L’assoluzione del ladruncolo: la pronuncia della Suprema Corte apre un dibattito apparentemente giudiziario, ma in realtà gravemente politico

Qualcuno si sarà fregato le mani: la Corte di Cassazione, assolvendo un ladruncolo che in un grande magazzino, si era impossessato di alimenti, ha deciso che ‘’rubare non è reato’’.

Calma! Sembra così, ma in realtà questa pronuncia non è il via libera per il furto. Nella valutazione dei giudici hanno inciso in modo fondamentale non solo l’esiguità della refurtiva (pochi euro), ma anche lo stato di grande necessità che ha indotto ad ‘’agire’’ quel disgraziato senza tetto e privo di quattrini. Osservano gli esperti: ‘’Non si è trattato di un verdetto buonista, ma dell’applicazione- magari tardiva- di una norma di legge che suggerisce ai magistrati di tenere in considerazione l’oggettiva realtà di certi fatti’’.

E’ chiaro che l’assoluzione decisa dalla Suprema Corte in relazione a questo reato (perché di reato si tratta) ha inevitabilmente determinato non solo commenti più o meno clamorosi, ma anche analisi più profonde e coinvolgenti. Un interrogativo su tutti: ‘’Quanti sono, in Italia, i miserabili che si vedono costretti a sgraffignare qualche formaggino e un paio di wurstel?’’.

E poi: ‘’Come affrontare quel tipo di soglia sociale che rivela l’esistenza della povertà estrema?’’.

Il discorso, insomma, da giudiziario, si trasforma in politico. E riguarda non più le toghe che governano le aule di giustizia, ma le ‘’grisaglie’’ di chi chiede di curare gli interessi della collettività. Senza troppa retorica urge una domanda: è possibile prevenire l’azione disperata di un disgraziato travolto dalla fame?

RINGHIO

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