DIS…CORSIVO. FEUILLETON

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Più o meno i giorni che ho dedicato a raccontare gli apologhi dell’ape regina ci sono voluti per definire il quadro del nuovo organigramma del governo regionale umbro. E la commedia che ho mandato in scena per più giorni, cambiando quadro ogni giorno, ha voluto consapevolmente sostituire qualunque altro tipo di riflessione e di analisi post elettorale puntata a inquadrare le scelte che i vincitori delle elezioni del 31 maggio avevano in animo di fare e di patteggiare.

Non avendo storie da raccontare (e chi, di fatto, ne aveva?), mi sono rifugiato in alcune considerazioni moraleggianti, per cercare di dipingere, prima di tutto a me stesso, un ideale percorso riformatore fuori del tempo e della storia, da porre come paradigma, per l'Umbria, rispetto al reale succedersi, sotterraneo e appartato, delle trattative in casa della maggioranza di centro sinistra, senza tralasciare di dare conto dell'altrettanto emblematica presenza di un consistente fronte di opposizione di centro destra.
Mi rimane, a questo punto, solo una pagina da sfogliare del mio libro degli apologhi, quella in cui si narra cosa avrebbe fatto la simpatica ape regina delle mie commediole oltre a comporre una giunta e a garantire spazi di autonomia alla nomina del presidente dell'assemblea legislativa. Ebbene, cosa avrebbe detto alla stampa, cosa avrebbe comunicato all'opinione pubblica, quale ansia di sapere avrebbe dovuto dissetare, quali margini di silenzio avrebbe potuto conservare intorno al laboratorio di chimica politica in cui si è preparata la nuova giunta?
Nel tempo senza tempo del mio racconto, c'era una stampa abituata a ficcare il naso dappertutto in maniera, a volte, impudente. Poi, quello che riusciva a sapere da fonti partitiche lo trasmetteva al paese senza, però, spiattellargli tutta intera la notizia in una volta, ma elaborando cronache parziali giornaliere. Costruivano, certi giornalisti, solidi feuilleton alla maniera dei racconti a puntate che i quotidiani di fine Ottocento ogni tanto avevano il vezzo di riservare al loro publico borghese. L'ape regina era senz'altro fra questi lettori e, proprio perché avida lettrice lei stessa di tali racconti, si prestava al gioco di far circolare alcune notizie, già fornite di un po' di sale, fra i direttori dei giornali locali, in modo tale che, chi voleva, poteva costruire il castelletto narrativo adeguato ad uso dei suoi lettori. Oggi ci chiederemmo se tale meccanismo favorisca o meno la libertà di stampa e la domanda sarebbe una fra le tante inutili questioni che la contemporaneità è in grado di produrre.
In realtà, era semplicemente piacevole, nel paese dell'ape regina, sottoporsi a un meccanismo dell'informazione come quello che ho descritto: piaceva all'ape regina, perché si vedeva garantito il suo ruolo di dispensatrice di prima mano delle notizie; piaceva ai giornalisti, perché potevano metterci del loro anziché passare sempre e solo delle veline; piaceva ai lettori, perché, se il racconto era ben costruito, finivano per trovarci tanti di quei casi fantastici e di quei personaggi poco conosciuti dei quali mai più, sennò, avrebbero sentito parlare; piaceva a tutti i personaggi della politica, indistintamente dal “forno” di apprtenenza, perché li spingeva a vedersi, o a sospettare di vedersi, dove mai vrebbero pensato di vedersi.
E, questo modo di raccontare le vicende nascoste della politica, contribuiva anche a svelenire i rapporti fra le maggioranze e le opposizioni, sublimando in una finzione letteraria adeguata l'eccessivo attaccamento al proprio ruolo partitico che, nelle aule consilari, diventa spesso deteriore spettacolo.
Questa funzione, oggi, sembrano volerla svolgere i tanti talk-show che, anche a livello locale, approfondiscono con dibattiti accesissimi la cronaca politica. Ma siamo lontani anni luce al modello che sperimentava l'ape regina nel suo tempo senza tempo e nel suo rapporto, parimenti senza tempo, con i suoi lettori.
Non so voi, ma io oggi pagherei una fortuna quel sistema di informazione a base di feuilleton che portasse sulla scena dettagli e particolari, anche crudi, realmente accaduti durante le trattative per la formazione di una giunta regionale e li manipolasse, inventando una trama, rinfocolando la curiosità di attori e pubblico. Altro sistema di vera partecipazione da parte della gente a ciò che accade nel dietro le quinte della scena politica non c'è, non lo so vedere: i programmi sono noiosi e illeggibili, le dichiarazioni astruse e sgrammaticate, le interpretazioni cervellotiche e posticce, gli interessi in gioco fin troppo scoperti e solo qua e là mascherati di dignità e decenza.
La sola via d'uscita sarebbe la passione per casi e figure che si stagliano sul cielo della pruderie come avvenimenti e personaggi dotati di una loro, anche se finta, coerenza, uomini e donne, cioè, non ridotti a macchiette e a caricature del buon senso più di quanto non faccia nei loro confronti, già del suo, la politica stessa.
Anche stavolta, invece, per tornare ai giorni nostri, finisce che il tempo dell'attesa della nuova giunta regionale si è consumato nel generale disinteresse del pubblico. Di quanto era stata scialba la campagna elettorale, di tanto si è rivelata insipida la cronaca di questa gestazione. Ci sono stati solo alcuni colpi di scena nei primi giorni dopo il risultato, poi il quadro è rimasto immobile e la curiosità dell'opinione pubblica, se anche avesse accennato a manifestarsi, si è presto spenta. La suspence del possibile storico risultato di Claudio Ricci l'abbiamo pagata abbondantemente con il bagno nella salamoia istituzionale e nella sciapa minestra di questi primi venti giorni di giugno. Peccato, perché gli attori, dietro le quinte, devono essere stati – senza ironia – veramente bravi.

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