RICORDI PRESIDENZIALI. FRANCESCO COSSIGA

di Maurizio Terzetti / L’inevitabile contraccolpo della conclusione del mandato di Pertini è stato riassorbito, all’interno degli equilibri politici del pentapartito, dalla presidenza di Francesco Cossiga.

Il bilanciamento è stato, prima di tutto, fortemente generazionale: quando è eletto capo dello Stato, Cossiga non ha ancora sessant'anni, ne ha venti meno di Fanfani e nove meno di Andreotti. Se l'ultra ottantenne Pertini andava sostituito celermente nell'immaginario degli italiani, solo un politico molto giovane poteva prendere su di sé tale peso, per di più con una formazione culturale, di nuovo, giuridica e non storico-letteraria come quella di Pertini. Dopo Gronchi, Segni e Leone, la Dc punta proprio su un uomo di solida dottrina giuridica e Cossiga ricambia in pieno l'amplissimo consenso con cui viene eletto aggredendo, subito, alcuni nodi vitali dei rapporti fra i poteri che era interesse latente delle forze di maggioranza provare a sciogliere, fino a prefigurare anche il ruolo del capo dello Stato come esso stesso da rivedere e da riconsiderare.

Ciò che, di squisitamente suo, Cossiga ha messo nella partita è stata la consapevolezza, non si sa ancora oggi da quale tipo di conoscenza o di premonizione dettata, della fine non molto lontana del sistema politico, non solo a livello di formule governative e di alleanze, ma di giustificazione vera e propria dell'esistenza dei partiti tradizionali, a partire, naturalmente, dalla Dc.

Non è più, ormai, oggi motivo di interesse discutere, in rapporto a Cossiga, della frattura tra la prima e la seconda parte del suo mandato: la sua “svolta” è stata ed è più motivo di attenzione da parte dello scandalismo parlamentare che della rigorosa ricerca da parte degli storici. D'altra parte, il suo stile, il suo disseppellire continue verità rimosse, lo accompagnerà ben oltre la fine del mandato presidenziale e il suo tornare a fare politica partitica si giustifica molto bene se si considera la “giovane” età alla quale egli ha lasciato il Quirinale.

L'interesse vero per la presidenza di Cossiga sta nel fatto che egli è, davvero, l'ultimo dei presidenti della prima Repubblica. Dovremo, perciò, abituarci a considerarlo come la “summa” della formazione delleélite che la classe politica di maggioranza, in Italia, dalla fine della seconda guerra mondiale all'inizio degli anni Novanta, ha voluto annettere alle figure destinate a ricoprire un ruolo sconosciuto agli italiani, abituati, solo qualche decennio prima, a un sovrano. Oggi, infatti, si vede ormai abbastanza bene quanto la successione dei presidenti fino a Cossiga sia stata una specie di continuo esperimento, di adeguamento al ruolo, di vera e propria creazione della figura del capo dello Stato, chiarissima nel testo costituzionale, ma impacciatissima nei movimenti che figure pur nobili e brillanti hanno dovuto compiere durante i sette, lunghissimi anni del loro mandato.

A mio avviso, Cossiga aveva maturato, già all'inizio del suo settennato, una tale visione del percorso da cui proveniva e ha lasciato tracce e segni vistosi per far capire, al popolo italiano, miseria e nobiltà di un incarico, politico, vissuto in mezzo a una invasiva atmosfera, partitica, sulla quale era necessario operare riforme adeguate. Ma, per quanto lo abbia detto a chiare lettere, il messaggio di Cossiga non ha potuto essere udito nella sua vera, efficace, potenza perché è stato sopraffatto dagli scricchiolii e dal crollo del sistema dei partiti.

Il suo ultimo messaggio agli italiani, perciò, è di una concisione lapidaria. A Cossiga basta dare l'indicazione: “Il dovere sommo, e direi quasi disperato, della prudenza sembra consigliare di non dire, in questa solenne e serena circostanza, tutto quello che in spirito e dovere di sincerità si dovrebbe dire”. È questo l'anello, drammatico, che il moderno Thomas More ha indossato, in Italia, alla fine della prima Repubblica.

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MESSAGGIO DI FINE ANNO AGLI ITALIANI

DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

FRANCESCO COSSIGA

Palazzo del Quirinale, 31 dicembre 1991

Care Cittadine e cari Cittadini!

è tradizione del nostro Paese che il Presidente della Repubblica, alla fine del vecchio ed alla vigilia del nuovo anno, rivolga un messaggio alla Nazione.

Ma di tradizione pur sempre si tratta e non di legge imperativa: e ad essa, per seri motivi, è legittimo, anzi può essere, come nel caso presente, puranco doveroso, derogare.

Nei tempi attuali e nel delicato momento presente, il mio messaggio, il messaggio del Capo dello Stato, rappresentante dell' Unità Nazionale, non potrebbe e non dovrebbe giammai essere un evento soltanto formale, quasi un mero rito di circostanza.

Non certo mancanza di coraggio o peggio resa verso le intimidazioni ma il dovere sommo, e direi quasi disperato, della prudenza sembra consigliare di non dire, in questa solenne e serena circostanza, tutto quello che in spirito e dovere di sincerità si dovrebbe dire; tuttavia, parlare non dicendo, tacendo anzi quello che tacere non si dovrebbe, non sarebbe conforme alla mia dignità di uomo libero, al mio costume di schiettezza, ai miei doveri nei confronti della Nazione. E questo proprio ormai alla fine del mio mandato che appunto va a scadere il prossimo 3 luglio 1992.

Questo comportamento mi farebbe violare il comandamento che mi sono dato, per esempio di un grande Santo e uomo di stato, ed al quale ho cercato di rimanere umilmente fedele: privilegiare sempre la propria retta coscienza, essere buon servitore della legge, ed anche quindi della tradizione, ma soprattutto di Dio, cioè della verità.

Ed allora mi sembra meglio tacere.

Vi sarà certo altra più appropriata occasione per farvi conoscere il mio schietto pensiero ed i miei propositi.

Mi duole di avervi forse deluso Ma sono certo che voi, gente comune del mio Paese, vorrete comprendermi e, se lo ritenete, anche perdonarmi.

Non voglio però farvi mancare questa sera, che spero di gioia e di serenità, il mio sincero e caloroso augurio.

A voi tutti, cittadine e cittadini delle cento città, delle mille contrade di questo meraviglioso Paese, con animo fraterno e sincerità di cuore, formulo i più fervidi voti augurali di benessere e di serenità, per voi e per l' intera comunità nazionale.

Per la nostra Repubblica auspico ed alla nostra comunità civile auguro un anno di forte impegno nella libertà e nel coraggio, per il rinnovamento della società e per la riforma delle istituzioni democratiche e repubblicane, per mandato di voi, il popolo italiano, e con la vostra sovrana sanzione.

Che Iddio protegga e benedica l' Italia.

Viva l' Italia!

VIVA LA REPUBBLICA!

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