Vivere in montagna al tempo del Covid, i casi di Polino e Poggiodomo

La diffusione del contagio in Umbria non accenna ad arrestarsi e non risparmia nessun comune della Regione. Nemmeno le piccolissime municipalità di Polino e Poggiodomo che hanno resistito fino a pochi giorni fa all’aggressione del virus, passando indenni le prime tre ondate di pandemia. Oggi Polino (200 abitanti) conta tre casi positivi mentre Poggiodomo (appena 90 abitanti) due. Sono due paesi molto lontani dai grandi centri, con una popolazione molto anziana, in cui mancano medici e servizi sanitari, arroccati sull’appennino a 836 metri di altitudine il primo e a quasi 1000 il secondo. Ma il virus non conosce muri e frontiere e viaggia da un capo all’altro del mondo. Gli abitanti, gente semplice e buona, sono riusciti sempre a cavarsela da soli anche di fronte ad avversità drammatiche come i terremoti del ’79, ’97 e 2016. Hanno sopportato di tutto, hanno tollerato e portato pazienza di fronte ai tagli di tutti i servizi essenziali: sanitari, scolastici, uffici postali e bancari, farmacie. Hanno resistito  – mentre la montagna si spopolava –  alla tentazione di scendere a valle, dove la vita è più semplice. La pandemia sta svelando ancora di più i problemi che da sempre caratterizzano le terre alte e isolate, il disinteresse per i borghi montani, oggi sempre più poveri di servizi. Il virus però ha unito ancora di più gli abitanti ma in montagna lo si era già prima. Quando si combatte quotidianamente con le difficoltà o si fa squadra o diventa ancora più difficile vivere. Gli unici “angeli custodi” per la popolazione restano i Carabinieri, sempre accanto agli anziani e pronti a portare viveri e medicinali alle famiglie in difficoltà. Lo Stato sono loro, anche in tempo di pandemia. La vita in montagna è stata ed è ancora diversa. Vivere fra i monti impone sacrifici e rinunce ma, in questo tempo di ristrettezze e di segregazione, la quotidianità non subisce grandi stravolgimenti e gli ampi spazi all’aria aperta consentono di muoversi in luoghi amici. Mentre nelle città le abitudini hanno portato a forme di socializzazione sempre più traboccanti tanto da favorire l’espansione del contagio e ci si è disabituati a stare con se stessi, in montagna il silenzio non è avvertito come un vuoto da riempire a tutti i costi. “Quando si può stare da soli con se stessi io credo che si possa più facilmente entrare in contatto col circostante”, è l’elogio della solitudine di Fabrizio De André. In montagna la solitudine non è mai una compagna così sgradita anche in tempo di coronavirus. La politica e le istituzioni, a cominciare da quella regionale, però si sono dimenticati della montagna.