LE RADICI DEL FASCISMO

Le recenti manifestazioni di alcuni gruppi di estrema destra, che si sono inseriti nelle contestazioni di piazza e la presenza costante, non sempre ai margini della politica, di forze che dichiaratamente si ricollegano all’esperienza del fascismo, stanno riproponendo il problema se tanti anni di storia democratica siano sufficienti a vaccinare il nostro paese da tentativi di ritorno dichiaratamente al passato o di proposizione di avventure autoritarie e liberticide. A questa domanda cerca di dare una risposta Francesco Filippi con il suo saggio “Ma perché siamo ancora fascisti?, Un conto rimasto aperto”, pubblicato recentemente da Bollati Boringhieri. L’autore non è nuovo a questo interesse avendo già dato alle stampe con molto successo “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”. Con una puntuale ricostruzione storica degli anni immediatamente successivi alla caduta del fascismo l’autore pone la questione se la nuova Italia repubblicana e democratica abbia effettivamente fatto un approfondito esame sui motivi dell’avventura mussoliniana e se, con essa, il complesso della società politica ed intellettuale italiana abbia fatto definitivamente i conti. Le due posizioni, che nel libro vengono messe a confronto, sono da una parte quella di Benedetto Croce che definì il fascismo “parentesi” e ” malattia” della nostra storia e quella di Piero Gobetti che del fascismo invece parlò come  “autobiografia della nazione”. Per la sua disanima Filippi fa un attento esame di come gli atteggiamenti politici, a cominciare dall’amnistia di Togliatti al desiderio di archiviare quanto prima il ventennio mussoliniano per dare continuità allo stato, al cinema alla letteratura, che hanno cercato di storicizzare e riscattare la storia italiana con l’esaltazione del paradigma resistenziale da una parte e dall’altra con l’amplificazione  del mito dell’ “italiano brava gente” succube involontario del fascismo, mito del resto già sfatato nel 2005 da Angelo del Boca con il suo ” Italiani, brava gente ? Un mito duro a morire”. Per questo Francesco Filippi conclude rilevando una ” passività della società italiana nei confronti della propria storia. Una passività che ha garantito una generale deresponsabilizzazione. Una storia subita,non agita. Per questo motivo ha successo la visione crociana del fascismo come malattia passeggera e non quella gramsciana e gobettiana che chiamano direttamente in causa gli italiani e il loro rapporto con il potere”. Interrogarsi quindi sulle radici del fascismo con approfondita attenzione potrebbe far scoprire e sconfiggere alla società italiana quei lati ambigui e scuri, che alimentano quello che Umberto Eco volle chiamare “fascismo eterno”, altrimenti il rischio è , conclude Filippi, che non si prestino ” le attenzioni necessarie a impedire che i fenomeni di erosione democratica che aprono la strada ai regimi autoritari vengano subito riconosciuti e neutralizzati”.

Il libraio

Francesco Filippi, ” Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto”, Bollati Boringhieri, Torino, 20230   Euro 12,00