DIS…CORSIVO. APOLOGO DELLA SALUTE

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Altre api, di marca regale come quella del mio paese, nel tempo avevano pensato di avere come collaboratori espertissimi cultori di specifiche materie. C’era stato chi aveva chiamato, fra gli altri, uno scienziato, un cantautore, un ingegnere, un luminare della ricerca medica.

E ne era uscito, novanta volte su cento, con le ossa rotte, perché vi sono regole di comportamento amministrativo che nessun personaggio creativo e originale riesce a rispettare, pena un sacrificio troppo grande con la propria coscienza.

Tenendo bene a mente queste esperienze, la nostra ape regina si guardò bene, dovendo rinnovare il gruppo dei propri collaboratori, dal creare rapporti troppo diretti fra personaggi dotati di specifiche professionalità e materie che, sulla carta, ognuno avrebbe pensato, spontaneamente, essere di loro competenza.

E non sbagliava, perché compito del collaboratore o della collaboratrice dell'ape regina non doveva essere, per usare un'espressione di impegno civile e non meramente burocratica, “fare i conti con” qualcosa (cultura, turismo, welfare, infrastrutture, sanità, eccetera), ma “fare i conti di” quel qualcosa chiamato di volta in volta cultura, turismo, welfare, infrastrutture, sanità, eccetera.

Però, proprio alla sanità l'ape regina manifestò un'attenzione tutta particolare, riservando al suo disbrigo uno sguardo particolarmente caritatevole, nel quale, secondo le sue intenzioni, doveva fondersi il punto di vista dell'intera comunità, solidale e pronta a stringersi intorno ai casi dolorosi che inevitabilmente, più o meno gravi, ci coinvolgono tutti più volte nella vita.

L'ape regina aveva voluto affermare che la sanità non è un comparto come gli altri del bilancio del suo paese: non tutti apprezziamo una mostra o percorriamo le stesse strade per lavoro o per turismo, non tutti abbiamo bambini da mandare all'asilo, non tutti, anche se molti, abbiamo a che fare con problemi di disoccupazione. Tutti, però, dalla puntura di un insetto alla cura specialistica, abbiamo a che fare con la sanità, dobbiamo ricorrere a quel minimo o a quel massimo dell'intervento pubblico in materia di salute che rimetta in equilibrio e confermi nel benessere il corpo nel quale confidiamo per svolgere qualunque altra relazione umana, sociale o politica che sia.

Con questi princìpi alle spalle, l'ape regina affrontava positivamente le mille insidie che s'annidano nel sistema pubblico nella sanità.

I “conti” della sanità erano, nel suo paese, i “conti” della salute nella sua essenzialità e nella sua universalità. E questi “conti” dovevano tornare, sempre. Tutto ciò che non tornava costituiva, ai suoi occhi, il “costo”, cioè una spesa improduttiva, un investimento malfatto, uno sperpero, un vantaggio piovuto in maniera dubbia nelle tasche di qualcuno anziché nella tutela della salute di ognuno.

Qui bisognava essere inflessibili, non si poteva cedere di una lira di fronte al dubbio che un tornaconto personale avesse preso il sopravvento sugli occhi di un malato in cerca di sollievo dalle sue sofferenze.

La sanità valeva quanto e più della bellezza del paese dell'ape regina, contribuiva a quella bellezza col decoro di vecchi ospedali, ristrutturati e adibiti a un altro uso sociale, con la complessità urbanistica dei nuovi, grandi nosocomi, con la diffusione domiciliare del modello di assistenza capillare, persona per persona, col superamento di trattamenti autoritari del disagio mentale e di quello dovuto all'età, con l'attivazione di tutto l'ambiente in funzione terapeutica, di cura morale, di aiuto esistenziale affiancato alla potenza dei nuovi farmaci e degli inediti protocolli di cura.

Le aziende deputate a far tornare i conti di questa impresa globale erano chiamate a un compito molto gravoso. L'ape regina lo sapeva e concedeva loro un credito ampio, una fiducia al limite del rischio personale. Ma molti segnali danno ad intendere che il cammino è stato tracciato bene, che prosegue e che ha trovato collaborazioni all'altezza della speranza iniziale.

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