DIS…CORSIVO. L’ETA’ DELLA RAGIONE

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Di adozione in adozione, non poteva mancare un posto per la presa in carico responsabile della “pasta madre”. Chi ha ideato il progetto, a Collepepe, non me ne vorrà se parto da questo esordio tutto cuore e madre per approdare ad ambiti di discorso che con il lievito madre distribuito con ogni cura dalla famiglia Andreani hanno poco che fare, tutt’al più qualcosa di ostinatamente culturale.

Collepepe è una frazione del comune di Collazzone che ha sempre avuto una notevole importanza strategica per gli interessi di Todi, Perugia Spoleto. Oggi è la principale zona produttiva e industriale del Comune, ma è rimasta orfana della tredicesima edizione della Sagra della Nutella. La “Banca del lievito madre”, invece, contribuisce a tenere desta l'attenzione su Collepepe all'interno della vivace attività gastronomica degli Andreani. L'idea sarebbe nata, quattro anni fa, durante un corso di cucina, nel quale si è deciso di “fare da zero il lievito madre, ognuno con una tecnica diversa: alcuni usando lo yogurt come starter, altri il miele e noi, gli Andreani, solo con acqua e farina”.

La catena produttiva consiste nel preparare un piccolo “giacimento” di lievito che si può andare a prendere a Collepepe o ordinare per vederselo recapitare a casa, sotto forma di piccoli panetti. In un caso o nell'altro, si tratterebbe di un atto di adozione riservato a un valore fondativo - la panificazione - che molte persone potrebbero riprendere a praticare in casa propria, unendola, che so, alla coltivazione di un piccolo orto o alla opportuna pratica di lavori domestici in generale, marmellate comprese.

Con tanti auguri di successo agli Andreani, vorrei però portare il lettore su un altro campo, quello politico, ripartendo, in ogni caso, dai termini che l'esperienza gastronomica di Collepepe ha messo sul tavolo: un lievito e una madre.

Che Umbria abbia bisogno di un lievito nuovo appare, anche ai molti che hanno apprezzato quello che sta per scadere, fuori dubbio. Ogni indagine sociologica, ogni percorso nelle istituzioni suggerisce alla politica che, come nel caso del lievito, spesso, senza traumi, bisogna assolutamente ripartire da zero. Non è per sfiducia, non è per ostilità, non è per critica malevola, non è per delusione. È che ogni nuova fase politica e istituzionale deve poter ripartire da zero, mettere a coltura un lievito nuovo, sapendo che quello prodotto cinque anni prima - compatibile, per intenderci, con i tempi che dura un'amministrazione - nel frattempo è stato suddiviso in tanti panetti progettuali, che sono stati utilizzati per il nutrimento fisico e spirituale della comunità.

Ripartire da zero, sempre secondo i termini della panificazione, significa rifarsi a una madre: il lievito madre, la forza degli elementi naturali di acqua e farina si amalgama per definizione nel soffio vitale del genere femminile. O, per meglio dire, il genere maschile del lievito asseconda e agevola la più originaria e autentica partecipazione del genere femminile alla cura dell'intero percorso produttivo che porta alla futura panificazione.

Dunque, l'Umbria, sempre secondo le conseguenze metaforiche che traggo da Collepepe, avrebbe tutto l'interesse e la possibilità di formare intenzioni politiche basate su un lievito nuovo e di affidarne la gestione ad alcune immagini femminili - una su tutte - che sappiano rifarsi ai valori della tradizione per condurre la comunità a una qualche forma di attesissimo progresso nella cultura, nel lavoro, nell'industria, nelle infrastrutture, nell'agricoltura, nella sanità.

Se l'Umbria, negli ultimi cinque anni, è stata “la nostra ragione”, è bene, per il futuro immediato che ci aspetta, che essa, con lievito madre nuovo, diventi tout court “l'età della ragione” per tutti: politici che amministrano e cittadini che attendono di uscire da uno stato di palese disagio, nato anche altrove ma qui da noi attecchito molto bene.

Non è da “età della ragione” raffigurare un quadro senza ombre dell'Umbria. È da “età della ragione” prendere atto dei successi, ma anche del grande travaglio adolescenziale che tutta la comunità sta vivendo, fatto di amore incondizionato per la terra madre umbra e di conflittualità con l'istituzione umbra, amata anch'essa ma spesso sentita lontana, come accade a tutti i ragazzi che amano e odiano la loro madre, che non riescono a fare il passo decisivo, per colpa loro no, verso l'età della ragione, a staccarsi cioè criticamente dal lievito madre nel quale sono cresciuti finora.

Così, quel nuovo lievito madre nel quale confidiamo per i prossimi cinque anni dovrebbe darci al più presto un programma nel quale possiamo leggere tutto l'amore verso di noi, ma anche tutte le possibilità progettuali in base alle quali poterci affrancare dai problemi del lavoro e della sanità, dell'industria e delle infrastrutture, della cultura dell'agricoltura. In base alle quali poter progettare il futuro ed entrare finalmente, soprattutto i più giovani, nell' “età della ragione” di una delle regioni più belle d'Italia.

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