Guardare al XX Giugno senza rivolgere gli occhi al passato

di Mario Tosti*

In occasione dei cinquecento anni della morte di Bartolomeo d’Alviano, uno dei più importanti condottieri del Rinascimento, sabato 19 marzo hanno preso avvio le celebrazioni, volute dal Comune e dalla Proloco, che si protrarranno fino quasi alla fine del 2016. Venerdì 25 marzo a Città di Castello, nella splendida sala di palazzo Vitelli, di fronte a un numerosissimo pubblico, si è tenuta la presentazione di un romanzo storico (L’Eredità Medicea di Patrizia Debicke Van Der Noot) la cui trama è incentrata sul burrascoso biennio che vide l’ascesa e la presa di potere di Cosimo I de’ Medici, fondatore dello stato moderno toscano. Nella sua impresa di grande aiuto fu il tifernate Alessandro Vitelli, spregiudicato uomo d’arme, che costruì le sue fortune, e quelle della sua famiglia, sul mestiere delle armi. A Perugia l’11 e il 12 giugno verrà ricostruita la vicenda dell’ingresso in città di Braccio da Montone, avvenuto il 18 luglio 1416, con sfilata in costume, sbandieratori e gare tra i rioni. Bastano questi esempi per evidenziare un inedito interesse storico per i condottieri, per quegli uomini che, tra Quattro e Cinquecento, lucrarono patrimoni e rendite con l’arte della guerra servendo l’uno o l’altro principe e pretendendo per il servizio laute ricompense o addirittura feudi e ducati. Allo storico attento, che guarda al passato ma ha sempre presente il mondo contemporaneo, non può certamente sfuggire che l’attenzione per certi personaggi, poco edificanti dal punto di vista etico, potrebbe essere collegata all’attuale fase politica che vede, non solo in Italia, l’irruzione sulla scena di partiti personali, che hanno bisogno di leader carismatici, comunicativi, decisi e a volte persino prepotenti. E’ per questo che talora nelle critiche che tali rievocazioni/ricostruzioni storiche attirano non si riesce a distinguere il giudizio storico dall’ideologia, la sofferenza per la perdita dei partiti novecenteschi, e la conseguente irritazione per la politica attuale, dalla benemerita intenzione di riportare alla memoria un periodo, quello del Rinascimento, che, fatta eccezione per l’aspetto  artistico, è stato sempre considerato, soprattutto per la nostra Penisola, carico di negatività tanto da essere liquidato come l’inizio dell’età delle preponderanze straniere. Infondo il paradigma della storiografia risorgimentale, duro a morire, era tutto qui: bisognava teorizzare una decadenza (dalla fine del Quattrocento alla fine del Settecento) per poi avere un Risorgimento. Il fatto è che di quella storia, intesa come pedagogia nazionale, usata per costruire gli italiani, per farli sentire devoti e riconoscenti a chi aveva portato progresso e modernità, i Savoia, ci siamo liberati da tempo e oggi nessuno storico serio può seguire le orme di Voltaire e degli illuministi e affermare che ci sono periodi storici che non vale la pena di studiare. Insomma lo storico vero non trancia giudizi, non esalta e non condanna, ma cerca di ricostruire e di interpretare tutti gli aspetti delle realtà passate, non si schiera per una parte. Questo mi sembra il limite più grande di alcuni dei più accaniti detrattori dell’evento messo in campo dalla nuova amministrazione di centro-destra della città di Perugia, che ha vinto le elezioni e ha il diritto-dovere, sempre nel rispetto delle dinamiche istituzionali e della trasparenza, di proporre le sue “ricette” per la rinascita della città: saranno poi i cittadini con il loro voto a stabilire se le risorse impiegate sono state ben utilizzate, se le politiche messe in atto hanno attivato circuiti virtuosi, se hanno rianimato la vita sociale dei quartieri. Tutto il resto sembra oggettivamente poco condivisibile: certo si poteva fare diversamente, si poteva coinvolgere più in profondità le istituzioni culturali cittadine, si poteva meglio focalizzare il periodo storico senza appiattirlo su Braccio, ma non si può sostenere che l’evento non si deve fare perché divide la città; perché, almeno fino all’avvento delle amministrazioni di centro-sinistra, il XX Giugno era una celebrazione di tutti? O solo di una parte? Oggi quella data identitaria della città è ormai vissuta da tutti come testimonianza dei valori di democrazia, libertà e laicità, non declinati tuttavia nella versione risorgimentale ma nelle forme moderne che si addicono a una città profondamente mutata nell’economia, nella politica e nella società. Chi si ostina a guardare ancora al XX Giugno con gli occhi rivolti al passato non arreca un contributo alla crescita democratica e al progresso della città. Una comunità che intende ricordare un pezzo della sua storia è libera di farlo, a patto però che ciò non si traduca solo in una serie di gesti rituali.  Per evitare tale deriva è necessario tenere sempre collegati i tre momenti – passato, presente, futuro – lungo il filo ininterrotto di alcuni valori permanenti e forti che costituiscono e costruiscono l’identità della città.

*Direttore del Dipartimento di Lettere, Università degli Studi di Perugia

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