20 giugno a Perugia

Franca del Monte/Nel gran volume della storia di Perugia il segnalibro porta la data del 20 giugno. Per coincidenze -e poi nemmeno tanto, almeno così si crede- questa data sembra destinata all’ingresso di truppe straniere a Perugia. Nel 1859 entrarono gli svizzeri per sedare i rivoltosi perugini contro il governo pontificio, nel 1944 gli alleati, i “liberatori” con le truppe del Decimo Corpo dell’Ottava Armata Britannica.

Ebbene, la cosiddetta “strage” del 20 giugno, appena un anno prima dell’Unità nazionale, in certi ambienti perugini suscita ancora qualche palpito, perché fu decisiva agli effetti del Risorgimento, fino al Concordato. Ne è indubitabile riprova il monumento al 20 giugno e la sua tiara, simbolo del Papa Re, che l’architetto Frenguelli aveva simbolicamente posto sotto le unghie del Grifo e che, dopo il Concordato, venne rimossa, facendolo restare con la sola zampa in aria, in atteggiamento inspiegabilmente un po’ troppo arcigno. Un taglio sempre mal digerito dalla città, protratto nel tempo, tanto che l’anarchico tipografo Brenno Tilli, l’uomo del “manifesto” unico, scritto rigorosamente a mano ed affisso sul muro della sua bottega di via Bartolo, nel 1986 così reclamava: Era così’ il Grifo al monumento del XX giugno. Sor sindaco, armettetecelo a posto”. Se ne era infatti occupato anche il consiglio comunale, con il risultato di una votazione a dir poco rara: per il ripristino della tiara schiacciata dal grifo, così come consegnata dalla storia, tanti i favorevoli, altrettanti i contrari. Sindaco il socialista Giorgio Casoli, vicesindaco lo storico comunista Raffaele Rossi. Nulla da ridire, dunque, su possibili condizionamenti, viste le appartenenze opposte. Il monumento fu restaurato, nel rispetto della storia, ma, appena qualche mese dopo, furtivamente, di nuovo la tiara scomparve, lasciando solo sul campo le due “staffe”. Può dunque aver ragione chi sostiene che l’ombra di quella data sia ancora presente, seppur sbiadita, come naturale nello scorrere del tempo. A ricordarcelo è anche il cerimoniale della giornata da parte del comune: corona di alloro nell’omonimo borgo da dove entrarono le truppe svizzere, arrecando morti e vessazioni, cui segue l’omaggio al civico Cimitero ai patrioti ed ai cittadini che hanno dato lustro a Perugia con atti di amore e passione civica. Il “giro” è sempre lo stesso: il pittore futurista Dottori, l’anarchico Miliocchi, gran cappello a cencio e tabarro, monumento di fede repubblicana, Guardabassi, Danzetta, Faina, Angeloni, i tanti repubblicani e sindaci dei primi del novecento, usciti dalla fucina della scuola mazziniana. Immancabili i vessilli: Grifi “rampanti” e “camminanti” che si uniscono a quelli dei reduci e combattenti, quest’ultimi gruppi sempre più smilzi per l’età, che riportano, appunto, al 20 giugno 1944, la seconda data ritenuta felice, a differenza della prima. Questa volta le truppe non arrivarono da porta san Pietro, ma da San Galigano, per una manovra strategica, al fine di accerchiare la città. Si congiunsero subito ai carri armati che venivano dalla parte opposta, ovvero sempre da porta san Pietro. Ma non ci fu bisogno di impegnare le armi, perché i tedeschi, quei pochi rimasti, inermi, se ne stavano chiusi in alcune case, da dove i popolani stessi li cacciarono, così come, anch’essi tappati in casa, quei pochi “fascisti” che non si erano riparati al nord. Da qualche finestra spuntò la bandiera con la croce sabauda, in molti mangiarono cioccolate, caramelle e fumarono sigarette. Ma ancora forte rimaneva certamente l’eco del terribile bombardamento all’aeroporto di sant’Egidio nella notte tra il 16 ed il 17 giugno, appena tre giorni prima, che annunciava l’arrivo degli alleati nella pianura assisana. E con la Liberazione il cambiamento. Quei nostri padri, molti dei quali avevano vissute ben due guerre mondiali, si arrangiarono alla meglio. Spesso scendevano all’aeroporto per “prendere” tra gli “ingombranti” copertoni, ruote, benzina, pezzi di camion sotto le macerie dei bombardamenti, al fine di “ricostruire”, appunto, anche un mezzo di locomozione. Smontati i ripari antiaerei, persino i cilindrici ordigni di morte in ottone, svuotati, facevano la loro comparsa come contenitori di fiori sulle tombe, o, ben muniti di apposita cerniera, riempiti di acqua calda e posti sui piedi per vincere qualche rigore d’inverno. I segni di un doloroso passato furono riconvertiti anche così, nel nome di una morale che imponeva parsimonia, ingegno, speranza. Capoluogo e Provincia rimasero sotto l’autorità degli occupanti fino all’aprile del 1945, data in cui tornarono completamente nella sovranità delle autorità italiane. La ricostruzione significò rivolgere l’attenzione ai problemi più concreti della gente. Dalla cronologia di Perugia 1937-1946, accuratamente stilata dalla storica Serena Innamorati nel volume Fra Storia e Memoria: Gli Alleati a Perugia ed in Umbria, dal quale sono anche state attinte alcune notizie qui riportate, è annotato: 27 gennaio 1945. Alla riunione del Centro di Orientamento Sociale parla il sindaco avv. Andreani, soffermandosi su tre argomenti:vino, legna, neve. Parlando del vino, il sindaco ha spiegato che la cooperativa sorta di recente, vende al momento solo all’ingrosso. L’afflusso della legna in città è, nonostante le difficoltà, quasi normale e copre il fabbisogno della cittadinanza. La neve è un problema serio, in quanto, afferma il sindaco,”la voglia di lavorare se n’è andata.” Occupazioni ben più tristi e lucrose allettano i lavoratori. Il repubblicano Giovanni Conti parla al Teatro Morlacchi ”Tra l’Italia martire e la monarchia disonorata né pace né tregua”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.