LETTURE. I FANALI

di Maurizio Terzetti / Le signore, dentro l’automobile, stavano aggiustandosi gli ampi scialli e si rassettavano i capelli per la prossima discesa dal mezzo di locomozione quando, con impeccabile riguardo, lo chauffeur si lasciò scappare quella che poteva vagamente sembrare un’imprecazione. Era, più che altro, un moto di stizza, la rabbia di un momento, il fastidio di doversi fermare, con l’automobile, a cento metri dall’arrivo. Già il pavimento stradale non era dei migliori, fatto a lastroni di pietra grigia, in più, adesso, quella guardia municipale piantata in mezzo alla via, nel corso principale di Monteveglia!
Lo chauffeur s’era indispettito più per quell’apparizione, nel tramonto autunnale, che per il lieve difetto del quale s’era accorto: i fanali della sua Fiat Zero, di colpo, si erano spenti, per un sobbalzo in più del mezzo su quel pavimento stradale non proprio levigato.
Mentre le signore cominciavano a dare qualche segno di impazienza, gli era toccato bloccare ben bene l’automobile e scendere dalla vettura incontro a quella guardia, rimasta ferma, immobile, al centro della via. Anche le guardie di città, in quell’ottobre 1915, avevano assunto pose militari, la guerra – pensò – si faceva sentire anche lontano dal fronte.
Pochi passi e gli fu accanto. Si tolse il cappello, cortese e compunto come davanti al suo principale, il commendator Rossi, che, dentro l’automobile, nel frattempo cercava di tranquillizzare le due signore su quanto stava accadendo e, con un cenno rapido d’intesa, gli aveva fatto capire che occorreva scendere subito, non c’erano alternative.
E, di fatto, di alternative di discorso la guardia ne pose poche all’educato chauffeur: “Ha visto, signora autista, che i fanali del suo autoveicolo sono spenti, tutti e due?”
L’autista deglutì, si rimise il cappello, cercò di cavarsela egregiamente, come sempre finché poteva, senza scomodare il padrone: “Buona sera, signor agente. Li avevo regolarmente accesi, i fanali, poi quel sobbalzo, l’ha visto anche lei che successe tutto in un istante, il tempo lei di accorgersene ed io di mettermi a sua disposizione…”
La guardia non apprezzava tanta eleganza, tutta quella cortesia gli sapeva di raggiro. Era diffidente, questo è tutto. Il suo turno finiva di lì a poco, anche per lui era una grana dover fare una multa a quei forestieri. Però non poteva ormai farci più niente, voleva affermare la sua ragione giuridica di capo delle guardie di Monteveglia. Aveva o non aveva, quell’autovettura, i fanali spenti un’ora prima del tramonto? E allora, contravvenzione, senza stare a tirarla troppo per le lunghe.
Lo chauffeur non credeva ai suoi occhi nel vederle la guardia mettere mano, senza altre risposte, al taccuino e cominciare ad annotare il numero della targa.
“Ecco, sì, andiamo a parlare col signore che sta in macchina” fece quindi l’agente nel vedere l’autista che andava a chiedere lumi al commendator Rossi.
Nell’abitacolo di quella bella vettura verde, maestosa e solenne a confronto con la povertà circostante, s’era fatto un trambusto, contenuto ma preoccupato. Per fortuna, il commendatore sapeva sempre come fare e, infatti, senza scendere, abbassando il finestrino, rivolse subito alla guardia un sorriso benevolo, ma nello stesso tempo autoritario e ammiccante alla sua posizione socialmente elevata. Le due signore – belle, profumate, provocanti sotto i loro cappelli piumati – per fingere disinteresse e mascherare l’imbarazzo si dilettavano a tenere a bada un cagnolino, anche lui tutto azzimato, che saltellava irrequieto dall’una all’altra.
In un attimo, tutto precipitò: mentre Rossi cercava di ammansire la guardia e lo chauffeur cominciava a preoccuparsi per il capannello di curiosi che si stava formando intorno alla Zero, il cagnolino, sfuggito alle carezze matronali delle due signore, s’infilò nel finestrino e balzò fuori dalla vettura, infilandosi fra le gambe di chiunque gli capitasse a tiro.
Fu il parapiglia e si raggiunse l’acme della commedia, perlomeno del suo primo atto: la guardia finì di stendere il suo verbale annotandovi sopra il nome del commendatore, aggiunse alla contravvenzione l’ammenda per il cane che girava su una pubblica via senza museruola, impose che tutti scendessero dall’abitacolo e che l’automobile si spingesse, a mano, fino al vicino posto della Polizia municipale, dove avrebbe provveduto a verificare come si deve i documenti di circolazione dell’automobile.
