DIS…CORSIVO. APOLOGO DI COSE COMUNALI

NOSTRADAMUS di Maurizio Terzetti / Il paese dell’ape regina era reputato da tutti il più importante della regione. Amministrare in quella città significava quasi avere il potere su tutta l’area circostante, su un’area molto estesa. Ultimamente, però, molti Comuni erano passati nelle mani di alcuni politici che avevano idee e programmi diversi da quelli dell’ape regina.

Si ponevano, perciò, seri problemi di coabitazione nel potere, nei rapporti fra le comunità, nel modo di primeggiare sul piano della vita di tutti i giorni, cioè della qualità della vita da garantire ai cittadini e ai loro ospiti.
Secoli addietro, per queste o simili divergenze, le città si facevano la guerra, sobillate da poteri centrali in cerca di espansione e di consolidamento. Adesso, più semplicemente, smettevano di cooperare, in preda a malumori di parte e a personalismi di corrente, a protagonismi dei primi cittadini e a incroci di consorterie.
Una parola chiarificatrice spettava all'ape regina. Lei stessa, nel suo paese, doveva fare i conti con una mriade di contrapposizioni, tanto all'interno del suo “Partito del panificio” quanto nel confronto che l'opponeva al nuovo “Partito del fornaio ascetico”. Però era del tutto evidente che non poteva limitarsi a gestire solo le cose di casa propria e tralasciare il dovere, in qualche modo istituzionale, di portare nuovi rapporti e nuova chiarezza fra i tanti Comuni che si muovevano intorno al suo paese.
Doveva sostituire in ciò l'azione della Regione, che nella sua terra, a differenza di quanto avviene da noi, non aveva il grande potere che ha e del quale ci stiamo rendendo conto in questi giorni di attesa della nuova giunta e dell'isediamento dell'assemblea legislativa umbra.
La Regione in cui operava l'ape regina era, invece, poco più che un parlamentino provinciale, qualcosa di simile, per gli addetti ai lavori, al Consiglio della Provincia uscita dalla riforma. Così, quello che, nei suoi organismi deisionali, diceva, proponeva, faceva e disfaceva l'ape regina - della quale ho raccontato in questi giorni vari apologhi amministrativi – diventava determinante per il progresso del suo paese e dell'area dei Comuni circostanti.
La prima cosa da fare era superare la differenza delle maggioranze comunali fissata rigidamente per appartenenze politiche. Non poteva più essere che, nell'assemblea convocata sulla pubblica piazza dall'ape regina, quelli del suo partito avessero un occhio di particolare attenzione per quei Comuni che avevano sindaci appartenenti al “Partito del panificio”. Allo stesso modo, non poteva più essere tollerato che il “Partito del fornaio ascetico” facesse da collettore di tutta la protesta di parte avanzata dai sindaci contrari al partito dell'ape regina.
Diventava determinante il ruolo di quest'assemblea, in cui il “Partito del panificio” era in maggioranza, assistito da alcune forze politiche minori che, in ogni caso, s'intendevano storicamente molto di farina del loro e dell'altrui sacco.
Occorreva una mano delicata, ma ferma, nel dirigere dei lavori consiliari nei quali i protagonisti erano sempre, anche se assenti, tutti i sindaci, di qualunque colore politico, di quella terra. I consiglieri, tanto di maggioranza quanto di minoranza, andavano continuamente stimolati dal presidente del conseso a intrattenere rapporti quotidiani con le realtà comunali, non poteva essere che il loro lavoro si esauriva nella piazza assembleare, dove non si riportava che una sintesi, sempre un po' troppo stringata, delle esigenze di strade e di lavoro, di scuole e di assistenza, di cultura e di turismo, di agricoltura e di industria che si riscontravano grazie alla presenza costante e metodica sul territorio.
L'ape regina aveva perfettamente compreso quanto cruciale fosse un'interpretazione dinamica dei lavori dell'assemblea legislativa, diciamo così, regionale. Se la giunta aveva finito per trovare una sua coerenza tutta interna alla maggioranza, il consiglio doveva sviluppare un equilibrio fra maggioranza e minoranza fatto di dialogo, di ascolto paziente, di approfondimento delle questioni, di confronto senza reticenze, di esclusione degli opportunismi dalla purezza del dibattito ideale, di prontezza nell'ammettere le verità dell'avversario quando queste fossero palesi, di rinuncia allo spirito di parte, di stimolo reciproco fra le parti e fra il consiglio e la giunta, in un circolo virtuoso di opportunità e in una sequenza magica di occasioni propizie.
Convinta di tutto ciò, concluso il suo lavoro per la giunta, l'ape regina fece valere il principio della migliore fra le scelte possibili nell'individuazione del garante dell'autonomia del consiglio senza legare tale scelta a troppi palleggiamenti. Il candidato doveva riscuotere un consenso semplice e trasversale, limpido e innovativo, caldo e propositivo tra i diversi partiti e le diverse realtà comunali. E per affermare tale linea, si limitò a dare il suo personale contributo, apprezzato perché messo a disposizione senza far valere ulteriormente il peso della sua comprovata autorità.

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