Sanità Umbria, posti letto in rianimazione inferiori al resto d’ Italia. Differenziale negativo passa dallo 0,7 a 2,2.

In matematica uno più uno fa due, non ci sono interpretazioni che tengono. E dai numeri, quelli ufficiali, emerge un quadro non gratificante sui posti disponibili nelle terapie intensive dell’ Umbria. Un dato anche a sorpresa, nessuno avrebbe mai immaginato che dopo quasi tre mesi di emergenza sanitaria l ‘ Umbria presentasse un tasso di cambiamento dei posti di terapia intensiva che la allontanano dalla media nazionale. La nostra Regione all’inizio della pandemia aveva un posizionamento quasi in linea con la media nazionale. Al 1 febbraio del 2020 in Umbria complessivamente c’erano 70 posti letto nelle rianimazioni della rete dell’emergenza, ovvero 7,9 posti letto ogni 100.000 abitanti. A quella data la media nazionale era di 8,6 posti letto ogni 100.000 abitanti. Con l’emergenza Covid in tutta Italia c’ è stata la corsa , e l ‘opportunità, a rafforzare il numero dei posti letto delle terapie intensive. Proprio oggi Flavia Petrini, presidente della società italiana di anestesia, rianimazione e terapia intensiva, afferma che in questi mesi c’è stata ” una grande sofferenza degli anestesisti rianimatori, che in questo momento non possono però rallentare: ci viene chiesto un impegno ancora maggiore per la fase 2″. Per quale ragione ?  Da oggi in avanti ” si dovranno garantire tutti gli interventi ordinari che nell’emergenza sono stati sospesi. E si dovranno riorganizzare e separare gli spazi in ospedale per garantire sicurezza in questa fase di convivenza con il virus, che è ancora presente e pericoloso”. In poche parole: adesso si tratta di fare tutte e due le cose insieme. Ci sono meno pazienti Covid ma non sono calate le richieste in terapia intensiva. Del resto ogni bollettino ufficiale, in questi tre mesi, si concentrava molto sui posti occupati nelle terapie intensive, sulle carenze in alcune regioni travolte dal virus e , soprattutto , si è dovuto decidere chi ricoverare in terapia intensiva e chi no. Scelte dolorosissime, che toccavano la coscienza di tanti medici italiani. ” Dei quasi 30 mila morti avuti in questi due mesi – ha dichiarato Guido Bertolaso pochi giorni fa su Rete 4 – un numero importantissimo è stato dovuto alla carenza di reparti di rianimazione. Io non sarei stato ammesso in certe regioni d’ Italia a quell’assistenza che ho avuto. Non dimentichiamo che questa emergenza sanitaria non è affatto finita “.  Si potrebbe continuare per molto , ma è sufficiente per capire l’importanza di un posto in più in rianimazione. E’ interessante capire, a questo punto, cosa hanno fatto le regioni in questi ultimi due mesi, in che misura sono intervenute per potenziare questa capacità di cura. Tutte le regioni hanno registrato, e non poteva essere diversamente,  variazioni positive, tuttavia la situazione è particolarmente differenziata. Liguria, Piemonte, Valle Aosta, Bolzano, Trento, Friuli, Veneto hanno registrato le maggiori variazioni positive, vi è stata una politica sanitaria reattiva, tramite la realizzazione di nuovi posti in terapia intensiva. Al contrario ci sono regioni che hanno fatto minori investimenti. E l ‘Umbria ? I dati non sono affatto confortanti. Grazie allo stock rilevato al primo febbraio e alla dinamica registrata sino al primo maggio, si possono trarre conclusioni sui posti in terapia intensiva assai precise. L’ Umbria presenta un tasso di cambiamento dei posti di terapia intensiva che la allontana dalla media nazionale ( durante l’emergenza nella nostra regione  sono stati realizzati 35 posti letto in più). Il nostro differenziale negativo rispetto alla media nazionale ha raggiunto 2,2 punti, mentre all’inizio dell’epidemia esso era dello 0,7. Insomma, non abbiamo investito quanto necessario per raggiungere, e magari superare, la media nazionale.  Anzi il nostro posizionamento è peggiorato. Come dire, se la pandemia avesse colpito in modo intenso l’ Umbria, in termini terapeutici non saremmo stati abbastanza attrezzati con i posti in terapia intensiva. Allora torna di attualità una domanda: i tre milioni donati dalla Banca d’Italia non era più  opportuno investirli per aumentare i posti letto delle terapie intensive di Perugia e Terni ? Una scelta difficile da comprendere, almeno con il buon senso. Resta il fatto che a quasi tre mesi dall’emergenza sanitaria l’offerta dell’Umbria è scivolata pesantemente sotto la media nazionale. Siamo cioè una regione che era leggermente in carenza prima della pandemia e che si trova oggi in una condizione assai peggiore. Il nostro differenziale negativo rispetto alla media nazionale ha raggiunto 2,2 punti, mentre all’inizio esso era dello 0,7. ( Continua -4)