Si formò così una ben strana processione nel centro storico di Monteveglia. Lo chauffeur, sul lato destro della Fiat Zero, a motore spento, da terra controllava il volante e imprimeva anche lui un po’ di spinta al veicolo, che veniva ben più robustamente fatto avanzare da un nugolo di ragazzini vocianti. Intorno, il popolo rideva per l’evidente ridicola messinscena orchestrata dalla guardia, che costringeva due ricche dame avvenenti a scivolare lungo il marciapiedi, a fianco dei palazzi, confuse ma pur sempre altezzose. Il commendatore le seguiva, due passi indietro, col cagnolino in braccio, mentre il capo delle guardie di Monteveglia apriva il corteo gesticolando e dando di fischio, qua e là, allo chauffeur per fargli mantenere barra a dritta.
Le luci elettriche, inaugurate solo qualche giorno prima in città, si accesero nel momento in cui lo spassoso accompagno si fermava davanti alla sede delle guardie municipali, sulla piazza principale di Monteveglia. Lo zelante poliziotto rimandò tutto all’indomani, facilitato anche dal fatto che i forestieri erano venuti per passare almeno un paio di giorni in città e che l’hotel nel quale sarebbero scesi era proprio lì, in un angolo della piazza, bello e scintillante come si conviene per ricevere una clientela di gran classe.
Due piccole valigie – sentenziò la guardia – sarebbero bastate agli ospiti per la notte, tutto il pesante bagaglio di due formosi bauli sarebbe rimasto nell’automobile, capace di contenere un grande volume di occorrenze.
Quando dovette lasciare le chiavi al corpo di guardia, il commendator Rossi tradì un attimo di preoccupazione, ma, visto che la guardia s’inalberava di nuovo, si mise in pace con se stesso e acconsentì, giudicando che la sua Fiat Zero e il prezioso carico che aveva dentro non rischiavano alcun pericolo di fronte al corpo di guardia, con la luce elettrica e, come poi scoprì, con la finestra della sua stanza dell’hotel che permetteva di controllare la scena a puntino in ogni momento.
Così, poco dopo, le due signore, lo chauffeur e il commendatore col cagnolino erano a tavola per la cena, tranquilli e fra loro affabili come se nulla fosse successo di così ridicolo fino a qualche momento prima. Si dissero fra di loro, però, che anziché restare due giorni a Monteveglia – che qualche bel monumento da visitare ce l’aveva – sarebbero ripartiti l’indomani mattina, subito dopo aver sbrigato le formalità con la guardia. Non per essere altezzosi – disse il commendatore – ma sono questi comportamenti da tenersi con i forestieri? Ne avrebbe scritto al sindaco della città – aggiunse – ma una delle due signore in particolare cercò subito di dissuaderlo. Meglio lasciar perdere.
E così continuò a ripetergli tutta la notte, specie quando lo vedeva andare verso la finestra per controllare la vettura. Non erano sposati, ma condividevano volentieri da tempo lo stesso tetto e, adesso, lo stesso letto di una elegantissima camera durante un viaggio di piacere, in piena guerra, in un paese che sembrava davvero arretrato ad onta degli splendidi monumenti che vantava. La donna si dimostrò particolarmente eccitata da tutti gli inconvenienti occorsi e riuscì a trascinare nel suo stato d’animo il rigido commendatore che, lasciandosi andare e non pensando più alla Fiat Zero, gustò appieno con la donna tutta l’atmosfera decadente di una notte a Monteveglia. Lo chauffeur e l’altra signora dormirono in stanze separate, ma contigue, e solo il cagnolino, lasciato alla custodia dell’autista, avrebbe potuto dire se i due, quella notte, finirono per incontrarsi.
Il congedo della comitiva da Monteveglia non fu né breve né facile. Quando, l’indomani mattina, il commendatore, senza cagnolino, si recò al posto di guardia accompagnato dallo chauffeur per pagare il suo debito di venti lire e vedersi riconsegnare la Fiat Zero, cominciò il secondo atto della sua tragicomica vicenda.
Il capo della polizia urbana era, se possibile, più inflessibile e pignolo la mattina di quanto lo fosse stato la sera precedente. Prima di tutto fece fare al commendator Rossi un’ora di anticamera, poi gli contestò il diritto di prendere visione del verbale di contravvenzione per quanto fosse necessaria la firma dell’uomo in quanto unica persona, di quelle presenti sulla Fiat Zero, alla quale erano state prese le generalità.
