“Scarcerazioni facili” e reati predatori: prassi e regole a confronto. Il gip Maurizio Santoloci racconta l’Umbria

Reati predatori: quali sono, quanto sono diffusi sul nostro territorio e come si possono arginare. In esclusiva a Umbria Domani l’intervista al Gip del Tribunale di Terni e Docente presso diverse scuole di polizia sul contrasto alla criminalità predatoria, Dott. Maurizio Santoloci.

Quali sono i reati predatori più diffusi? Certamente furti e rapine in generale, ma sono i reati commessi all’interno delle abitazioni che – giustamente – preoccupano in primo luogo la cittadinanza. Oggi assistiamo a forme aggressive in tali eventi del tutto nuove e sproporzionate rispetto al fine predatorio (che appare poi in genere molto modesto), e questo aumenta la percezione di pericolo da parte della pubblica opinione. E’ assodato che esistono realtà criminogene ormai radicate nel tessuto sociale con grave (e giustificato) allarme sociale. I recenti fatti di cronaca stanno documentando – in modo oggettivo – che si registra ormai un dilagare di crimini predatori, che si traducono poi anche in violenze ed omicidi, ad opera di bande armate per lo più composte da soggetti stranieri che propongono un nuovo e vero problema di allarme sociale diffuso. Appare dunque maturo il tempo per una riflessione pacata e realistica su tali tipologie di crimini  che stanno sul territorio con rapine e violenze in abitazioni, creando diffusa emergenza sociale. Credo sia dunque necessaria una legislazione nuova capace di stroncare il fenomeno, ma è altrettanto necessaria una  lettura ed applicazione delle norme in vigore contestualizzandole rispetto alla nuova situazione di emergenze in modo da creare uno sbarramento di prevenzione e repressione efficace a livello giudiziario.

Come si possono contrastare i reati predatori? Adeguando non solo le norme ma la pratica lettura ed interpretazione applicativa delle norme stesse alla nuova situazione che si sta delineando sul territorio con l’emergere di una criminalità predatoria che presenta – in negativo –dinamiche operative e connotati gestionali appunto nuovi e spesso senza freni inibitori.

La gente spesso si sorprende per quelle che vengono chiamate le “scarcerazioni facili”. Ovvero un aggressore o un ladro che compie un’aggressione o un furto e viene colto in flagranza di reato, ottiene quasi subito la libertà. Perchè accade questo? E’ ormai oggettivo che queste evoluzioni procedurali generano spesso sorpresa tra i cittadini e smarrimento e delusione tra le forze di polizia che operano con grande fatica e difficoltà sul territorio. Ormai non si può non prenderne atto per un dovere di onestà intellettuale.

Maurizio Santoloci
MAURIZIO SANTOLOCI, gip Tribunale di Terni

Certamente la carcerazione preventiva non può diventare una anticipazione  sostanziale di pena né si può abusare di tale istituto, ma credo che ormai sia corretta una riflessione realistica sulle motivazioni giuridiche che portano a tali situazioni. Perché il problema è reale ed esiste, ed è ormai quasi quotidianamente ripreso anche da organi di stampa e radiotelevisioni.

Esiste una nuova realtà di azioni criminali sul territorio? Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova criminalità seriale per bande di origine straniera che utilizza il nostro territorio per fini predatori sistematici; si tratta di “criminali giuridici” esperti che hanno individuato (e sfruttano) alcuni punti deboli del nostro sistema giuridico per aggirare le norme ed ottenere le “scarcerazioni facili”, cioè quel fenomeno delle “porte girevoli” che sconcerta l’opinione pubblica.

Quali sono questi punti deboli? In primo luogo lo stato di “incensuratezza fittizia”. Nel nostro sistema giuridico una sentenza di condanna non viene registrata sul certificato penale fino al momento in cui non diventa definitiva (di fatto spesso dopo il terzo grado in Cassazione). Si crea dunque una mora temporale media di tre anni entro la quale seppur uno di questi soggetti ha riportato una serie ripetitiva di condanne in primo e secondo grado, sul certificato penale non risulterà nulla. Dunque ogni giudizio successivo lo vede “incensurato”. Secondo prassi diffusa (che secondo me va modificata in un senso di maggiore rigore e severità) un soggetto incensurato ha diritto ad ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena (di fatto: il diritto ad essere immediatamente scarcerato, anche se condannato). Dunque, ogni volta con questo meccanismo si entra e si esce dal carcere in poche ore. Si sottolinea che la concessione di tale beneficio non è affatto un dovere ma una facoltà e che dunque si può non concedere. Questo spezzerebbe il meccanismo delle “scarcerazioni facili” tenendo conto delle precedenti condanne seriali anche se non definitive.

