Dis…corsivo. “A tutti i bambini nati nel 2015”

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Il presidente della Repubblica ha concluso il suo primo discorso di fine anno con un pensiero delicato e poetico: “Un augurio speciale, infine, a tutti i bambini nati nel 2015: hanno portato gioia nelle loro famiglie e recano speranza per il futuro della nostra Italia”.
È sembrata un’invocazione parlata, tenera, confidenziale, sussurrata, non scritta, così come tutti i 20 minuti del messaggio presidenziale sono parsi cantati col cuore. Sergio Mattarella non ha cambiamenti di tono, impennate, iperboli, la sua retorica è ridotta al minimo necessario, può persino rischiare di essere monocorde. E invece monocorde non è, come dimostrano molti dei passaggi del suo discorso e come rende piacevolmente chiaro la sua chiusa rivolta “a tutti i bambini nati nel 2015”.
Anche Mattarella, in qualche modo, è fra questi: la sua elezione al Quirinale – lui, uomo di 74 anni – ha rappresentato l’inizio di un processo di ringiovanimento dei nostri Capi di Stato che gli ultimi settennati stavano rendendo ormai particolarmente necessario e urgente.
Ottime figure ha conosciuto il Colle negli ultimi vent’anni, ma il passaggio di mano, la consegna del testimone presidenziale a un “giovane” del 1941 ha dimostrato che la Repubblica italiana poteva vantare ed esibire, per la prima volta, dei propri figli e condurli alla più alta carica dello Stato. Mattarella, anche se nato nel 1941, è a tutti gli effetti un figlio della Repubblica eletto alla sua presidenza nel 2015, e dunque, in qualche modo, nato politicamente per un nuovo impegno a favore della Repubblica nel 2015.
Un bambino che nasce non può non portare, come dice lo stesso Mattarella, gioia e speranza. E sono queste le qualità elementari che abbiamo visto, due sere fa, sul volto e negli atteggiamenti del presidente: qualità transitate dallo schermo non con alti proclami, ma col tranquillo fluire di un discorso continuamente contrappuntato dai lenti movimenti della testa, da un certo emozionato deglutire, dall’impercettibile e ritmico sollevamento delle spalle, da un pacato aggrottare le ciglia, da un sereno riprendere fiato fra un quadro dell’altro di quelli disposti dalla regia che lo ha amorevolmente circondato di cure per la bianca capigliatura.
I padri della Repubblica, salvo rare eccezioni, sedevano al grande tavolo dello studio quirinalizio prima di parlare agli italiani. Adesso sappiamo che i figli della Repubblica (e tale, ripeto, Mattarella concettualmente è benché sia nato nel 1941), non potranno non scegliere un angolo della stanza, lo arrederanno di cose che sono nella maggior parte delle abitazioni durante le feste di fine d’anno (dalla comunissima stella di Natale al presepio), siederanno su una poltrona e colloquieranno quasi sfogliando i lembi delle austere bandiere istituzionali posate, però, accanto al caminetto. Così come, due sere fa, ha fatto Sergio Mattarella, facendoci ascoltare un messaggio insolito e sorprendente.
Se la scena del salotto non è, in assoluto, una novità (ma, comunque, delle varianti significative di arredamento e di inquadrature le ha fatte registrare), una cosa inconsueta è davvero lo stile di Mattarella.
E non penso, in particolare, alle inevitabili differenze culturali e di linguaggio che possono separarlo da tutti i suoi predecessori, da Pertini fino a noi. Penso, invece, e con grande soddisfazione del mio animo, a quell’eloquio scorrevole – tanto diverso dai tromboneschi linguaggi correnti – di Mattarella, che mi viene di paragonare a un fiume di pianura, limpido e maestoso, che invita a sedere sulle sue sponde per veder passare la storia e politica in maniera finalmente amabile e comprensibile. Intorno, invece, scorrono rudi torrenti di montagna, farraginosi eloqui retorici, triviali corsi d’acqua inquinati da arrembaggi politici di ogni tipo. Qua e là, poi, stagni puzzolenti di politici chiacchieroni e opportunisti fermano il corso della storia e della politica per mercanteggiare con la gente il proprio futuro in qualche istituzione.
Al contrario, un fiume verbale ampio, disteso e, nella sua semplicità, solenne come quello di Mattarella esiste oggi, in Italia, solo nelle parole del presidente, nel suo discorso rivolto in maniera filiale alla Repubblica e con fare fraterno a tutti coloro che sono nati nella Repubblica e per la Repubblica, nei dintorni del 1946 o forse solo in un giorno qualunque dell’anno appena trascorso: “Un augurio speciale a tutti i bambini nati nel 2015…”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.