Disabilità intellettive, in Umbria famiglie lasciate sole e pochi servizi: cooperative non sempre all’altezza
I rappresentanti dell’associazione “Autismo Ricerca e Terapie” (Auret) sono stati ascoltati due giorni fa dalla Terza commissione di Palazzo Cesaroni, presieduta dal consigliere regionale Luca Simonetti. Il presidente di Auret, Roberta Mastalia, ha spiegato ai commissari l’importanza di una strategia basata sul mantenimento delle persone con disabilità intellettive all’interno del nucleo e dell’abitazione familiare, in alternativa ad un approccio che fino ad oggi sarebbe stato più rivolto alle strutture diurne e residenziali. Che pure svolgerebbero ruoli importanti nell’impegnare i ragazzi che hanno terminato la scuola. Ad esse andrebbe però assegnato un ruolo residuale, riferito ai casi più complessi o quando i genitori sono anziani. Per questo, a parere dell’associazione, dovrebbe essere mantenuta l’assistenza indiretta, con l’erogazione alle famiglie di contributi per coprire le spese, in modo da rendere più sostenibile l’assistenza in ambito familiare. Per le famiglie dei ragazzi con disabilità intellettive, le strutture che ricevono finanziamenti pubblici dovrebbero relazionare sui risultati ottenuti e sui servizi forniti. Inoltre solo una parte dei finanziamenti destinati alle strutture vanno effettivamente a pagare l’assistenza mentre il resto serve a coprire costi diversi. Una struttura residenziale avrebbe un costo di 250 euro al giorno mentre se venissero forniti 1200 euro al mese alle famiglie, a fronte di spese certificate, si potrebbero ottenere risultati migliori. Secondo la presidente di Auret, i pazienti non andrebbero quindi isolati in strutture lontane o trattati con psicofarmaci ma restare nella società, senza separarli e la società dovrebbe imparare a relazionarsi con loro, soprattutto quando diventano adulti. Per strutturare un progetto di vita che accompagni un paziente con disabilità intellettive sono necessarie però risorse a lungo termine. E in un’ottica di lungo periodo l’impegno deve essere quello di pensare ad un loro pieno inserimento, sociale e lavorativo, anche perché tra qualche decennio non potranno esserci strutture sufficienti per accogliere tutti i bambini disabili di oggi, che un giorno si troveranno senza i genitori che se ne prendono cura. L’ultima osservazione riguarda l’assistenza: “Gli operatori delle cooperative non sempre sarebbero preparati e competenti ed anzi in alcuni casi le stesse cooperative non avrebbero interesse ad una loro crescita professionale, per evitare che si mettano in proprio una volta formati”. Per quanto riguarda le Asl dell’Umbria, è stata denunciata la carenza di progetti personalizzati e la mancanza persino di fare logopedia.

