LEVANTE. Considerazioni del mattino L’ITALIA DI COLFIORITO

di Maurizio Terzetti
In tempi di forti distrazioni laiche e consumistiche socialmente molto diffuse, la benedizione di una strada può sembrare un fatto marginale, una nota di cronaca da lasciare cadere come un piccolo segno che, altrimenti dibattuto e commentato, rischierebbe di non rendere comprensibile il gesto con il suo significato.
Anch’io voglio attenermi a questo principio che, più che al giornalismo, è giusto che appartenga a una comunità, alla vita interna di una comunità locale che, mettendo insieme istituzioni civili e religiose, compie quei minimi miracoli di umana collaborazione che solo Giovannino Guareschi ha saputo illustrare così bene parlando di un’altra Italia, forse ormai inesistente.
La notizia consiste nel fatto che, poco più di due mesi dopo l’inaugurazione della nuova S.S. Val di Chienti, il vescovo e il sindaco di Foligno, accompagnati dalla dirigenza dell’Anas e della Quadrilatero, si sono recati sulla montagna di Colfiorito e lì, tra segni di croce un po’ convinti e un po’ distratti, con un cielo adeguatamente coperto e a tratti scuro come si addice alla montagna, hanno consacrato l’importante arteria secondo i crismi della religione e secondo il buon senso espresso e richiesto in mille maniere dagli abitanti dei paesi che si trovano lungo il nuovo tracciato viario per le Marche.
Durante l’estate, ci sono stati, non enfatizzati, alcuni strascichi del fatto che, quel 28 luglio, qualcuno si è dimenticato di mettere nel cerimoniale dell’inaugurazione anche questo lato devozionale dell’intera organizzazione dell’evento.
Non so che Italia può essere quella che marginalizza una benedizione in mezzo all’ufficialità che la società civile riserva a un’infrastruttura così importante: forse è un’Italia che si affranca da qualcosa, forse è un’Italia distratta, forse è un’Italia che ha bisogno di correre, forse è un’Italia che vuole rendere certi valori religiosi meno confessionali, forse è un’Italia che tutela l’altare non confondendolo con il vociare mondano e politico che accompagna le grandi inaugurazioni.
Se è così, se questo è stato l’intendimento sotterraneo di chi s’è dimenticato della benedizione della Val di Chienti il 28 luglio, si può dire che il suo obiettivo l’ha raggiunto.
Quello che abbiamo visto ieri lo dimostra.
Se la cerimonia di ieri avesso fatto parte del programma del 28 luglio, qualche velina, sempre distrattamente, avrebbe anche ricordato che il vescovo di Foligno aveva avuto un minuto a disposizione per benedire la variante.
Invece, ieri, la scena è stata tutta del vescovo, del sindaco e dei responsabili tecnici dell’impresa e c’è stato anche il tempo di onorare tutti coloro che hanno lavorato alla variante e, soprattutto, i tre operai che ci hanno lasciato la vita.
Ma, tornando alla realtà, è probabile che quel 28 luglio nessuna volontà di lasciare uno spazio autonomo alla benedizione sia mai esistito ed è certo, invece, che la benedizione “riservata a un successivo momento” è stato un atto voluto, in tutta autonomia, dalla comunità locale, con suo merito preciso e incontestabile.
L’Italia, dunque, continua a correre, anche su questa variante decisiva per Foligno e per l’Umbria; Foligno e l’Umbria, pur capendo che bisogna fare così, non rinunciano agli spazi di condivisione locale della nobile lentezza di una benedizione, tra segni di croce imprecisi e nuvole incombenti, come su alte montagne.
E, forse, l’Italia di Giovannino Guareschi, a Colfiorito di Foligno, non è finita del tutto.

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