Quale futuro per il nostro Sistema Sanitario Nazionale?

di Alvaro Bucci

Quale futuro per il nostro Sistema Sanitario Nazionale?Penso che sia appropriato porci questa domanda, da cittadini attenti all’andamento della “salute” del Sistema Sanitario del nostro Paese.  Una domanda indotta sia dai finanziamenti che dall’organizzazione strutturale che i governanti di turno intendono assicurare al Sistema.

Dal punto di vista dei finanziamenti, mi sembra significativo riferirci alIV Rapporto della Fondazione Gimbe(Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) sulla sostenibilità del sistema sanitario, presentato l’11 giugno scorso. Non può che destare preoccupazione la denuncia del Rapporto secondo cui negli ultimi10 anni il nostro Sistema Sanitario è stato sottoposto ad un drastico definanziamentoa scapito della garanzia dei LEA, alimentando il mercato della sanità privata e quella intermediata dai fondi sanitari. In particolare, a 30 mesi dalla pubblicazione del DPCM sui nuovi LEA, gran parte delle nuove prestazioni ambulatoriali e protesiche non è ancora esigibile per mancata pubblicazione del decreto tariffe, in ostaggio del Mef per mancata copertura finanziaria.

Sempre secondo le stime Gimbe, nel periodo2010-2019 sono stati sottratti al Ssn circa 37 miliardi di euro. Il DEF 2019, inoltre, ha previsto una riduzione progressiva del rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel biennio 2019-2020, al 6,5% nel 2021 fino al 6,4% nel 2022. Per riallineare il nostro SSN agli standard deglialtri paesi europeie offrire ai cittadini italiani un servizio sanitario di qualità, equo e universalistico sarà necessario nel 2025 finanziare il fabbisogno di spesa sanitaria di 230 miliardi di euro, mentre l’incremento della spesa sanitaria totale entro il 2025 ci consentirebbe di raggiungere una cifra di 183 miliardi.

Considerato che per raggiungere il fabbisogno stimato nel 2025 mancherebbero comunque circa 40 miliardi di euro,  servirebbero scelte politiche ben precise per un potenziamento del Ssn, soprattutto attraverso un consistente rilancio del finanziamento pubblico.

Il Rapporto, quindi, propone un “piano di salvataggio” in 12 punti,tra i quali, oltre quello di rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità ed evitare continue revisioni al ribasso, quelli di aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel rispetto delle loro autonomie e di rilanciare politiche e investimenti per il personale e programmare adeguatamente il fabbisogno medici, specialisti e altri professionisti sanitari.

Altro elemento di preoccupazioneper il futuro del nostro Ssn è costituito dalle richieste  di autotomiadifferenziata da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Mosso da tale preoccupazione, è infatti intervenuto di recente, con un editoriale sulla rivista “Corti supreme e salute”, Renato Balduzzi, autorevole costituzionalista ed ex ministro della Sanità, che, a proposito di “regionalismo differenziato” intravede “rischi in materia sanitaria”.

Rammentato che un sistema nazionale di tutela della salute fondato sull’universalità dei destinatari “ha tra le sue finalità primarie quella di promuovere l’avvicinamento tra situazioni territoriali diverse”, il prof.Balduzzi,chiedendosi se sia possibile che singole regioni “deroghino all’assetto di fondo del Ssn e alla regola base per cui il finanziamento è assicurato dalla fiscalità generale”, osservache “una devoluzione riferita a questo o quel territorio regionale non potrebbe che comportare la destrutturazione del Ssn e l’aumento delle disuguaglianze, senza che siano chiaramente percepibili i vantaggi in termini di tutela della salute e garanzia dei Lea”.

Mi auguro quindi che le scelte degli attuali governanti sull’autonomia differenziata, specialmente in materia sanitaria, non aggravino le disparità tra territori e tra cittadini. Ci teniamo soprattutto noi umbri che ancora possiamo contare su un sistema di servizi sanitari regionali di riconosciuta efficiente qualità, pur in presenza di inevitabili lacune.

Alvaro Bucci