Aborto, in Umbria il 65,6% dei ginecologi è obiettore: meno della media nazionale

Le strutture in cui si praticano le interruzioni volontarie di gravidanza (igv) in Umbria sono più numerose (6,3) di quelle in cui si partorisce, sono cioè in media 6,3 a fronte di 5,8 per 100mila donne di età compresa tra 15 e i 49 anni. Anche i ginecologi obiettori di coscienza sono più della media nazionale: il 65,6% contro il 70,7%, mentre il carico di lavoro medio per ogni ginecologo umbro non obiettore nel 2014 è stato di 1,2 Ivg a settimana, meno della media nazionale (1,6). A snocciolare i dati è il dottor Angelo Filardo, vice presidente dell’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici (Aigoc), in un articolo pubblicato dal settimanale La Voce, il giornale delle Diocesi umbre, nel quale prende posizione contro la “polemica strumentale ed ideologica, innescata dalla Cgil umbra ed alimentata dai consiglieri Regionali Solinas, Casciari (PD) e Rometti (Socialisti) in seguito ad una temporanea interruzione del servizio ivg presso l’ospedale di Foligno”.
E a proposito del presidio ospedaliero folignate, Filardo che qui ha lavorato per diversi anni come ginecologo, afferma: “Anche se a Foligno c’è stata una temporanea sospensione del servizio, non attribuibile sicuramente all’alto numero di medici obiettori, ciò non ha impedito a chi aveva scelto di abortire volontariamente di farlo entro i termini necessari”.

“La relazione presentata nel mese di dicembre 2016 dal Ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978 negli anni 2014 e 2015 – sottolinea Filardo – fotografa esattamente la realtà di ogni singola regione per cui è facile vedere come stanno realmente le cose. Ci sorprende che una rappresentante della Cgil umbra, dopo il pronunciamento definitivo del 6 luglio 2016 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che ha respinto la denuncia presentata in data 17 gennaio 2013 dalla Cgil contro l’Italia in merito alla mancata applicazione della legge 194/78 riguardo all’accesso ai servizi Ivg in relazione all’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari, continui a fare simili affermazioni sulla stampa, che i dati smentiscono clamorosamente”.

E ancora sui dati: “Si afferma che gli aborti volontari in Umbria diminuiscono grazie al lavoro svolto dai Consultori, ma i dati forniti dal Ministero ci dicono che il 91,60 % delle 1024 donne che nel 2014 si sono recate nei 33 Consultori Familiari pubblici umbri sono tornate a casa con il certificato per abortire”.
Il ginecologo Filardo parla anche della pillola abortiva: “Il fatto che in Umbria le donne con difficoltà possano ricorrere all’aborto farmacologico con la RU 486 e che la Regione Umbria ritardi nell’approvare il protocollo regionale più che un danno per le donne umbre deve considerarsi un vantaggio per due motivi: l’aborto farmacologico con la Ru486 può essere più comodo e vantaggioso per il medico che lo prescrive che per la donna che lo pratica in quanto sia il vissuto dell’aborto così provocato si prolunga per diversi giorni ed avviene con la donna sveglia il più delle volte nella propria casa anche alla presenza di altri figli e – come raccontano le stesse donne che si sottopongono a psicoterapia a causa della sindrome post abortiva – è molto più scioccante del vissuto dell’aborto volontario chirurgico; è molto più pericoloso dell’aborto chirurgico se viene praticato in regime di day hospital: la citata relazione ministeriale riporta nel 2014 la morte di una donna a Torino dopo assunzione in regime di D.H. di Ru486e prostaglandine e di un’altra a Nocera Inferiore dopo somministrazione di prostaglandine e ritorno a casa in attesa della dilatazione del collo uterino, con una mortalità (1,7 donne/ 10.000 aborti farmacologici) nettamente superiore a quella degli aborti chirurgici numericamente anche molto più numerosi”.

“Alla luce dei dati richiamati – secondo il vice presidente dell’Aigoc – si evince che la polemica alimentata dalla Cgil umbra e dai consiglieri regionali Solinas, Casciari e Rometti è puramente strumentale ed ideologica, non tiene conto del pronunciamento definitivo del 6 luglio 2016 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa prima citato e la richiesta di concorsi riservati per ginecologi non obiettori – incostituzionale, assurda e notevolmente sproporzionata dal momento che 1,2 ivg/settimana rappresentano un carico quasi marginale del lavoro che un ginecologo svolge nelle 38 ore settimanali di servizio – rivela l’indole totalitaria presente in tanti esponenti di un partito che per ironia della sorte si chiama democratico”.

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