Perché il Covid uccide ancora, in Umbria 1.646 vittime. Prima terapia con l’antivirale Pfizer su un paziente curato a casa

Anche ieri in Umbria si sono registrati sei decessi e le vittime Covid sono salite a 1.646. Gli esperti concordano che il dato sui morti per Covid-19 non è in controtendenza  con l’andamento della pandemia. I fattori che incidono sono sostanzialmente due. Il primo riguarda l’onda lunga della variante Delta, che è stata molto più pericolosa e letale della Omicron, tenendo conto che lo scostamento tra il momento del contagio e quello del decesso è di circa 20 giorni. L’altro riguarda l’altissima contagiosità di Omicron che ha colpito in maniera pesante proprio chi non è vaccinato. Per capire meglio la pericolosità del virus basta prendere una ricerca dell’Osservatorio nazionale  sulla Salute dell’Università della Cattolica che propone un confronto tra i rischi di morte per Covid con quelli che ogni cittadino corre nel corso della vita, cioè i decessi dovuti alle principali malattie o a incidenti quali cadute o scontri stradali. Tra i non vaccinati il tasso di mortalità per Covid tra i 40-49enni è 1,8 volte più alto di quello causato dagli incidenti: per il coronavirus è 8,6 ogni 100 mila abitanti, mentre quello per incidenti stradali è 4,9 ogni 100 mila abitanti. Ma è 20 volte più alto nella classe di età 60-69: 122,9 su 100 mila per Covid, 6 per 100 mila quello dei decessi per incidenti stradali. Nella classe di età 10-19 anni il virus causa un numero di decessi 2,8 volte superiore a quello dovuto alle polmoniti: il tasso di mortalità per Covid è 0,2 su 100 mila quello delle polmoniti è 0,1. Il vaccino è quindi decisivo per evitare la malattia grave e morte. Per i vaccinati oggi il tasso di letalità di Omicron è simile a quello dell’influenza, intorno allo 0,1%, per i non vaccinati è circa dello 0,5%. Secondo l’Osservatorio nazionale sulla Salute della Cattolica i dati testimoniano che tra i 20 e i 39 anni la letalità del virus rappresenta più del 20% la probabilità di morire, considerando tutte le cause, quindi il Covid è uno dei rischi maggiori per questa fascia di popolazione. Allo stesso modo, per chi ha tra i 60 e i 79 anni, il rischio per chi si contagia ammonta al 30% di quello osservato per il totale delle cause di decesso. Per fortuna l’andamento del contagio in Umbria, come nel resto d’Italia, sta mostrando un miglioramento evidente con la curva in netta discesa. I nuovi casi calano in tutte le fasce di età, inclusa quella dei giovanissimi (under 19) molto colpita dalla variante Omicron. In generale le ragioni per tirare il fiato si trovano in tutti e tre gli indicatori dell’andamento della pandemia: cala l’ Rt, cala l’incidenza settimanale, non aumentano i ricoveri in rianimazione e reggono abbastanza bene i reparti di area medica. La circolazione del virus è ancora sostenuta, ma il segnale di decrescita è evidente. Purtroppo resta anche in Umbria una fascia di popolazione restia al vaccino, difficile da convincere nonostante l’obbligo vaccinale scattato a febbraio. Ieri, intanto, dall’Istituto Spallanzani è stata inviata la prima terapia con l’antivirale Pfizer su un paziente curato a casa. Si tratta di un uomo di 54 anni con malattia cardiovascolare e sintomi Covid da 3 giorni. Con le terapie monoclonali e antivirali e il vaccino, strumenti integrativi e non sostitutivi tra loro, siamo in grado di liberare gli ospedali da ricoveri incongrui. E questo sicuramente è il più bel segnale dopo due anni di vera emergenza sanitaria.