio e la cancellazione che si sono accaniti sulle tempere, negando a esse la documentazione, la memoria, la dignità e la godibilità.

Come si possa, in appena una manciata di decenni, perdere non dico la gloria, ma semplicemente la fama, il ricordo orale di un prodotto culturale resta un enigma sul quale l’assessore di Marsciano, Matteo Berlenga, come un bravo detective, ha dovuto cominciare a chiedere qualche lume invitando “chiunque possa avere notizie su tale opera, a partire dagli stessi abitanti di Spina” a mettersi in contatto con il Comune.

Non sono, le comunità locali, conservative per definizione? Cos’altro può essere intervenuto nella laboriosa Marsciano, nel corso del Novecento, di tanto sconvolgente da far passare mani e mani di calce su quello che, collinare o lacustre, fa parlare di sé come un gran bel lavoro sul paesaggio?

In sé la questione è molto emozionante e merita di essere seguita passo passo.. Presa, invece, come paradigma della mutevolezza storica e politica, fa riflettere ampiamente sul “destino” che, ad esempio, cento anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1910, ha portato all’oblio, da parte di Perugia e dell’intera regione, di un pittore come Domenico Bruschi o, sempre per esempio, ha determinato le alterne fortune, in Umbria, di Burri e Dottori per motivazioni che con l’estetica non hanno nulla a che vedere. In questo senso, il reperto di Marsciano ci avverte su quanto questa regione debba ancora prendere le distanze giuste sul suo passato recente, novecentesco, mentre nel complesso è stata brava a rifarsi al Quattrocento e al Cinquecento.

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Giorni fa è stato proiettato al cinema Eden di Città di Castello il film di Walter Veltroni “Quando c’era Berlinguer”. Alla pellicola, una certa critica ha imputato di essere stata realizzata con poco di quel pathos che la sinistra del Pci degli anni Settanta avrebbe saputo sprigionare e di avere toccato, più che altro, le corde della nostalgia.

A Città di Castello, stando alle cronache, pathos e nostalgia si sarebbero miracolosamente riunificati per merito della lunga memoria della sinistra, che nell’Alta Valle ha un terreno di coltura molto fertile. Le stesse lacrime della proprietaria dell’Eden – struttura démodée, in procinto di chiudere – sono state restituite dalla cronaca come il pianto appassionato di una politica che non c’è più. E lo stesso Veltroni si sarebbe commosso, per la schiettezza dei vecchi compagni e per la sorte della chiusura che l’esercizio cinematografico vede profilarsi sempre più netta e irreversibile.

Viene da porsi un gran numero di domande. Com’è possibile che un centro democraticamente attivo come Città di Castello abbia potuto lasciare la linea dei cinefili e degli intellettuali spezzarsi senza remissione? Quale forza rigenerante possono avere gli appelli alla ripresa lanciati da “un re senza corona e senza scorta” se non quella della figlia di Berlinguer? Quanto delle scelte, vecchie ormai di una quindicina d’anni, che hanno consentito la nascita delle multisale nei centri commerciali sono all’origine del ristagno di oggi? Non era pensabile che, qua e là, magari anche nei templi del potere rosso, si potessero verificare pericolosi inseguimenti del modello multisala senza il successo sperato, anzi facendosi venire un fiato sempre più corto? Domanda domanda, vuoi vedere che si può uscire dal “De profundis”, essere un po’ meno cinefili e un po’ più imprenditori?

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