Le liberal-democrazie debbono resistere

di Alvaro Bucci

“Non si può, tuttavia, che constatare con preoccupazione come oggi, non solo nel Continente europeo, si registri un arretramento della democrazia. Essa richiede la partecipazione e il coinvolgimento di tutti e dunque domanda fatica e pazienza.  È complessa, mentre l’autoritarismo è sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti. In diverse società, preoccupate della sicurezza e anestetizzate dal consumismo, stanchezza e malcontento portano a una sorta di scetticismo democratico”.

Sono le parole del passo centrale del discorso di papa Francesco ad Atene, durante il suo viaggio apostolico in Grecia, riguardanti la democrazia, cui ho fatto riferimento nell’articolo “Un viaggio per la democrazia” pubblicato sulla Gazzetta di Foligno del 16 gennaio scorso.

Arretramento della democrazia” e “scetticismo democratico” sono lucide percezioni che papa Bergoglio pone in evidenza, lasciandole all’attenzione di quanti nel mondo operano per il mantenimento dei modelli di democrazia. Percezioni che inducono opportunamente a ulteriori riflessioni sulla democrazia, sul suo significato, sulle sue caratteristiche, sui suoi fondamenti, sulla sua diffusione, sui suoi rischi.

Parto al riguardo dal Vocabolario online “Treccani” che definisce la democrazia come “Forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico”, che configura la cosiddetta democrazia liberale o liberal-democrazia.

Si tratta cioè, sinteticamente, di una forma di governo per garantire l’esercizio del potere al cittadino. Che implica, quindi, un grande atto di fede nella persona, che impone di credere nella pari dignità politica di ciascun cittadino.

Ma tale forma di governo, non basandosi su una “verità rivelata” bensì su una scelta politica-filosofica, può ben continuare a generare dubbi, agnosticismo, scetticismo o atteggiamenti fondamentalistici (inneggianti alla democrazia assoluta). Si spiega così perché nella vita democratica possano determinarsi poteri politici oligarchici, elitisti per proteggere il processo politico dagli eccessi, dalle passioni e dalle esasperazioni del popolo. Ma può avanzare così anche il rischio che la liberal-democrazia possa condurre anche ad esiti illiberali. Entriamo così nella regressione della democrazia.

La democrazia, la liberal-democrazia, non è quindi un assoluto, non è raggiunta una volta per tutte, ma è un processo che deve trovare un continuo equilibrio tra potere dei governanti e libertà dei governati, tra la volontà di una maggioranza e la libertà dei singoli. Vive cioè in continua tensione tra queste due polarità. E il loro equilibrio garantisce la stessa legittimazione del modello che si fonda sulla fiducia dei cittadini nel fatto che le loro scelte contano.  Ecco perché le liberal-democrazie, per non incorrere nel rischio di delegittimazione, non possono sopravvivere senza una soglia significativa di consenso e di fiducia da parte dei governati, dei cittadini che debbono osservare le prescrizioni.

Senza questa fiducia dei cittadini, la democrazia entra in crisi. E venti di crisi delle varie articolazioni della democrazia si stanno riscontrando in maniera sempre più ampia nei vari Paesi del mondo. Basti pensare che, secondo alcune analisi, il numero delle liberal-democrazie è sceso da 41 del 2010 a 32 del 2020. E che il sostegno ai partiti populisti, sulla base di 450 elezioni, è passato dal 2 per cento del 1980 al 25 per cento di oggi. Un terzo della popolazione mondiale sta attraversando un processo di autocratizzazione.

Molteplici sono le cause di questo “arretramento” della liberal-democrazia. In primo luogo la crisi irreversibile dei partiti tradizionali nel loro ruolo di selezione delle domande e delle rappresentanze politiche. Determinante anche il populismo come fenomeno di contestazione radicale delle istituzioni rappresentative e la pretesa di semplificazione attraverso il pronunciamento diretto del popolo e l’affermazione di forze che rivendicano la rappresentanza esclusiva dello stesso e come manifestazione della democrazia assoluta.

Si aggiungano la globalizzazione, che ha ampliato le disuguaglianze e che genera interdipendenza economica, politica e sociale e una conseguente convergenza obbligata delle politiche nazionali che possono ritenersi incomprensibili per i cittadini interessati, e soprattutto i fenomeni migratori, le cui incerte politiche di accoglienza dei Paesi che si trovano ad affrontarli provocano non pochi risentimenti di egoistico dissenso.

Le liberal-democrazie debbono quindi resistere all’azione di tali fenomeni che incidono negativamente sulla tenuta del consenso che deve legittimarle. Un’azione di resistenza non passiva ma fondata su alcuni fondamenti essenziali. Oltre quelli dell’eguale dignità di ogni singolo cittadino e dell’equilibrio dei vari elementi che ne caratterizzano la tensione, come sopra accennato, va aggiunto quello, non meno essenziale, del confronto e del dibattito pubblico. Cioè di un processo decisionale fondato su un confronto, né istantaneo né autoreferenziale, che consenta apertura, autocorrezione attraverso l’intervento dei cittadini che, passando già per i propri strumenti di rappresentanza, possono sfidare, contestare, rivedere le decisioni politiche.