Il lavoro alla base della nostra Italia

Mons. Luigi Filippucci, Direttore della “Commissione  per i Problemi sociali ed il lavoro, giustizia e pace, custodia del creato” della Diocesi di Foligno, nel corso del suo intervento di presentazione dell’interessante convegno annuale, svoltosi di recente a Foligno presso l’Industria Lechler, dedicato a “Il lavoro che vogliamo: Imprenditoria, Partecipazione, Territorio”, analizzando il significato del “lavoro”, ha posto, tra l’altro, forse in maniera retorica, la domanda: “le suore di clausura lavorano?”. Una domanda, a mio avviso,  molto significativa che  induce a ritornare alla genesi dell’articolo 1 della Costituzione, che nella prima parte recita “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Il “lavoro” che può essere considerato il tema ispiratore della trama del tessuto costituzionale. Nella Costituzione, infatti, del tema del lavoro se ne parla in una decina di articoli. Ed è trattato nella prima parte, quella dei  “principi fondamentali”, per merito fondamentale dei due costituenti:  Giuseppe Dossetti e Palmiro Togliatti. Ed al riguardo  riprendo una nota narrazione di Pierluigi Castagnetti che dello “storico” incontro, avvenuto tra i due costituzionalisti, ha avuto modo di raccogliere una testimonianza attendibile. Castagnetti ricorda lo stato di impasse iniziale dell’Assemblea costituente dinanzi alla stesura dell’articolo 1 della Costituzione: “Non riuscivano a mettersi d’accordo sul modello di democrazia da realizzare nel nostro Paese”.

Specialmente dopo che Lelio Basso, per l’area laico-comunista, e Giorgio La Pira, per l’area democristiana, furono invitati ad esporre i rispettivi modelli di Stato democratico, le distanze si erano ulteriormente allargate e sembrava che ci fosse l’impossibilità a scrivere un testo comune. Fu allora che, una sera, Giuseppe Dossetti chiese a Palmiro Togliatti di avere, l’indomani mattina, un incontro in sede privata. S’incontrarono  in un bar di Roma, in Via del Corso, dove Dossetti propose a Togliatti che il perno su cui costruire la “nostra” Costituzione fosse il tema del lavoro. “Ma Lei dice questo per compiacere le mie posizioni?” gli replica Togliatti. “No, lo faccio per compiacere le mie” risponde Dossetti, che spiega “siccome io sono convinto che l’asse su cui costruire la Costituzione debba essere la persona umana…so che volendo mettere al centro la persona umana, il passaggio da individuo a persona è rappresentato dalla conquista  della dignità e credo che il lavoro sia la condizione per segnalare il valore della dignità”.

Nel corso del colloquio Dossetti spiega ancora la visione alta della sua proposta secondo cui il lavoro debba essere la condizione per avere la cittadinanza: attribuire la cittadinanza ai lavoratori, cioè a quelli che con il loro contributo concorrono a costruire il benessere di un Paese. Togliatti vuole specificare chi siano questi lavoratori e, quindi, cominciano a farne un elenco, durante tutta la mattinata, fino ad arrivare ad un problema: gli artigiani, i commercianti, sono lavoratori o imprenditori? Togliatti a questo punto chiede un aggiornamento perché deve sentire cosa ne pensi Di Vittorio, suo compagno della terza sottocommissione. Anche Dossetti  avrebbe consultato Amintore Fanfani. Evidentemente, in un primo momento, i due pensavano di scrivere il primo articolo della Costituzione con un elenco infinito di professioni e mestieri per vedere chi erano i lavoratori che avessero diritto allo status di cittadinanza.

S’incontrarono il giorno dopo, riportando entrambi risposte positive. Dossetti però non si accontenta e propone che nell’elenco venga inserito anche il “lavoro orante”. Togliatti, ritenendo che si riferisse ai preti, ai parroci, conviene che questi siano lavoratori. Ma Dossetti precisa che non sono questi quelli a cui pensa, ma, per esempio, le monache di clausura. “E che fanno queste signore?” chiede Togliatti. “Pregano” risponde Dossetti. Fu uno scoglio. Ma il testo dell’articolo 1 della Costituzione non raccolse l’elenco.

Mi fermo qui, essendo arrivato alla risposta per la domanda di mons. Filippucci.

Alvaro Bucci

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