Dis…corsivo. Dove finiscono le armi?

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / 620 sono stati i caduti di Città di Castello nella Prima guerra mondiale. Chi, l’altra notte, si è trovato nel Cimitero monumentale tifernate per l’evento “Immagini e suoni della Grande guerra” li ha abbracciati tutti, i soldati che sono sepolti a Città di Castello perché venuti a morire qui, quelli che sono deceduti, per malattia, altrove o in prigionia, quelli rimasti dilaniati dalle armi nemiche nei combattimenti corpo a corpo, i dispersi. E, abbracciandoli, avrà capito che la grande liberazione di questi giovani morti è stata, a compenso della vita troncata e del sacrificio di ogni speranza, la possibilità di camminare ormai più senz’armi nel ricordo di noi vivi e nel percorso ultraterreno, qualunque esso sia.

Le ferite che li hanno uccisi, le malattie che non hanno dato scampo ai loro corpi si sono richiuse e sono guarite per sempre proprio perché gli strumenti di morte dei quali anch’essi erano forniti sono spariti, noi perlomeno non li vogliamo più vedere anche se sappiamo che esistono ancora, nei musei, e girano anche in qualche evento espositivo del centenario.

Il concerto-installazione che s’è svolto il 26 scorso all’interno del Famedio del Cimitero monumentale di Città di Castello mi ha posto, seccamente, a un certo punto, la domanda: “Dove finiscono le armi?”

Finiscono – ha gridato l’evocazione dei 620 caduti tifernati – in un inferno di disgusto e di rifiuto, di cattiva coscienza di ieri e di improvvido ricordo di oggi. Tutti luoghi da non frequentare, quelli nei quali siamo chiamati a vedere i fucili tirati giù dalle spalle dei soldati morti, le mitraglie alle quali essi sono rimasti appoggiati per sempre, gli elmetti in più possibile ripuliti dal sangue e dal fango delle trincee.

Così, per contrasto viscerale, mi è venuto di accostare a questa toccante prova di purificazione di Città di Castello l’allestimento, a Spoleto, da domani 29 agosto, della mostra di armi medievali a Palazzo Leti-Sansi. I pezzi che andranno in mostra, nella cornice di “Spoleto arte”, risalgono a secoli lontani, addirittura al XIV secolo. C’è compiacimento e disinvoltura nel presentare l’evento, si confida nel fatto che c’è un popolo di collezionisti a sostenere le visite a palazzo Leti-Sansi, il target è auspicato con caratteristiche familiari, si promettono foto, negli allestimenti, accanto a statue di capitani di ventura e di mercenari.

Le armi, dunque, tornano, questa volta da secoli lontani e non dai fronti della Grande guerra, e qualcuno può essere portato a credere che la loro capacità di sangue e di morte si è rarefatta nei secoli.

Un’arma, invece, sia quella del Trecento, sia quella di un secolo fa, sia la pistola del killer della Virginia dell’altro ieri, è sempre lo strumento di un crimine contro qualcuno e contro qualcosa, altro che un oggetto dotato di un “fascino tutto speciale” come dicono da Spoleto! L’umanità, che non sarà mai capace di liberarsene, possa essere lasciata libera della loro inquietante presenza almeno in tempi di pace, finché un po’ di pace continuerà a rasserenare il cielo dei nostri borghi umbri.

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