TRUMP E LA FINE DELL’OCCIDENTE

di Pierluigi Castellani

Dopo l’entrata a gamba tesa di Donald Trump nella politica internazionale sono molti i commentatori, dall’europarlamentare francese Raphael Glucksmann all’italiana Marina Berlusconi, che intervistata da Il Foglio ha detto :”Spero davvero che il Paese che è sempre stato il garante dell’Occidente non abbia ora un presidente che ambisce a diventare rottamatore dell’Occidente stesso”, a registrare il pericolo della fine dell’Occidente come fino ad ora lo abbiamo pensato e vissuto. Sono molti i fatti che possono condurre a questa considerazione. Fino ad ora infatti gli Usa si sono mossi in un quadrante, che prevedeva il potenziamento delle istituzioni sovranazionali come l’Onu e l’Europa e nel rispetto delle alleanze costruite. Si pensi alla Nato, che garantiva quella che fino ad ora chiamavamo la pax americana ed al ruolo dell’Unione Europea come partner insostituibile dell’altra sponda dell’Atlantico e come garanzia di democrazia  e sviluppo per i paesi dell’est europeo dopo la caduta del muro di Berlino. Ora tutto questo è messo in discussione e dal multilateralismo si sta passando al bilateralismo nelle relazioni tra stati con la conseguenza  di rendere la UE un intralcio alle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico e di consegnare l’est europeo all’influenza della Russia diventata un pericoloso attore in questo nuovo scenario. Siamo oramai al ritorno alla politica di potenza che , come ha ricordato il Presidente Mattarella, ha contrassegnato l’ottocento e la prima metà del novecento. Un salto indietro nella storia che vede oramai solo tre attori muoversi nello scenario internazionale: l’America, la Russia e la Cina con buona pace di chi ha sognato ed ancora spera in un mondo solidale ed in pace. C’è poi una conseguenza che sta mettendo in pericolo la stessa democrazia. La stessa esaltazione della potenza conduce ad una suggestione, che è già presente  in Europa e nel mondo. Quella di vedere nei formalismi della liberal democrazia un intralcio al fare  ed all’esercizio del potere. Non a caso è l’autoritarismo la nuova declinazione del sovranismo, che poi conduce gli stati meno potenti a cadere nelle sfere di influenza dei più forti. Qualcuno infatti teme che si dia il via ad una nuova Yalta quando alla fine della seconda guerra i Grandi divisero il mondo in due zone di influenza, solo che ora al tavolo dovrebbe sedersi un terzo attore, la Cina, e non si sa con quali esiti. Ma questa politica di potenza sta conducendo anche ad un atro fenomeno ugualmente pericoloso per la democrazia. Non è infatti a caso che questo sta comportando un rafforzarsi delle destre sia in America che in Europa tutte concordi, almeno apparentemente, a sostenere Trump nella sua politica di neosovranismo imperialista. Destre che se poi andiamo bene a guardare sono anche abbastanza tiepide con l’autocrazia di Putin con il quale hanno sempre intessuto rapporti da Marine Le Pen a Matteo Salvini, Orban ed altri. La vera risposta a questa deriva di politica di potenza e di democrazia illiberale può venire solo dall’Europa, che con i suoi 500 milioni di abitanti, la sua forza economica, può veramente opporsi a questa deriva. Ed allora anziché della fine dell’Occidente dovremmo cominciare a parlare di “due Occidenti”, uno americano ed uno europeo. E’ la tesi che già nel suo “Free World”, pubblicato in Italia da Mondadori nel 2005,  ha sostenuto Timoty Garton Ash rifacendosi ad analisi di altri pensatori come  Jurgen Habermas e Egon Bahr. Due Occidenti perché l’Europa nel suo insieme può vantare valori che hanno connaturato la sua esistenza fin dall’inizio, come il welfare diffuso, la laicità dello stato, l’abolizione della pena di morte, la difesa dell’ambiente, la soluzione pacifica alle controversie internazionali, il multilateralismo, il superamento della sovranità  nazionale con l’adesione ad istituzioni internazionali come l’UE. L’Europa saprà raccogliere questa sfida, che comporta maggiore solidarietà ed integrazione reciproca?