Come possono – dunque – i responsabili di questi gravi delitti sfruttare questa particolare situazione procedurale prevista nel nostro ordinamento? Accade spesso che soggetti particolarmente dediti al crimine (anche violento e di sangue) come stile di vita commettono reati anche gravi in modo seriale, vengono arrestati e condannati ma tali condanne paradossalmente non risulteranno sul certificato penale per lungo periodo per il motivo procedurale sopra esposto. Quindi – ad esempio – alcuni soggetti colti in flagranza di tali reati, vengono arrestati ma, seppur in ipotesi sono stati già condannati pochi giorni prima per analogo o  diverso reato ed ancora in precedenza hanno subito ulteriore condanna pregressa, il loro certificato penale al momento del terzo arresto li inquadra ancora formalmente – sulla carta –  senza alcun precedente penale e dunque soggetti “incensurati”. Per prassi (ma si sottolinea: per prassi, e non per previsione espressa di legge) a tali soggetti così solo formalmente incensurati vengono concessi in modo ripetitivo tutti i benefici di legge (tra cui attenuanti generiche e sospensione condizionale della pena che poi porta alla scarcerazione). Questo dato viene naturalmente elaborato con particolare interesse ed attenzione dalla criminalità di origine straniera, la quale è “di passaggio” sul territorio nazionale, e dunque sostanzialmente riesce di fatto ad operare crimini in modo seriale in questo lungo arco temporale con un lucro rilevante, confidando sul fatto che comunque poi alla fine quando il certificato penale inizierà a risultare compromesso si potranno spostare (e sparire) in altri Paesi, evitando così ogni espiazione di pena.  Inoltre, certamente possono lanciare messaggi incoraggianti a parenti ed amici che potranno “ereditare” la loro attività criminale (con le stesse e proficue maglie procedurali da sfruttare) per gli anni futuri in un turnover senza fine  che poi è uno delle varie cause della infiltrazione criminale costante sul nostro territorio.

Ci sono altri “punti deboli”? Si. C’è la questione delle “attenuanti generiche” automatiche. Infatti altra prassi che tali soggetti sfruttano è quella della concessione delle attenuanti generiche per lo stato di incensuratezza.  Lo stesso certificato penale “fittiziamente” immacolato (anche se magari il soggetto ha intanto riportato una lunga serie di condanne in primo e secondo grado) gli consente uno sconto rilevantissimo di pena con  la concessione di tali attenuanti. Se poi tali attenuanti sono concesse “prevalenti” sulle aggravanti, lo sconto è davvero eccezionale perché con un colpo di spugna si cancellano aggravanti tipiche dei reati predatori che terrorizzano i cittadini ed il fatto come pena da gravissimo si riduce ala minima pena base. Anche su questo punto si ritiene oggi necessario maggior rigore applicativo, atteso che peraltro lo stesso codice penale proibisce di concedere tali importanti attenuanti per il solo dato di essere incensurati. Ma vi è anche la questione delle “residenzialità facile”.  Si deve rilevare che i Comuni accreditano la residenza anagrafica formale a stranieri nullatenenti, nullafacenti e senza alcun radicamento sociale nel tessuto cittadino ed a volte pesantemente pregiudicati. Questo è una dato importante soprattutto nella fase immediata delle ordinanze cautelari (cioè subito dopo gli arresti) perché uno dei tre pilastri su cui si può fondare un provvedimento di custodia in carcere è il pericolo di fuga. E’ logico che una carta di identità che attesta un radicamento in loco esorcizza sulla carta il pericolo di fuga, mentre poi di fatto tale residenza viene chiesta ed ottenuta solo di facciata. Il pericolo di reiterazione del reato viene azzerato con il certificato penale fittiziamente immacolato.  E la scarcerazione immediata vede la strada aperta ancora prima del processo. Tutti questi elementi, uniti in sinergia, vengono abilmente sfruttati da questi “criminali giuridici” verso i quali non sono necessarie nuove leggi ma una riflessione su una diversa applicazione delle norme esistenti che tenga conto della assoluta novità del fenomeno criminale e – soprattutto – delle caratteristiche specifiche di queste bande che sfuggono ai canoni classici fino ad oggi percepiti nel contesto di forme delinquenziali similari.

Le bande criminali hanno dunque percepito questa possibilità procedurale per trarne beneficio? Credo proprio di si.  E’ un dato di fatto oggettivo che frange sempre più estese di criminalità straniera hanno dunque perfettamente percepito tale meccanismo procedurale e sostanziale e lo sfruttano in modo abile ai propri fini e tornaconti, avendo infatti intuito che lo stato di “incensuratezza”  formale (nonostante diverse condanne in primo grado non definitive) può consentirgli di uscire dal sistema carcerario di fatto in poche ore e di continuare tranquillamente a delinquere perfino nella stessa città dove hanno svolto crimini fino a qualche giorno o ora prima, senza neppure la necessità di cambiare zona.  Tutto questo avviene confidando sul fatto che – sostanzialmente – la scarcerazione comunque avverrà in termini ragionevolmente brevi atteso che potranno beneficiare di questa prassi attuata sul nostro territorio nazionale per un lungo periodo.

