Thyssen, la Cassazione: “Ecco perché va riscritta la sentenza”

Nel nuovo processo d’appello per il rogo di Torino della Thyssen le condanne inflitte agli imputati dovranno essere ridefinite ma “non potranno aumentare”. Lo dicono i giudici della Cassazione che ieri hanno depositato le motivazioni della sentenza n.38343. Nelle 211 pagine gli ermellini scrivono che “il giudice di merito dovrà rimodulare le pene tenendo conto da un lato dell’esclusione delle aggravanti e dall’altro del riassetto delle relazioni tra gli illeciti”. In questo modo, “le sanzioni già inflitte non potranno essere aumentate”.

I supremi giudici confermano la responsabilità dei sei manager, Harald Espenhan (ex ad della Thyssen condannato in appello a dieci anni di reclusione), Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri (avevano condanne comprese tra i 7 e i 9 anni) e dà atto che “l’adozione di tutte le cautele doverose, primarie e secondarie, avrebbe certamente evitato il drammatico esito”.

Nelle motivazioni della sentenza si parla anche di prevenzione, sottolineando che la multinazionale Thyssenkrupp, dopo un disastroso incendio del 2006 in Germania, “aveva avviato una decisa campagna di lotta senza quartiere al fuoco”: così, riferendosi alla questione dei focolai che si verificavano negli stabilimenti dell’acciaieria durante le lavorazioni, si è pronunciata la Corte di Cassazione. I supremi giudici hanno sviluppato questa considerazione nel passaggio in cui espongono il motivo per il quale l’amministratore delegato Harald Espenhahn non può, a differenza di quanto ha sempre sostenuto la procura di Torino, essere condannato per omicidio volontario con dolo eventuale, ma per omicidio colposo. “Il fatto – scrivono – è che la holding aveva avviato una decisa campagna di lotta senza quartiere al fuoco. Espenhahn era un importante dirigente, al quale era stato affidato un ruolo di grande rilievo: nulla induce a ritenere che egli abbia scientemente disatteso tale forte indicazione di politica aziendale”.

I giudici quindi ordinano un nuovo processo d’appello che dovrà essere celebrato a Torino e fanno anche un ammonimento ben preciso: “Il giudice sia immune dalla tentazione di farsi protagonista di scelte politico-criminali che non gli competono”.

Le Sezioni unite della Suprema Corte, nella sentenza Thyssenkrupp, tracciano il confine fra dolo eventuale e colpa cosciente. Serve “un’indagine penetrante” nella sfera mentale dell’imputato.

 La Corte, in particolare, invita il giudice a maturare la consapevolezza “del proprio ruolo di professionista della decisione”, coltivando ed esercitando “i talenti che tale ruolo richiedono”, analizzando i fatti con un atteggiamento di “purezza intellettuale che consenta di accogliere e accettare senza pregiudizi il senso delle cose” rifuggendo da “interpretazioni precostituite” e “di maniera”.

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