DIS…CORSIVO. CHI POTEVA PREVEDERLO?

NOSTRADAMUS dl Maurizio Terzetti / L’Umbria di qualche decennio fa, quella che si preparava alla svolta degli Anni Sessanta, credeva fermamente nella supremazia della cultura sullo spettacolo. Chi poteva prevedere che, invece, avremmo assistito all’esatto rovesciamento di questo rapporto, cioè che sarebbe stato lo spettacolo a espropriare l’Umbria delle sue radici culturali profonde?

Che ciò sia avvenuto, non c’è dubbio: i dati di UJ parlano da soli, la grande "rincorsa" del Festival dei Due Mondi estende alla seconda capitale culturale dell'Umbria - Spoleto - la stessa conferma quantitativa e qualitativa.

Lo spettacolo - per ragioni che sarebbe qui lungo approfondire e che ovviamente non riguardano solo l'Umbria - ha sopraffatto la cultura suggendone l'atmosfera, dissecandone la pianta e rivestendosi di una bellissima immagine con la quale sfida, oggi, chiunque a mettere in dubbio la sua profondità culturale.

E‘ stato senz'altro il Festival dei Due Mondi, nel 1958, a cambiare del tutto le carte in tavola, a rovesciare lo stesso tavolo, a inoculare la virtù spettacolare nella spiritualità locale, a coprirsi di meriti innegabili come, però, anche, a rendersi responsabile dell'affossamento della crescita che localmente si cercava di produrre, in mezzo a buoni propositi e ad alcune innegabili ambiguità.

Ho sotto mano un articolo di ltalo Cicci, pubblicato sul "Centro Italia" del 4-10 luglio 1955. Cosa c’era, cosa si muoveva nella cultura umbra di sessant'anni fa, nei suoi rapporti col turismo, che poi il Festival di Menotti ha nobilmente e amabilmente sostituito a partire dal 1958?

Ecco quanto scrive Cicci sull'onda dell’entusiasmo per la costituzione, a Gubbio, dell'Istituto del Teatro Romano: "Siamo sulla buona strada. O meglio, in Umbria, sembra che ci si avvii a riconoscere e ritrovare quelle che sono state e che devono essere le funzioni dell'Umbria. Ecco infatti dopo la creazione della 'Sagra Musicale Umbra‘ in Perugia, dopo i 'Corsi di Studi Francescani e Teologici’ in Assisi, dopo le costituzioni in Spoleto dell'Accademia di Studi Longobardi ed in Todi dell'Accademia di Studi del Basso Medio Evo o Jacoponici, sentire la magnifica notizia che in Perugia, con sede in Gubbio, si è costituito l'Istituto del Teatro Romano che si propone di riunire quanti si interessano alle attività culturali legate a detto Teatro, nei suoi aspetti letterario, storico, archeologico. Oltre, naturalmente, a dar vita periodicamente a spettacoli classici o di ispirazione a carattere classico. E ciò proprio mentre l'lstituto del Dramma sacro di Orvieto rappresenta, in quella cornice che gli è naturale, due spettacoli musicali del trecento, nel consueto ciclo delle sue sacre rappresentazioni. Ci siamo, dicevamo. Perugia, Assisi, Spoleto, Todi, Orvieto, Gubbio: l'Umbria si va costellando qua e là, nelle sue espressioni migliori, di quel risveglio culturale che da tanto auspicavamo. Città nostre, le più belle, che vanno qualificandosi, seguendo il solco della loro e della nostra migliore tradizione storica ed artistica, attraverso un processo che approfondisce i caratteri spirituali della loro stessa espressione ambientale ed architettonica".

Purtroppo, però, per Italo Cicci e per molti di noi che ancora s'interrogano sulla spiritualità di questa regione, le cose non sono andate assolutamente così. E non è colpa del Festival dei Due Mondi, sarebbe uno sciocco delitto pensarlo pur continuando a rilanciare la domanda dei rapporto nuovo che quell’evento capitale ha creato, in Umbria, tra cultura e spettacolo.

La colpa è, semmai, prima di tutto del "ritorno" - grande e travolgente - di quel complesso di “feste, giostre, quintane, il folclore in una parola" che già Cicci - citato qui testualmente - vedeva, a metà degli Anni Cinquanta del secolo scorso, come fortemente concorrenziali, ma in basso, rispetto agli eventi culturali creati per i luoghi più rappresentativi della regione.

Cicci, in particolare, ipotizzava che tutto il caravanserraglio di allora di "feste, giostre, quintane" non avrebbe potuto più "costituire oggetto base di sviluppo e di richiamo, e parentesi più o meno prolungate di soggiorno per le carovane turistiche".

E, invece, rendendo però sempre merito alla lucidità intellettuale di Cicci, dobbiamo convenire che, a poco a poco, proprio il "folclore" ha ucciso, ad uso proprio del turismo, la caratura spirituale umbra che si provava a disegnare nel secondo Dopoguerra.

Sul perché ciò sia accaduto, potremmo confrontarci a lungo e magari qualcuno, nell'Umbria della sorda opinione pubblica di oggi, dicesse davvero quel che pensa al riguardo!

Per quello che mi riguarda, otre a sollevare la questione, posso solo aggiungere che alla degenerazione festivaliera di oggi hanno contribuito, anche se con tanta buona volontà di innovazione, le stesse politiche culturali dei Comuni, delle due Province e della stessa Regione, nella misura in cui hanno cercato l'effetto nicoliniano delle estati romane e hanno trascurato, soprattutto, l'attivazione di vere promozioni dell’arte, specie contemporanea, con mostre di valore internazionale in grado di dialogare con lo splendore de1l'arte antica qui imperante.

E una responsabilità non piccola ce l'ha la cultura teatrale. "Cosa aspetta Perugia" si chiedeva ancora Cicci nel 1955 "a realizzare un piccolo Teatro, ufficiale, sull’ esempio delle nostre migliori città e regioni, che svolga nell'ambito regionale la sua funzione educatrice e culturale? Ossia un Teatro Stabile..."

Dagli Anni Cinquanta in poi, l'Umbria ha avuto certo grandi maestri della scena, ma quante diaspore dopo di loro, quante riserve di caccia, quanti sperimentalismi!

In questo scompaginato esercito di gente incerta tra cultura e spettacolo, infine, si sono inseriti i grandi produttori di Festival e, mentre la spiritualità umbra tramontava tristemente nell’erudizione locale, avanzava, e avanza tuttora, l'ignoranza globale delle nostre estati e, perché no, dei nostri autunni perugini.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.