Il faticoso cammino della sinistra che rimpiange un tempo che non tornerà più: Perugia decisiva per il futuro. Incapace di essere plurale e civica

“La sinistra è molto brava a farsi male con le proprie mani: si guardi, se può, dal perseverare nell’errore”. La messa in guardia dalla tendenza all’autolesionismo fu evocata  da Tony Blair, che, per quanto atipico sia stato, resta sempre un laburista britannico che ha fatto storia in Europa. Parole che furono pronunciate in occasione di un incontro a Roma con l’allora segretario dei Ds Piero Fassino e il sindaco della Capitale Walter Veltroni. Secondo Karl Marx la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Ognuno ha la sua versione, spesso contradditoria che cambia a seconda del momento. La telenovela rimane però la stessa con la sinistra che s’incammina baldanzosamente verso le elezioni più divisa che mai. Prendiamo il caso di Perugia e dell’appuntamento di giugno 2024 quando i perugini saranno chiamati a scegliere il nuovo sindaco. Nel Pd alla battaglia alle destre si è sostituita la guerra interna con sei-sette circoli (la maggior parte dei quali ridotti all’osso) costantemente contro i dirigenti comunali e regionali del partito. Una specie di resa dei conti che finisce puntualmente su tutte le pagine dei giornali locali. La teoria è più o meno sempre la stessa: bisogna parlare di contenuti e metodi, non di nomi. Ma anche la pratica, puntualmente, è sempre la stessa: si parla principalmente di nomi. Da settimane, infatti, ci sono autocandidature (Paolo Belardi, Marko Hromis), candidature saltate con il botto (Andrea Fora), candidature sperate ma difficili da realizzare (Serse Cosmi) e candidati per ora poco sventolati (Luca Ferrucci). Resta poi alta l’attenzione su quanto succederà domani nella riunione di coalizione del centrodestra con il possibile strappo di Progetto Perugia. Una rottura che potrebbe avere conseguenze sulla giunta di palazzo dei Priori e aprire nuovi scenari nel centrosinistra (Edi Cicchi). L’eventuale disponibilità di Progetto Perugia a dare vita ad un “Patto elettorale” per il capoluogo umbro con il centrosinistra sicuramente rappresenterebbe la vera novità politica delle prossime elezioni comunali. Del resto una coalizione tutta a sinistra da sola non basta per vincere le elezioni. A ricordarlo ai democratici perugini è stato lo stesso Stefano Bonaccini in occasione della sua visita nel capoluogo umbro durante la campagna delle ultime primarie. “In Emila Romagna – raccontò Bonaccini ai dirigenti dem perugini – abbiamo vinto le regionali e comunali perché ci siamo presentati con un centrosinistra rinnovato, plurale e civico. Sapendo parlare largo, conquistando voti anche da elettori di altri schieramenti”. Stefano Bonaccini in più occasioni ha invitato gli “scienziati” che vorrebbero un Pd unicamente a sinistra, ad uscire dal “salotto” e misurarsi con il mondo reale. E’ lo stesso sondaggio realizzato un mese fa dal Pd umbro (Swg) a certificare questa necessità, se il centrosinistra vuole concretamente provare a vincere le prossime elezioni. A Perugia il centrodestra è avanti al centrosinistra, la coalizione che sosterrà la candidatura di Margherita Scoccia (Fdi) sta provando a serrare le fila e il vento nazionale ancora soffia a favore dello schieramento guidato da Fratelli d’Italia. Comunemente si dice che tre indizi fanno una prova, almeno per le persone che presentano pregi e difetti normali. La segretaria Elly Schlein in una delle ultime direzioni prima della pausa estiva pregò il gruppo dirigente di evitare divisioni e di non farsi “trascinare ogni giorno dove vogliono i nostri avversari per provare a schiacciarci in dibattiti interni di cui la nostra gente è stufa”. Un appello a Perugia e in Umbria rimasto inascoltato malgrado la figuraccia di Terni e le sconfitte collezionate in questi anni. L’ultima volta Andrea Romizi ha vinto le elezioni con il 60% dei consensi mentre il candidato del centrosinistra Giuliano Giubilei arrivò poco sopra il 26,5%, con il Pd al 17,2% e Movimento 5 Stelle al 6,9%. Il resto della coalizione, tolta la lista del candidato sindaco (6%), portò a casa una manciata di voti. Tra Romizi e Giubilei ci fu, quindi, una distanza di ben 33 punti e di quasi trentamila voti assoluti. Una enormità, una distanza da far tremare le vene e i polsi ai tanti democratici della città. La domanda che vecchi e nuovi dirigenti del centrosinistra dovrebbero porsi è soltanto una: come accorciare la distanza e prendere un voto in più del centrodestra. Per ora, almeno così appare, nessuno se l’è posta e il rischio è quello di perseverare nell’errore.