IL PERICOLOSO REGIONALISMO DEL COVID

di Pierluigi Castellani

Credo sia opinione largamente diffusa che l’attuale assetto del rapporto tra stato e regioni sia da rivedere nel senso di assicurare al governo centrale poteri di omogeneizzazione su tutto il territorio nazionale delle misure che  debbono assicurare la pronta risposta dello stato a momenti di emergenza come quello della pandemia o di disastrose calamità naturali. Di recente si è aggiunto il rimpallo di responsabilità tra governo e regioni per la individuazione del colore da riservare ai territori al fine di individuare il grado di restrizioni da richiedere  alle attività economiche e culturali ed ai singoli cittadini. Questo avviene perché le regioni hanno nella propria competenza la gestione della sanità nei rispettivi territori. Così, se l’algoritmo utilizzato dall’Istituto Superiore di Sanità per disegnare il colore delle regioni risiede nella responsabilità del Ministero della Salute, i dati di cui servirsi  sono comunicati dalle regioni nella loro piena responsabilità. E’ quindi avvenuto che la Lombardia sia stata colorata di rosso ,per errore, ma questo a seguito di dati forniti dall’assessorato alla salute della stessa regione, che poi ha dovuto precisare e correggere. Ora di chi è la colpa di quanto avvenuto? Di questo si stanno occupando i media diffondendo incertezza ed insicurezza  sulla reale situazione pandemica del nostro paese. Non ci interessa appurare di chi è stata la responsabilità, di questo si occuperà la magistratura che ne sarà sicuramente investita. Qui ci interessa segnalare con preoccupazione che il covid-19 ha fatto emergere ancora una volta un regionalismo pericoloso per la tenuta dell’istituzione paese. Sembra di essere tornati agli anni sessanta, o ai primi anni settanta, quando le istituzioni locali in mano al vecchio PCI venivano utilizzate per aprire continuamente “vertenze” con il governo nazionale a guida democristiana. Il linguaggio che veniva utilizzato era proprio questo, per segnare una contrapposizione, non già tra forze politiche, ma tra pezzi dello stato. Ora quella stagione dovrebbe essere stata del tutto archiviata. Ma che pensare quando le regioni a guida leghista per difendere il collega lombardo Fontana  scrivono per chiedere una revisione dell’algoritmo e del sistema di conteggio per marcare l’inaffidabilità del governo centrale. Si tratta dei presidenti di Friuli Venezia Giulia, del Veneto, della Sardegna, dell’Umbria e del presidente facente funzione della Calabria. Si è aggiunta a questa schiera, fedele molto probabilmente al richiamo di Matteo Salvini, anche la presidente Tesei, che fino ad ora non si era lamentata di quanto ora denuncia. Questi presidenti farebbero meglio a governare bene le loro regioni e tra questi ci dovrebbe essere annoverata proprio la Tesei, che, guarda caso, ha la responsabilità di un territorio messo a rischio da una forte ripresa del contagio e da una ripresa incalzante dei decessi da Covid. Ora siamo anche di fronte alle dimissioni del governo Conte 2. C’è solo da augurarsi che il nuovo governo, se mai ci sarà , metta in programma anche  una nuova articolazione del rapporto tra stato e regioni. Bruxelles richiama giustamente il nostro paese ad approvare prontamente un recovery plan accompagnato da serie riforme che investano la struttura e l’amministrazione dello stato, la giustizia, la scuola ed una seria riconversione green del nostro apparato produttivo. E’ questo che ci attendiamo con un filo di speranza dalla conclusione positiva della crisi , ora affidata alle mani esperte del Capo dello Stato.