Finisce in sedia a rotelle per un intervento non riuscito

PERUGIA – Dopo diciotto anni è stata fatta giustizia. Anche se la paziente, che all’epoca aveva 38 anni, e che si sottopose a un intervento chirurgico alla schiena in cui venne fatto uso di una tecnica sperimentale di cui non era stata informata, ora si trova sulla sedie a rotelle. Per questo caso di malasanità, la Asl dovrà pagare oltre un milione di euro alla signora rimasta invalida. Questo è stato deciso dalla Corte d’appello di Perugia, sezione civile, che ha ribaltato la sentenza di un primo processo civile in cui la giustizia aveva deciso che non aveva diritto ad alcun risarcimento. Il collegio della Corte, presieduto da Silvio Magrini Alunno (consigliere Salvatore Ligori, consigliere relatore Claudia Matteini) ha certificato un risarcimento di 722.317 euro che, con interessi e rivalutazione, supera il milione. Sicuramente ha avuto un ruolo determinante la nuova perizia affidata ai consulenti, il professor Mauro Bacci e il dottor Sandro Carletti. L’intervento fu effettuato nel 1999 nel reparto di Ortopedia dell’ospedale di Città di Castello. Si trattava di una microdistectomia L5-S1, con l’applicazione di due Diam, cioè due ammortizzatori interspinosi. La donna, cui erano stati diagnosticati «iniziali segni di artrosi intersomatica», per poter sopportare il forte dolore, fu sottoposta nel 2010 all’Unità spinale unipolare dell’Azienda ospedaliera di Perugia a un intervento per impiantare una pompa a infusione intratecale continua di ziconotide «avente poteri analgesici comparabili a quelli della morfina». La sentenza di secondo grado che ha condannato l’Asl 1 al risarcimento della donna che ha subito questo grave danno, ha subito sicuramente l’influenza della nuova consulenza disposta dal collegio d’Appello, presentata da nuovi periti che hanno preso il posto degli altri considerati poco attendibili in quanto legati all’ortopedico che aveva effettuato l’intervento. «Elementi –  evidenziano i giudici – che erano stati taciuti al momento del conferimento dell’incarico». Nella sentenza vengono sottolineate le lacune nella compilazione delle cartella clinica «in particolare nella documentazione relativa al ricovero non era presente alcuna traccia del diario clinico». Ciò che emerge, inoltre, in relazione alla mancata informazione che si stava effettuando un’operazione con tecniche innovative e pertanto sperimentale,  è che il modulo relativo al consenso informato all’intervento, seppur datato e firmato dalla paziente, risulta sfornito della descrizione dell’intervento da eseguire.

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