Il difficile governo

di Pierluigi Castellani

Dopo la chiusura( definitiva?) del forno della Lega Luigi Di Maio ha aperto quello con il PD sollecitato dall’esplorazione, per conto del Capo dello Stato, del Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico suo compagno di partito. Naturalmente l’eventuale intesa tra i 5Stelle ed il PD è tutta in salita e non è detto che si concluda positivamente. Le ragioni sono molte. Innanzi tutto la diversità, anzi l’alternatività, dei rispettivi programmi con i quali le due forze politiche si sono presentate alle elezioni. Una diversità che ha tracciato anche un solco profondo dopo i toni accesi della campagna elettorale e dopo il comportamento non certo dialogante, che i 5Stelle hanno tenuto nella scorsa legislatura nei confronti dei governi a guida PD. Come non ricordare  i voltafaccia che hanno fatto i 5Stelle in occasione di importanti appuntamenti come l’accordo, poi disatteso, sulla legge elettorale alla tedesca e sul provvedimento per le unioni civili senza contare la contrarietà dimostrata dal movimento di Grillo all’approvazione di un legge di civiltà come quella sullo jus soli invocata anche dalla CEI. E poi ci sono i 50 giorni di intenso rapporto dopo il 4 marzo tra Salvini e Di Maio, che sono stati più volte ad un passo dall’intesa poi sfumata solo per l’irrigidimento di Di Maio nei confronti di Berlusconi e di FI.  Tutto questo ha anche prodotto nella base grillina, così dicono i  sondaggisti, una prevalenza nei confronti dell’accordo con la Lega anziché di quello con il PD. Del resto tutto questo è coerente con la radice populista ed antisistema delle due forze politiche, che mal si acconciano ad approdare a programmi seri e concretamente realizzabili. Manca nei 5Stelle quella cultura di governo nutrita da una ispirazione europeista, che è invece propria del PD. Su quali basi può trovarsi un’intesa di governo tra i 5Stelle ed il PD quando entrambi si dichiarano alternativi? Quale sarà la posizione internazionale di questo governo nei confronti dell’Europa e della Nato, quale l’approccio nei confronti di quelle riforme, a cominciare dal jobs act e dalla buona scuola, che assolutamente il PD non può rinnegare? E quale potrà essere il def e quale la nuova legge di stabilità dove non potranno trovare alcuna accoglienza le promesse elettorali dei 5Stelle ad iniziare dal reddito di cittadinanza? Insomma i nodi da sciogliere per dar vita ad un governo siffatto sono molti e non da poco. Naturalmente c’è dietro la preoccupazione del Presidente Mattarella per l’instabilità politica, che si sta delineando dopo il 4 marzo e per la posizione dell’Italia nei confronti degli appuntamenti internazionali, che inevitabilmente  coinvolgeranno anche il nostro paese come la riforma del trattato di Dublino sull’immigrazione, la posizione della Nato nei confronti della Russia e del nostro paese con riguardo alla politica isolazionista di Trump, che con i suoi dazi sta mettendo in difficoltà l’Italia e tutta l’Europa ed infine rimane il problema centrale del medioriente e la necessaria politica di pace che il nostro paese non può certo abbandonare. Ma le preoccupazioni del Capo dello Stato non possono giungere fino a far smarrire al PD la sua vocazione riformista ed europeista. Cedere ad un qualunque ricatto populista non può far bene al PD ma neppure all’Italia. Ed allora tutto per ora è affidato all’intenso dibattito politico, che si sta sviluppando all’interno del PD e che dovrà giungere ad una conclusione, si spera unanime, nella direzione nazionale del prossimo 3 maggio. Accedere al confronto con i 5Stelle non significa necessariamente cedere al ricatto populista, ma certamente il PD non potrà mai convenire con un governo purchessia e tanto meno fare l’ancella povera in un esecutivo a guida Di Maio.  Le premesse sono pesanti e difficili anche se dialogare non significa fare in ogni caso un’intesa. I prossimi giorni ci diranno se l’apertura dei 5Stelle al PD è un mero espediente tattico per tornare al forno di Salvini, come la maggioranza degli elettori grillini sembra auspicare.

 

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