Dis…corsivo. Tira tira, la corda si è spezzata

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Quando una città, come Gubbio, riesce a dividersi sulla questione delle Logge dei Tiratori, siamo di fronte a un caso evidente di castrazione dovuta a un’improvvida valutazione dell’eccesso di beni culturali.
Per molto tempo, infatti, pare che le Logge siano state considerate un bellissimo esempio spettacolare e che all’interno della spettacolarità complessiva di Gubbio abbiano perso un ruolo di primo piano, siano in qualche modo state relegate in un secondo piano di attenzione da parte dei cittadini, del pubblico di visitatori di Gubbio e di chiunque possa essere stato interessato allo sviluppo culturale moderno della antichissima città dei Ceri.
In tutta la contesa che si sta aprendo in questi giorni, a questo punto, non si saprebbe davvero da che parte stare.
Da un lato, il facile e altisonante trombonismo radical chic che sposa e amplifica le ragioni naturalmente molto civili del popolo di Gubbio, tenuto insieme, per l’occasione, da una serie di intellettuali locali difensori sempre, per definizione, e amanti del concetto di natura, di paesaggio e di bene culturale. Dall’altro, l’amministrazione comunale in prima persona, che va a garantire un percorso ormai maturo di trasformazione delle Logge. Ancora, ma non per ultimo naturalmente, il proprietario del bene, la Fondazione Cassa di Risparmio, che ha deciso di fare questa scelta, di puntare tutto sulla realizzazione di una struttura che dia per la prima volta un’utilizzabilità concreta al manufatto seicentesco.
Viene da chiedersi, appunto, perché, nel tanto tempo precedente trascorso prima della decisione della Fondazione Cassa di Risparmio, nessuno abbia mai pensato a Gubbio di trasformare effettivamente le Logge dei Tiratori dell’Arte della Lana in qualche cosa di diverso dalla semplice conservazione del monumentale aspetto di un’architettura in grado di garantire un’incomparabile visione della città.
Nel manifesto “Salviamo le Logge dei Tiratori di Gubbio dalla vetrificazione”, la famosa lettera che poi è stata inviata al presidente della Repubblica Mattarella – si dice: “Le Logge, che potrebbero essere restituite alla collettività come piazza aperta e coperta, luogo d’incontro e aggregazione, dove organizzare eventi, o semplicemente come museo di se stesse – mostrando l’attività che vi si svolgeva – se non si correrà ai ripari, saranno trasformate in un salone standard polifunzionale con parquet e aria condizionata. Un’opera inutile, senz’altro senso se non quello di stravolgere e tradire il nostro patrimonio storico”.
Ecco, il problema è proprio questo, è detto con estrema franchezza in quel tentativo di aggredire la brutta vetrificazione che invece svela proprio il lato dell’indifferenza collettiva, nel senso della città ma forse soprattutto delle sue “teste pensanti”, delle persone che oggi non solo a Gubbio ma soprattutto a Roma si scagliano contro il progetto da realizzare. Si sarebbe dovuto, qualunque comunità avrebbe dovuto, interessarsi anche a un bene come le Logge con molto anticipo, senza lasciarlo inutilizzato e funzionale al nulla intellettuale e turistico.
Se la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia è arrivata per prima in questo tipo di operazione e, nella indifferenza verso il bene che si registrava in una città tesa a godere di “Don Matteo”, ha operato una scelta, come non pensare che a tempo debito si sarebbe dovuto contrapporre al progetto con vetri, in maniera molto concreta, eventuali altri usi? In realtà, a quanto si ricorda e con la massima apertura a possibili sconfessioni, di ipotesi alternative non ne è venuta fuori nemmeno una, né negli anni passati né nell’imminenza di questi due anni di attività del Comitato per la tutela dei beni architettonici e paesaggistici di Gubbio.
Se il massimo dell’ideatività alternativa è ancora quella che porta a dire che le Logge “potrebbero essere restituite alla collettività come piazza aperta e coperta, luogo d’incontro e aggregazione”, si capisce molto bene che siamo ancora al livello di ineffabile indecisione, di immane senso della astrattezza, di voluta incuria creatrice sui propri beni culturali che non può in nessuna maniera avere lo stesso peso di una un’idea, bella o brutta che sia, che un soggetto diverso dalla collettività quotidiana di Gubbio riesce a elaborare e a progettare.
Poi, purtroppo, la politica, la cultura, di nuovo gli intellettuali, schierati sull’uno e sull’altro fronte, ma senza essere opinione pubblica, possono scagliarsi contro la vetrificazione, possono incatenarsi alle Logge, possono compiere gli atti più eclatanti – e già il fatto di avere messo a parte della questione anche la figura del Capo dello Stato è un atto oltremodo eclatante -: essi non fanno altro che far capire esattamente che un’alternativa al progetto della Fondazione nessuno lo ha mai cercato e amato.
La colpa, se una responsabilità esiste in tutta questa vicenda, è assolutamente della mancanza di valutazione, da parte dell’uomo, dell’eccesso di beni culturali che un po’ tante città umbre, e anche non umbre, hanno e vivono tutti i giorni. Gubbio, in particolare, se vogliamo dirla tutta, è ostaggio palese di un patrimonio maggiore che – dal Palazzo dei Consoli alla Piazza Grande a tutto il tessuto superiore della città – non riesce a far andare verso il futuro un bene importante, ma quasi di corredo scenografico, come le Logge, che sta tra la parte monumentale alta della città e la parte bassa di accesso alla città storica, con la stupenda Chiesa di San Francesco a fare da dimenticata àncora spirituale.
E, tira tira, come si dice, non essendoci più la manualità funzionale degli antichi artigiani della lana ai quali il monumento è intitolato, la corda dei Tiratori ha finito per spezzarsi, irrimediabilmente. La speranza residua è in un grammo di buona volontà che impedisca che a strapparsi sia anche la funicella della storia.

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