Spoleto, “L’ecomostro va demolito”. Depositate le motivazioni della Cassazione
SPOLETO – Deve essere interamente demolita la colata di cemento di oltre 14 mila metri cubi che ha fatto sorgere nel centro storico di Spoleto due distinti edifici a quattro e cinque piani, con posti macchina nel piano scantinato e accesso da un’apposita rampa, il tutto edificato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Così lo scorso 11 dicembre aveva deciso la IV sezione penale della Cassazione che oggi ha depositato le motivazioni di quella decisione sull’abusivismo edilizio.
I supremi giudici hanno confermato le condanne inflitte dalla corte d’appello di Firenze il 16 luglio 2004 nel processo d’appello bis nei confronti dei costruttori Rodolfo Valentini e Francesco De Megni, degli architetti Giuliano Macchia e Alberto Zanmatti, direttore dei lavori del cantiere “selvaggio”, di Giuliano Mastroforti, dirigente responsabile della pianificazione urbanistica del Comune di Spoleto, che aveva rilasciato l’illegittimo permesso a costruire, e per il funzionario comunale Paolo Gentili, il responsabile della pratica edilizia che l’aveva istruita “omettendo di rilevare la contrarietà” del progetto “agli standard urbanistici consentiti”.
In primo grado gli imputati erano stati condannati dal tribunale di Spoleto l’8 febbraio 2010, con l’ordine a demolire il fabbricato parzialmente “fino a concorrenza del ripristino dell’indice di edificabilità”. In appello, invece, la corte di Perugia aveva assolto tutti e revocato l’ordine di demolizione e il sequestro del fabbricato. Su ricorso del procuratore generale, la Cassazione a gennaio 2014 aveva annullato l’assoluzione rinviando il processo alla corte d’appello di Firenze, rilevando che i giudici di Perugia avevano sbagliato a dichiarare edificabili quasi 14 mila metri cubi, mentre nel centro storico di Spoleto il volume edificabile era al massimo di 2.200 metri cubi.
I giudici fiorentini, applicando le indicazioni dei supremi giudici, avevano ripristinato le condanne di primo grado ed esteso l’ordine di demolizione all’intera cubatura. Senza successo gli imputati hanno fatto presente che il Comune di Spoleto aveva adottato provvedimenti amministrativi favorevoli a quella volumetria. La Suprema Corte ha obiettato che tutti gli imputati sono soggetti qualificati “da un’attività professionale nel settore edilizio-immobiliare” e che sulla problematica dell’effettiva superficie suscettibile di edificazione, l’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato “era da anni chiaro e consolidato e si poneva in contrasto con i provvedimenti amministrativi adottati dal Comune di Spoleto, non smentiti da alcuni pareri adottati “ex post” dagli enti locali coinvolti e privi di valenza” ai fini assolutori. La Cassazione ha dichiarato così inammissibili i ricorsi.