I REFERENDUM E LA POLITICA

di Pierluigi Castellani

E’ ormai evidente che chi, tra i promotori, pensava di poster fare dei quesiti referendari un’ arma politica per dare “l’avviso di sfratto” alla Meloni, ha clamorosamente fallito. Il quorum non è stato raggiunto, come era facile profetizzare, per tutti e cinque i quesiti e soprattutto per i quattro per cui la Cgil si è lungamente spesa. Gli elettori italiani, già disaffezionati alle urne, non hanno raccolto  l’interesse sperato, rilevando forse, che per difendere la qualità  e dignità del lavoro, e per ridurre il precariato, forse occorre servirsi di altre vie anziché  sottoporre quesiti, anche difficilmente comprensibili, agli elettori italiani. La verità è che, se lo strumento referendario e la  democrazia diretta assumono toni populisti cercando di offrire soluzioni semplici a problemi complessi, allora è meglio lasciare queste problematiche  alla strada del confronto e del dibattito parlamentare. La chiamata alle urne del popolo per conoscerne la sua volontà ha senso se il quesito referendario è di facile comprensione ed attiene a questioni fondamentali per la vita democratica del paese. Non si trattava l’8 ed il 9 giugno di scegliere tra monarchia e repubblica, né di affrontare temi attinenti alla vita più interna delle coscienze come il divorzio e l’aborto, né si è sottoposto al giudizio degli elettori una questione, che attiene alla stessa vita democratica del paese, come potrà essere, se verrà approvata, la riforma costituzionale del premierato ove si tratterà di scegliere tra democrazia parlamentare e democrazia presidenziale con l’aggravante, cosa che per ora non esiste in un paese occidentale, della mortificazione del parlamento, che nell’equilibrio tra i pesi ed i contrappesi della democrazia è l’elemento più importante. Si è tentato di fare  un’opera di rammendo ,di difficile impatto sui cittadini, di leggi già modificate e corrette dalla Corte Costituzionale, con un uso problematico del referendum abrogativo, unico previsto dalla nostra Costituzione. Il risultato ora è sotto gli occhi di tutti, soprattutto interroga  la necessaria riflessione dei partiti del centrosinistra, i quali devono prendere atto che non è con ipotetiche spallate, di tipo populista, che ci si libera del governo della destra, ma con la costruzione di una seria e credibile proposta di governo, perché il nostro paese ha sempre più bisogno di un governo capace di affrontare le grandi sfide del nostro tempo. E certamente il modo migliore non è quello scelto da qualche dirigente del PD  che vuole arruolare tra gli oppositori del governo meloniano tutti i quattordici milioni di elettori, che si sono presentati alle urne l’8 ed il 9 di giugno, ascrivendo così, in modo molto fantasioso, anche coloro che hanno votato no ai quesiti, tra gli oppositori della Meloni. Occorre prendere atto che non basta riempire le piazze, anche in modo bello e confortante come avvenuto il 7 di giugno per condannare il massacro che si sta compiendo a Gaza, per tirare qualche sospiro di sollievo. Il centrosinistra deve smetterla di discettare di campo largo o campo stretto quando le grandi questioni del paese e del mondo sono tutte da affrontare per cercare di risolverle. Ripartiamo, sì , dalla Piazza San Giovanni del 7 di giugno, ma con la serietà dell’impostazione  dei due popoli e due stati, che significa garantire uno stato, “un focolare” è stato detto, ai palestinesi e riconoscere nel contempo il diritto alla stabilità ed alla sopravvivenza dello stato di Israele, che qualcuno invece vorrebbe cancellare. Solo seriamente, mettendo da parte alcune ambiguità che sono emerse anche in occasione del referendum. Basta infatti pensare che il quesito sulla cittadinanza, che invece sembrava il meno divisivo, ha registrato una forte ed insospettata contrarietà da parte di coloro che sono andati a votare. C’è bisogno  di una responsabile  e matura cultura di governo , senza piegature populiste. per affrontare i problemi degli italiani compresi quelli che stanno emergendo dal nuovo inquietante scenario internazionale.