Ma non è obbligatorio per legge concedere le scarcerazioni, la sospensione condizionale della pena e le attenuanti generiche ai responsabili di tali delitti Certamente no.  Ed è questo il punto fondamentale e la chiave di lettura del problema. C’è infatti da chiedersi dove è scritto nel codice penale o nel codice di procedura penale che – in tutti i casi – un imputato incensurato ha diritto automaticamente alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena soltanto per il fatto che è incensurato? O che in sede di convalida di arresto davanti al GIP o per rito direttissimo tale stato inibisce l’applicazione delle misure cautelari di custodia in carcere o arresti domiciliari? Quale articolo prevede questo principio? Risposta: nessuno. E solo una prassi interpretativa di fatto. Che può essere applicata, ma può anche non essere applicata, dato che non è legge ma – appunto – solo una prassi.  Lo stesso discorso vale per le attenuanti generiche che nessuna norma prevede che debbano essere concesse automaticamente, magari in reati molto gravi, solo perché il soggetto è incensurato.

Cosa prevede dunque la legge? In primo luogo – dunque – non prevede affatto che un imputato incensurato ha diritto sempre e comunque ad ottenere la sospensione condizionale della pena in caso di condanna. Dispone – invece – che tale pena sospesa “viene ammessa inoltre solo qualora il giudice, tenendo conto delle circostanze di reato descritte dall’articolo 133 C.p., presume che il colpevole si asterrà dal commettere altri reati.”. Allora, attenzione: ci sono due principi importanti. In primo luogo è una facoltà discrezionale, non un dovere, del giudice decidere di concedere o meno tale beneficio. Ma quali parametri deve utilizzare il giudice per decidere se sussistono, nella sua libera valutazione, i presupposti per poter concedere tale beneficio? Il codice lo prevede in modo chiaro: deve operare una prognosi favorevole per l’imputato in ordine al fatto che costui si asterrà per il futuro dal commettere altri reati, e questa valutazione viene operata tenendo conto delle circostanze di reato descritte dall’articolo 133 del codice penale. Dunque, il giudice non ha un dovere prestabilito di concedere il beneficio, ma lo farà solo se ritiene che il soggetto presenta prospettive di astensione futura da reiterazioni del reato o comunque da ulteriori azioni penalmente illecite; il richiamo all’art. 133 C.P. gli fornisce una guida generale su cui basare tale valutazione. Dunque il giudice è – naturalmente – libero di valutare che, nonostante lo stato di incensuratezza, il soggetto presenta una prospettiva di prognosi negativa in ordine alla possibile reiterazione del reato e/o integrazione di altri reati, motivando tale convincimento sulla scorta delle (numerose) altre circostanze previste dal citato art. 133 Codice Penale. Ad esempio, la particolare efferatezza e crudeltà delle modalità di azione, unite alle finalità dell’azione medesima ed all’esame dell’elemento soggettivo nel caso concreto, ben possono far pervenire ad una realistica prognosi sfavorevole seppur in presenza di un certificato penale senza precedenti. Si pensi inoltre, sempre a titolo esemplificativo, ad un imputato che in precedenza è stato già denunciato diverse volte per reati a grave allarme sociale, anche se le condanne non sono ancora “passate in giudicato”. La prognosi comportamentale può ben tener conto di queste circostanze, anche a fronte di un certificato penale da incensurato. Al contrario, prassi diffusa interpreta questo combinato disposto di norme deducendone una equazione standard ed applicabile a qualunque caso, qualunque reato, qualunque soggetto, indipendentemente dalle modalità dell’azione illecita e da ogni altra circostanza:  se la pena rientra nei parametri quantitativi previsti dal codice per la concessione della sospensione della pena stessa = imputato condannato = sempre e comunque di diritto va concessa la pena sospesa. A mino modesto avviso tale equazione non corrisponde affatto alla lettera ed allo spirito della legge in esame.

Dunque un criterio di maggiore rigore nella interpretazione ed applicazione delle norme potrebbe consentire una diversa evoluzione della situazione? Credo proprio di si. Pur naturalmente nel rispetto di ogni decisione giurisdizionale, e salvaguardando ogni principio generale di garanzia in ordine alla funzione delle misure cautelari e della pena, ma anche con una rinnovata attenzione alla posizione delle parti lese dei reati,  una interpretazione più rigorosa delle norme attualmente vigenti a livello sostanziale e procedurale consentirebbe – senza necessità del varo di nuove leggi – di contribuire a porre freno alla serialità di reati a grave allarme sociale che sempre più si stanno radicando e diffondendo  sul territorio nazionale e che vedono uno sforzo sempre più rilevante delle forze di polizia per il relativo contrasto che a volte si ha – tuttavia – la sensazione sociale di essere di fatto vanificato nella percezione dell’opinione pubblica.

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