DEMOCRAZIA AL BIVIO

di Pierluigi Castellani

Il confronto sulle riforme istituzionali sta riaccendendo l’interesse sulla qualità delle forme democratiche di cui fino ad ora l’Occidente, e non solo, ha goduto. Questo confronto non può non avere sullo sfondo episodi a cui abbiamo assistito di recente e che indubbiamente hanno messo in pericolo la democrazia stessa. L’assalto al congresso americano da parte dei trumpiani e quello, che sembra averlo imitato, del parlamento brasiliano da parte dei seguaci di Bolsonaro, le torsioni autoritarie di alcuni paesi europei come l’Ungheria e la Polonia, tutto questo sembra rimettere in discussione le conquiste democratiche, che si sono avute dopo la fine della seconda guerra mondiale. E  questo mentre assistiamo alla guerra scatenata dall’aggressione di Putin all’Ucraina, che  evidenzia ancora di più come la pace e la stabilità internazionale possano essere assicurate solo dalle democrazie tra di loro  rispettose senza cedere ad istinti populisti e nazionalisti. Non sfuggirà credo a nessuno, che, se in Russia ci fosse stato un regime democratico rispettoso del diritto internazionale, non avremmo assistito all’invasione di un paese come l’Ucraina ove la democrazia si stava stabilizzando e rafforzando. Ma se guardiamo al futuro della democrazia non si può sfuggire anche ad interrogarsi sulle possibili striscianti degenerazioni che le forme democratiche possono subire. Nel nostro secolo assistiamo all’insorgere sulla scena politica anche di altri pericoli che possono mettere in discussione la democrazia nella forma di cui fino ad ora  abbiamo goduto. Mi riferisco al sovranismo ed al populismo. Il sovranismo, che è l’esasperazione del nazionalismo, spinge una nazione a rinchiudersi nel guscio dei propri confini impedendo ad uno stato di collaborare solidariamente con altri stati per assicurare la pace. Gli accordi internazionali e la creazione di strutture di collaborazione sovranazionali , come l’UE, sono il naturale frutto di democrazie oramai consolidate. Solo così infatti si possono assicurare la pace e lo sviluppo sociale ed economico dei popoli. Il populismo invece con il suo retroterra di antipolitica da cui nasce mette in discussione la forma di democrazia più consolidata e sperimentata in Europa come la democrazia rappresentativa, che trova nei parlamenti democraticamente eletti il suo naturale caposaldo insieme al presidio dei corpi intermedi in cui si esprime la vitalità di una società. Il populismo invece con la sua ricerca di un diretto rapporto tra il leader di turno ed il popolo saltando tutti i corpi intermedi, tra cui anche quello dei partiti, finisce per mettere in discussione il ruolo dei rappresentanti e quindi dei parlamenti ,che sono il fondamento della democrazia così come fino ad ora abbiamo conosciuta. E’ da questo che nasce, non si può certo negarlo, la suggestione del presidenzialismo, dell’uomo , o donna, soli al comando con il pericolo di non avvedersi, che l’autoritarismo si cela proprio dietro l’angolo. La storia, anche recente, purtroppo ce ne dà ampia prova. La Turchia, la Russia, l’Ungheria ed alcuni stati sudamericani ne sono la testimonianza. E’ per questo che con questa materia bisogna andare cauti e non si può, come fa il governo Meloni, mettere all’ordine del giorno una riforma costituzionale dai confini molto incerti ed ambigui senza una profonda riflessione sui presupposti, che un società moderna deve assicurare con tutto quel complesso di pesi e contrappesi, che costituiscono il requisito fondamentale perché la democrazia non corra il pericolo di tramutarsi nella tirannide della maggioranza come già Alexis de Tocqueville  aveva evocato. Per questo la materia delle riforme istituzionali, compresa quella del regionalismo differenziato, va maneggiata con cura se non vogliamo correre il rischio di trovarci in uno scenario che riporta indietro di molti decenni il nostro paese.