E proprio su questo punto, la guardia non voleva intendere ragioni: l’automobile era stata acquistata di recente dal commendatore ed era ancora intestata al vecchio proprietario? Bene – ripeteva – che venga qui costui, il vecchio proprietario, a pagare la multa, altrimenti l’automobile non si muove da Monteveglia.
Ne nacque una discussione così animata che le voci raggiunsero l’esterno e ben presto la piazza si riempì dei curiosi della sera prima, giubilanti perché finalmente in paese succedeva qualcosa di nuovo. Comparvero anche le due signore, che ormai credevano fosse giunta l’ora di partire da quel posto, a loro dire, tanto antipatico e cialtrone. Rimasero bloccate anch’esse, non c’era modo di chiudere la partita.
Una guardia municipale, di rientro dal servizio in città, capito l’inghippo, sgattaiolò ai piani superiori, in Comune, e ne discese accompagnato dal signor Segretario generale comunale. La più alta autorità degli impiegati comunali ebbe parole di stima per l’opera della guardia e per la sua solerzia, riverì il commendator Rossi, ossequiò le signore, dette la mano allo chauffeur, un buffetto al cagnolino che nel frattempo era tornato sulle braccia del commendatore e sentenziò – vista tutta una serie di articoli e di regolamenti che citò a memoria – che la contravvenzione era incontestabile, ma che, per evitare altri danni all’automobile, il commendator Rossi era autorizzato a recarsi a riparare i fanali, con ciò potendo spostare l’automobile dalla piazza di Monteveglia alla più prossima officina senza tema – disse rivolto alla guardia – che il Comune di Monteveglia potesse essere citato dal Rossi per requisizione illegittima del suo mezzo di locomozione. Il distinto signore, d’altro canto, poteva sottoscrivere una dichiarazione nella quale confermava che le pratiche per il trasferimento di proprietà dell’autovettura erano in corso, come già annotato a margine del documento di circolazione della Fiat Zero che era stato esibito. Poiché il vecchio proprietario non si trovava proprio nei paraggi Monteveglia – concluse il valente funzionario – essendoci qui il nuovo non c’erano motivi ulteriori che impedivano al commendator Rossi di pagare lui le venti lire di contravvenzione, nelle quali fra l’altro era compresa la multa per la mancanza della museruola del cagnolino, la cui proprietà in capo al Rossi era irrefutabile a causa del fatto – così fece scrivere nel verbale che volle stilato – che “da lui chiamato, gli si faceva incontro come ogni animale al suo padrone”.
Così, per estensione e fuori verbale, celiò in vena di scherzare: “E che, ugualmente, non si vede che l’automobile risponde ai comandi dell’esimio commendatore per il tramite dello chauffeur?”
Nessuno ebbe il coraggio di abbozzare il benché minimo sorriso. La contravvenzione era stata pagata, la comitiva si era ricostituita nell’automobile, la guardia, in bicicletta, scortò la Fiat Zero presso il garage di città, il capannello di curiosi si disperse, Monteveglia si ritrovò immersa nella sua pacifica ottobrata.
Il sindaco era stato informato dell’accaduto, due giorni dopo, dal segretario generale. Non arrivarono mai al Comune lettere di protesta del commendator Rossi, impegnato, per la verità, più a far perdere le sue tracce che a lasciare prove del suo stimato passaggio. Da tempo sospettato, infatti, il Rossi era, in realtà, uno dei più abili truffatori che all’inizio della grande guerra giravano per l’Italia, approfittando del clima di confusione per compiere raggiri su raggiri. La sua Fiat Zero, ad esempio, proveniva da una manovra con cui Rossi aveva circuito un vecchio conte di Novara e per la cui documentazione aveva fatto fare tutte carte false, compreso il passaggio di proprietà su cui tanto si era accalorata la guardia di Monteveglia.
Quando anche a Monteveglia giunse la notizia del suo arresto, avvenuto in compagnia di tutta la combriccola muliebre e dello chauffeur, nessuno, soprattutto il segretario generale ebbe più il coraggio di guardare negli occhi quel pignolo del capoguardia, che stava per fermarlo lui, quel lestofante! Se solo lo avessero lasciato fare… Però – commentarono al bar – in fin dei conti la refurtiva nascosta nei bauli era sfuggita anche al suo fiuto poliziesco.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.