DIS…corsivo. Il silenzio

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Lasciarmi sorprendere? Non chiederei di meglio, da questa regione, che soggiacere al claim della riuscita campagna promozionale prodotta dal Gal dell’Alto Tevere. Ma non riesco ad abbandonarmi al potere seducente che natura, gastronomia, folclore e storia ancora hanno in Umbria e che ci viene ben tracciato negli spot che vediamo da qualche tempo.
Non so da cosa dipenda, se a qualcun altro faccia lo stesso effetto, ma c’è qualcosa – che attrae e che respinge, che include ed esclude nello stesso tempo – ad amareggiare la bellezza del sogno umbro. Si intuiscono pezzi virtuosi di percorsi istituzionali nella cultura, il caso viene in aiuto facendo scoprire nuove tombe etrusche, il sistema dei beni culturali, da parte dello Stato, si sta riposizionando su una griglia di partenza che promette accelerazioni, anche la gestione regionale si sta impegnando per cambiare passo e forse è per tutta questa serie di fattori concomitanti che il sogno umbro, in questo momento, riesce a non sorprendermi più.
Il laboratorio culturale, compreso lo spettacolo, è in vistosa fase di ripensamento e questa lenta riflessione incide notevolmente su quanto, di materiale e di immateriale assimilabile alla cultura, ci circonda.
Un turista se ne accorge di meno, anzi non fa in tempo nemmeno ad accorgersene, ma noi residenti percepiamo fino alle note più basse questo silenzio del lavorio istituzionale che, opportuno quanto vi pare, opprime le orecchie con un ronzio molecolare apatico e continuo.
Nessuno si sbilancia. Ognuno progetta, nel chiuso delle stanze, ma nessuno dice più del dovuto. Si aspettano le mosse degli altri, ci si guarda a vista, si predica l’integrazione ma si teme fortemente di finire fra le braccia di chi ha più potere, nella cultura, e di chi è più strutturato, o sa meglio di altri ristrutturarsi nella gestione dei patrimoni inesplorati.
Aspettarsi che solo i piccoli passi, isolati e lenti, possano confortare il cuore? Che qualche mostra qua e là, non grande, non pretestuosa, non posticcia, ma chiara ed evocativa, demolisca l’ovvio e circoscriva il nuovo, cioè ci sorprenda?
Eventi simili, purtroppo, sono solo vere e proprie icone sacrificali, agnelli dati in sacrificio al silenzio imperioso di chi sta rifacendo la struttura della cultura e il sistema delle culture in Umbria. Quando, da qui a un paio d’anni, le pedine si saranno riposizionate, di tante piccole, eroiche avventure culturali provinciali non si sentirà più parlare, le riesumerà qualche folle archivista fra cent’anni.
Oggi, non c’è speranza che i grandi disegni culturali di questa regione vogliano fermarsi un po’ a guardare anche dentro ciò che, specie nelle piccole realtà comunali, grazie a storici e eruditi locali, si va tessendo senza soste, senza aspettare di rilanciare in grande ciò che oggi sembra piccolo e superato dal punto di vista della gestione ministeriale e regionale.
Come sempre, la coscienza critica di questi fenomeni balza nel petto come voce di poesia e dissacratorio tormento narrativo, come disimpegno, infine, coerente e plausibile, rispetto al tributo di creatività che un intellettuale si trova costretto a pagare in virtù del suo stesso essere parte della comunità in cui vive. Eppure, questo disimpegno manda sempre più forti richiami, altre persone ne hanno parlato con me che, fino a ieri, credevo forti e perseveranti più di me in fatto di politica culturale. E ho dato loro ragione: ci lasceremo sorprendere solo dal nostro avere scritto e prodotto qualcosa – questo pezzo stesso, infine – nonostante il silenzio culturale circostante, così impenetrabile, impuro e calcolato.

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