Foligno in festa per il Patrono, il vescovo: “San Feliciano è un profugo” [FOTO]

FOLIGNO – Il santuario della Madonna del Pianto, a Foligno, non è riuscito a contenere la folla di persone che ha voluto rendere omaggio a San Feliciano, patrono della città, nel giorno della sua festa che cade ogni anno il 24 gennaio. Il solenne pontificale, celebrato dal vescovo di Foligno, monsignor Gualtiero Sigismondi, si è svolto qui per l’inagibilità della cattedrale a causa del sisma del 30 ottobre scorso. Un fatto che ha spinto il presule a una riflessione particolare, dai toni pacati ma forti, tutta centrata sui migranti e sulla necessità di accoglierli per evitare di finire nella barbarie.
Alla cerimonia erano presenti le massime autorità civili e militari della città e del territorio, tra cui i sindaci di Foligno, Spello e Valtopina, l’assessore regionale alla Salute, alla Coesione sociale e al Welfare, Luca Barberini, la consigliera provinciale Erika Borghesi, oltre a una delegazione della Quintana che ha reso omaggio al Patrono in abiti barocchi.

ECCO L’OMELIA INTEGRALE DEL VESCOVO

Fratelli carissimi, l’anima del nostro popolo è così legata al suo santo Patrono, Feliciano, che basta esporre la statua argentea, perché tutti, come devoto pellegrinaggio, accorrano a baciarne il piede. Quest’anno, a causa del flagello del terremoto, Feliciano ha trovato riparo nel Santuario della Madonna del Pianto.

Più che versare nella condizione di sfollato, il nostro Patrono si trova nello stato
di profugo, rifugiato sotto il manto della Vergine Maria. Questa circostanza mi suggerisce di proporre
alcune riflessioni sulla questione migratoria che la Caritas diocesana affronta, in sinergia con le
parrocchie e le istituzioni civili, con infaticabile dedizione.

Molteplici sono le opinioni che un’emergenza così impegnativa solleva: paure, provocazioni, semplificazioni, alimentate da recenti
atti terroristici, rischiano di annebbiare o disorientare una corretta lettura del fenomeno migratorio,
che va sempre più assumendo le dimensioni di una drammatica questione mondiale.
Le migrazioni non sono un evento nuovo, ma appartengono alla storia dell’umanità.

La situazione attuale richiama alla mente l’arrivo, dentro i confini dell’Europa romana, di popolazioni
diverse che ne avrebbero mutato il disegno e il destino. In quel caso il fenomeno si è connotato come
una vera e propria conquista militare oltre che politica e sociale; oggi si tratta di uno spostamento
provocato non solo dalla ricerca di un lavoro dignitoso e di migliori condizioni di vita, ma anche e
soprattutto dalla guerra che mette in fuga uomini e donne, anziani e bambini, costretti ad abbandonare
le loro case con la speranza di salvarsi e di trovare altrove pace e sicurezza. La storia, maestra di vita,
insegna che i grandi flussi migratori sono ineluttabili: cercare di regolamentarli è legittimo e anche
necessario, ma volere impedirli innalzando muri e fili spinati è l’inizio della barbarie, soprattutto
quando sono i bambini – “tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi” – a pagare
il costo più gravoso, quello della separazione dagli affetti familiari.

Nella riflessione sulla questione migratoria c’è posto per tutti: per chi è preoccupato della
sicurezza e per chi dell’accoglienza; per chi desidera preservare identità e tradizioni e per chi vede
con favore l’incontro delle culture; per chi non vuole mettere in discussione diritti acquisiti e per chi
sostiene l’esigenza di una riforma degli stili di vita. “Non bisogna mai dimenticare – avverte Papa
Francesco – che i migranti, profughi e rifugiati, prima di essere numeri sono persone, volti, nomi,
storie. Per grazia di Dio pulsa ancora il cuore di un’umanità che sa riconoscere prima di tutto il fratello
e la sorella, un’umanità che vuole costruire ponti e rifugge dall’illusione di innalzare recinti per
sentirsi più sicura. Per essere veramente solidali con chi è costretto a fuggire dalla propria terra,
bisogna lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà: non basta limitarsi a inseguire
l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali. Prima
di tutto è necessario costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte”.

La moltitudine immensa di persone coinvolte nel fenomeno migratorio ci impone di
confrontarci sia con la questione dell’accoglienza, sia con il problema dell’integrazione. Il massiccio
arrivo di stranieri ha bisogno di essere disciplinato e guidato secondo progetti concreti e realistici di
inserimento: la “politica delle migrazioni” deve farsi promotrice di una “cultura delle migrazioni”.
“Diversamente – avvertiva il card. Giacomo Biffi – non si farebbe che suscitare e favorire perniciose
crisi di rigetto, ciechi atteggiamenti di xenofobia e l’insorgere di deplorevoli intolleranze razziali.
Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche
benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione, che
ha una sua storia, tradizioni vive e vitali, un’inconfondibile fisionomia culturale e spirituale. Compito
primario e indiscutibile delle comunità ecclesiali è l’annuncio del Vangelo e l’osservanza del
comando dell’amore. Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la
sua religione, la legalità della sua presenza – i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo
operosamente e di aiutarlo nella misura delle loro concrete possibilità”.

A chi teme un’eccessiva “indulgenza cattolica” verso il fenomeno migratorio è doveroso
ricordare che la storia cristiana è interculturale: da sempre vede in prima linea uomini e strutture della
Chiesa impegnati a portare il Vangelo “fino agli estremi confini della terra”, promuovendo un efficace
lavoro educativo che comincia sui banchi di scuola. È innegabile, infatti, che la sfida dell’integrazione
passa nelle aule scolastiche, ove si impara a risolvere la contrapposizione tra identità e accoglienza e
si educa a garantire la convivenza nella differenza. Non possiamo permettere che il rifiuto dello
straniero si insinui nella formazione delle classi degli istituti scolastici, magari con la scusa di
salvaguardare il livello degli studi.

Fratelli carissimi, i migranti hanno bisogno di noi, ma anche noi abbiamo necessità di loro in
famiglia, negli ospedali, nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nel mondo del lavoro, nei sistemi
pensionistici che divengono sempre meno sostenibili senza il loro contributo. Studi recenti mostrano
l’impatto positivo del fenomeno migratorio sulla demografia e sull’economia. È lecito chiedersi:
come stiamo accompagnando sul piano sociale, culturale ed ecclesiale questo evento di così vaste
proporzioni? Con un semplice conteggio numerico? “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai,
perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Es 22,20). Fratelli carissimi, questo comandamento
antico non ci colga in fallo nel giudizio finale: “Ero straniero e non mi avete accolto” (Mt 25,43). Il
Signore ci chiederà se abbiamo fatto tutto il possibile per lenire la sofferenza di quanti hanno lasciato
tre madri: quella che ha dato loro la vita, la madre patria e la madre lingua.

I migranti attendono di essere riconosciuti nella loro identità di “patrimonio dell’umanità”!
San Feliciano ci aiuti non solo a dare loro una mano, ma a porgere loro la nostra destra: stringere la
mano, guardandosi negli occhi, “è il ponte umano primordiale, il ponte antisismico più sicuro”.

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