I REFERENDUM E LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA

di Pierluigi Castellani

L’appuntamento dell’8 -9 giugno sta suscitando un acceso confronto tra le forze politiche non tanto sul merito dei quesiti referendari quanto sull’andare a votare per raggiungere il quorum o il disertare le urne per far fallire i referendum medesimi. Quando i padri costituenti per la validità dei referendum prescrissero all’art. 75 della Costituzione la partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto, requisito non previsto per i referendum di conferma delle leggi di riforma costituzionale, una qualche ragione l’hanno certamente avuta anche del resto escludendo il referendum per le leggi tributarie e di bilancio ,di indulto e di amnistia e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Il motivo va certamente riscontrato nel sottile rapporto, evidentemente ben presente nel momento della scrittura della legge fondamentale della nostra repubblica, che lega la democrazia rappresentativa, che è il cardine della nostra Costituzione, e la democrazia diretta. Si voleva probabilmente evitare che un uso smodato dello strumento referendario mettesse in discussione il ruolo del parlamento, che dopo la tragica esperienza del fascismo si riteneva fosse il presidio indispensabile per le libertà democratiche. Del resto è ben presente nella storia dei paesi, non solo europei, che laddove il parlamento viene ridotto a mero orpello da qualche regime viene meno la libertà ed ogni presidio di difesa dei diritti umani di ciascuno. Non a caso questo requisito del quorum non viene richiesto per le leggi di riforma costituzionale, perché si riteneva che la Costituzione, così come uscita dal lavoro dei costituenti, dovesse difficilmente essere modificabile. Ora questo confronto politico, tra l’andare a votare l’8-9 giugno o disertare le urne, sta monopolizzando tutto il dibattito lasciando poco o nulla spazio ad un attento esame del merito dei referendum stessi , quando si dovrebbe ricordare a chi si lamenta del mancato abbassamento del quorum per la validità dei referendum ,che l’abbassamento era già stato previsto, in una certa misura, dalla revisione costituzionale del governo Renzi, che appunto fu bocciata dal referendum che ne conseguì. Ora senza affrontare il merito dell’iniziativa referendaria, che pure ha una sua giustificazione, anche se un attento analista politico come Tito Boeri ha rilevato l’oscurità di alcuni quesiti, mi sembra opportuno soffermarci sul rapporto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, che anche la suggestione populista imperante impone. C’è infatti da sottolineare, che una svalutazione della democrazia rappresentativa di tipo parlamentare a fronte di una democrazia diretta in cui si rispecchierebbe meglio la volontà popolare merita una qualche attenzione. Infatti non sfuggirà a chi ha una qualche dimestichezza con la storia, che spesso il richiamo al popolo per una maggiore legittimazione ,spesso  invocato dal demagogo di turno, può nascondere a volte una voglia di autoritarismo, se non di peggio, che è proprio l’inizio della morte delle libertà democratiche. Il punto infatti sta proprio qui, nel disconoscere , che la democrazia rappresentativa possa  rappresentare al meglio la volontà popolare o che addirittura la possa tradire. Come non ricordare allora quanto ebbe a scrivere Alexis  de Tocqueville nel suo fondamentale testo “La Democrazia in America”, quando osservando come il Senato, allora eletto non direttamente ma dalle “legislature” di ogni stato, rappresentasse al meglio ” l’élite della nazione”, perché secondo il politico francese ” basta  che la volontà popolare passi attraverso questa assemblea ( quella degli stati) per migliorare e uscirne rivestita di forme più nobili e belle”.