Vicenda Shalabayeva, si avvicina la sentenza della Corte di Perugia: Coppi “Processo da non celebrare”

Si avvia verso la sentenza il processo di secondo grado davanti alla Corte d’appello di Perugia per le presunte irregolarità legate al rimpatrio di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa verso il Kazakhstan nel 2013 insieme alla figlia Alua e poi entrambe tornate in Italia. Oggi sono infatti terminate le arringhe dei difensori dei sette imputati, tutti condannati in primo grado. Tra loro gli ex capi della squadra mobile e dell’ufficio immigrazione della Questura di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta. Tutti i legali hanno chiesto l’assoluzione dei loro assistiti. L’udienza è stata quindi rinviata al 25 maggio prossimo per le repliche, subito dopo la Corte entrerà in camera di consiglio per la sentenza. Se però gli interventi si protrarranno, la decisione dei giudici slitterà di qualche giorno. Durissimo l’intervento del professor Franco Coppi, difensore di Renato Cortese condannato in primo grado a 5 anni di reclusione. Per il famoso legale, conosciuto e apprezzato anche in Umbria, si tratta di un “processo che non si sarebbe mai dovuto celebrare”. Il professor Coppi ha ricostruito l’intera vicenda ricordando che ” Alma Shalabayeva quando è stata fermata  continuava a ripetere un nome falso, diceva di chiamarsi Alma Ayan e il passaporto che portava con sé era visibilmente contraffatto”. Si chiede il professor Coppi: “Come poteva restare nel nostro Paese ?”. Secondo Coppi la sentenza di primo grado “fa acqua da tutte le parti” e le “congetture non possono trovare posto nel processo penale, le affermazioni non riscontrate da prove sono appunto congetture”. Renato Cortese, il superpoliziotto della Polizia di Stato, ha reso una dichiarazione spontanea spiegando al collegio, presieduto dal dottor Paolo Micheli, la sua sofferenza interiore. ” L’unico stato d’animo – ha detto Cortese – che intendo portare all’attenzione della Corte è quello suscitato in me dall’affermazione della sentenza secondo la quale avrei tradito il giuramento di fedeltà alla Costituzione italiana. Tutte le sentenze meritano rispetto e io rispetto anche questa che, seppur ingiustamente, mi ha condannato. Però credo che tutta la mia vita e la mia carriera, forse, avrebbero meritato a loro volta un minimo di rispetto”. Cortese era il capo della sezione catturandi quando l’11 aprile  del 2006 riuscì ad arrestare il superboss Bernardo Provenzano.  La squadra di Cortese ha scovato ricercati in Sicilia del calibro di Gaspare Spatuzza, Enzo e Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Benedetto Spera e Salvatore Grigoli. L’operazione più rumorosa è stata sicuramente l’ arresto del padrino di cosa nostra Bernardo Provenzano, catturato a Corleone  dopo 43 anni di latitanza e dopo 42 giorni e notti d’appostamenti e otto anni di indagini estenuanti e complicate. E’ considerato il miglior poliziotto del nostro Paese.