DIS…CORSIVO. SPOLETO VESTITA DA ARLECCHINO

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Spoleto è, probabilmente, la più bella e la più nobile città dell’Umbria. A che e a chi serve metterle un costume da Arlecchino e realizzare con ciò la festa della città “a colori”?

La tradizione si protrae dal 2011 e non arreca nessuna bellezza supplementare allo splendore urbanistico di Spoleto, non porta clamori internazionali, serve solo a fare numeri, in termini di partecipazione e di incassi, nel periodo in cui fa il suo ingresso la primavera.

Ma salutare la primavera con le piatttezze sovraesposte dei programmi di “Spoleto a colori” è una provocazione alla bella stagione e nulla più.

L’ambiguità di fondo chiama in causa la città in sé: come può essere che un centro di questa statura possa passare dalle raffinatezze del Festival dei Due Mondi all’iperpopulismo di un cartellone come quello di “Spoleto a colori”?

Poi, ad essere ambigua è la stessa costruzione del programma: i singoli eventi, le singole aree di divertimento sono, ognuna presa per sé, di impatto e di richiamo. Vanno, però, tenute separate, lasciate godere nella disseminazione lungo l’anno, tenute da parte per periodi di secca inventiva e di penuria spettacolare popolare. Prese nel loro insieme, risultano affastellate, sono un gran falò che brucia tutto in una volta.

La responsabilità è della programmazione che le istituzioni fanno per il nucleo storico di Spoleto, cioè, in particolare, della non programmazione dell’intero pacchetto culturale che la città merita.

Non ne sono state capaci le amministrazioni di centro-sinistra, è largamente deficitaria l’attuale maggioranza, che, oltretutto, vuole candidare Spoleto a capitale italiana della cultura. Ma con che cosa? Con i salti e i lazzi di “Spoleto a colori”? A confronto, Foligno, con la sua Festa della Scienza, a quale titolo potrebbe ambire?

La grossa carta del sito longobardo produce un gioco irriguardoso e sterile. Eppure, non è un “colore” qualunque, quello dei Longobardi, è la radice della grandezza e della decadenza della città, forse anche delle sorti di quella attuale. La città romana, l’urbanistica medievale, il profilo della collina da cui Spoleto sembra uscita come una potente scultura, un blocco di marmo forte e imperituro! Quanti segreti ha Spoleto sotto le fondamenta dei suoi palazzi, quanta bella vita culturale ricordano i suoi teatri! È venuto un gran signore, un musicista di rilievo e ha scoperto queste tracce culturali profonde, richiamando su di esse l’attenzione del mondo intero. E adesso? Davvero Spoleto può accontentarsi di indossare ogni anno, a primavera, un costume da Arlecchino?

Avrei voluto far finta, come molti, che l’evento colorato non esiste. Ma non sarebbe stato giusto per la bellezza struggente di Spoleto, che non cessa di reclamare quella veste dorata e quel diadema culturale di cui da tanto tempo è priva. Per questo ho scritto questa nota, con la speranza che si levino altre voci a difesa del profilo inimitabile di Spoleto. Per me, sono convinto che Spoleto non ha bisogno di colore, ma di calore.

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